Zero in condotta - Marzo 1997

La democrazia del porno

Recensione del film Larry Flint, di Milos Forman
Giacomo Manzoli

Larry Flynt è un'altro brutto film interessante che parla degli Stati Uniti d'America. Considerazioni preliminari: i modelli alti sono lo Scorsese di Casinò (inarrivabile) e l'Oliver Stone di Nixon e JFK (quasi raggiunto). Il registro su cui il film scivola lentamente è quello del grottesco, una scelta obbligata dal momento che si tratta di una vicenda paradossale su un personaggio paradossale. Lo stile è kitsch e ricalca fedelmente quello di vita del protagonista, della sua creatura, della sua battaglia e del suo impero. La storia era molto stimolante, ambigua, inquietante, sicuramente spettacolare, fastidiosa: una sceneggiatura banale ha lavorato a smussarla e ha lavorato bene. Il risultato è un racconto ovvio e faticoso che si trascina verso la fine senza il minimo sussulto, senza il benché minimo riscatto. Dialoghi piatti, processi scontati, nessunissima sorpresa. La regia si adegua, e Forman dà la netta sensazione di essere un regista scavalcato dai tempi, il che, a parte tutto, non può che suscitare la nostra istintiva simpatia, non fosse per la noia che, da un certo punto in poi, cattura il film e se lo tiene ben stretto fino alla fine.
La vicenda è nota, essendo quella, più o meno reale, del miliardario americano Larry Flynt (più o meno reale anch'esso) il quale è divenuto un simbolo della lotta per il diritto democratico alla libertà d'opinione nella necessità di difendere non una nobile casa editrice specializzata in romanzi rivoluzionari, bensì la propria collana di riviste erotiche patinate. E anche qui non guastano alcune notazioni preliminari: registriamo, intanto, che la categoria del biopic, film agiografico su un personaggio storico è già arrivata ad abbracciare fra i suoi soggetti anche i viventi. La cosa è vagamente iettatoria, perché il film biografico (nella sua forma celebrativa) equivale esattamente all'epitaffio o al monumento funebre. La cosa va tenuta presente perché Flynt non solo firma, e dunque autorizza, l'operazione, ma la sostiene e incoraggia, influenzandola certamente. Il personaggio prende parte al suo ritratto perfino fisicamente: è l'attore che interpreta l'odioso e obeso magistrato che condanna il Flynt filmico a 25 anni di carcere, e vedrete che non mancheranno quelli pronti a sottolineare questo aspetto della vicenda: Flynt condanna se stesso, con ironia ma non troppo, a 25 anni di prigione.
Riassumendo, Larry Flynt è un film scandalistico ma istituzionale, anarchico ma con visto di censura. Un film su una delle tante contraddizioni o situazioni limite della contemporaneità, una di quelle vicende che costringono ciascuno a scendere a patti col proprio gusto e la propria coscienza, ma anche un film che sceglie di disinteressarsi spesso e volentieri del problema principale, della tesi, per concentrarsi sui particolari privati e patetici della vita dell'uomo.
Bene, in tutto questo, la sola cosa che ci infastidisce è che Larry Flynt venga fatto passare come un film sulla libertà di espressione del pensiero. In teoria, la tesi che Forman sposa sarebbe quella del personaggio, una dimostrazione per assurdo, simile a quella di Arancia Meccanica: in un paese civile, a nessuno deve essere proibito pensare e manifestare liberamente qualsiasi pensiero, neppure il più abietto, perché, se nessun uomo è superiore ad un altro, nessun pensiero può essere collocato, in una scala ideale, su una posizione di predominio rispetto ad un altro. In Burgess-Kubrick la cosa era spinta fino alle estreme conseguenze: il personaggio è realmente spregevole. Il sistema lo priva della sua libertà e la cosa, oltre che innescare un grottesco meccanismo di nemesi, viene assolutamente condannata. Anche con Larry Flynt siamo di fronte al tentativo del "sistema" (strana parola, dopo anni di messa al bando è ricomparsa anche in Nixon) di mettere il bavaglio a un uomo che occupa uno dei gradini più bassi della scala umana. Forman non è Kubrick, deve vendere il film, così sceglie di ammorbidire un po' i toni: Flynt, che nella realtà dev'essere un uomo piuttosto laido, viene presentato come spregevole solo in base alla sua qualifica di pornografo, perché, per il resto, è un simpatico mattacchione un po' anarchico, colpevole neppure del cattivo gusto che gli viene imputato a più riprese nel film. Anche Flynt è "vittima" di visioni mistiche, ed è soggetto a una nemesi: lui che ha urlato all'America "Scopate!" viene privato, dal solito misterioso cecchino, proprio della possibilità di tener fede al suo slogan. Le somiglianze con Arancia Meccanica finiscono qui.
Quello che Larry Flynt arriva a dimostrare, non è come si illudono F(orman) & F(lynt) che gli Stati Uniti sono un grande paese perché chiunque, anche il più infimo degli uomini, può dire quello che vuole. No, ciò che Larry Flynt dimostra è che gli Stati Uniti sono il paese più potente al mondo perché chiunque può dire quello che vuole purché sia abbastanza ricco. Ci provano, gli autori, a raccontarci che il nostro eroe si serve di un giovane avvocato idealista che difende i suoi diritti non per soldi ma per amicizia e fede nei valori della Nazione Americana. Però Flynt è un uomo diretto e non resiste alla tentazione di sfoggiare la ricchezza così faticosamente raggiunta col sudore delle natiche altrui. Quello del denaro, continuamente represso, è il tema nascosto che ritorna continuamente dall'inconscio del film. Si evita accuratamente di calcare la mano sul fatto che Flynt è ricco, ricco, ricco, schifosamente ricco, non lo si mostra mai nelle sue vesti di imprenditore e speculatore. Si evita di spiegare come una banda di sciamannati, da editori di uno dei tanti simil-play boy, arriva a gestire un impero da milioni e milioni di dollari. Eppure Flynt è ricco, schifosamente ricco. Coi soldi compra la cauzione, la droga, le donne, l'attenzione della Corte Suprema e del sistema giuridico, perfino una piccola formazione politica che faccia sentire la voce delle sue ragioni. Coi soldi entra in tribunale e coi soldi ne esce. Libertà e ricchezza, ricchezza e libertà. Larry Flynt è una storia da circo debordiano: la sua difesa finale non si gioca sul sacrosanto diritto di dire quello che si vuole, bensì su un cavillo, un puro e semplice, fottutissimo cavillo: Larry Flynt può dire che un predicatore è un motherfucker per il semplice motivo che la cosa non è universalmente credibile come vera (perché la signora in questione è morta da tempo, non per altro). Fosse capitato a noi e a voi, signori, fosse capitato ad uno dei milioni di poveracci che occupano la scala più bassa della piramide a forma di $, signori, col piffero che avremmo trovato udienza presso la Corte Suprema.
Infine due domande: perché da un certo punto in poi Larry Flynt si mette a parlare come il Padrino? Perché fra tutte le ragazze nude che compaiono nel film (in carne e ossa o sulle pagine di Hustler) non ce n'è una sola di colore? Perché al signor Flynt non piacciono. Niente correttezza politica, per carità, solo un pensiero alla reale consistenza di questo simbolo (del polo) delle libertà.

Giacomo Manzoli