Zero in condotta - Febbraio 1997

L'Alma si 'fonda'

Fondazione Alma Mater, è questo il nome misterioso sotto cui si cela l'ingresso dei privati nel consiglio di amministrazione dell'università. La Fondazione parte con una dote di 10 miliardi e con uno statuto tanto complesso quanto ambiguo.

L'ateneo bolognese si appresta a piegarsi alle esigenze della ricerca industriale e dei grandi gruppi finanziari privati. La Fondazione è facilmente collegabile alla tendenza a smantellare servizi economicamente non remunerativi anche se socialmente utili e sostituirli con progetti di investimenti finanziari, volti esclusivamente al profitto e che poco guardano alle reali esigenze delle persone. All'interno dell'università un esempio lampante è l?intenzione di trasformare il 25 di via Zamboni in azienda telematica privata finanziata con soldi pubblici.
Con molta difficoltà abbiamo cercato di riassumere lo statuto della Fondazione e con una sorta di fantasia perversa abbiamo cercato di immedesimarci nel fattore che è proprietario della gallina dalle uova d'oro per cercare di capire tutti i reali interessi che si celano dietro la latineggiante etichetta Alma Mater.
Soldi pubblici per scopi privati: con la Fondazione "Alma Mater" l'Ateneo apre le porte ai privati.
La Fondazione è una società di capitali alla quale partecipano attraverso finanziamenti enti pubblici e privati. E' a pieno titolo una struttura di collegamento tra l'Ateneo e gli enti privati (imprese e banche). Il suo bilancio deve assicurare l'equilibrio tra costi e ricavi.
E' quindi una no-profit, che ha il compito principale di sviluppare e promuovere le conoscenze generate dalla ricerca scientifica e tecnologica (specie in materia di sanità) per migliorare le informazioni e le tecnologie a disposizione degli operatori privati. Inoltre realizza prestazioni professionali per gli enti e i soggetti associati (le società e gli enti pubblici che hanno versato una parte del capitale sociale della Fondazione).
Al progetto hanno mostrato un notevole interesse industriali come Seragnoli, istituti di credito come la Carisbo.
Fino ad oggi, il costo delle consulenze operate dai singoli professori o ricercatori universitari dell'area scientifica e tecnologica è stato alto. Inoltre, al ricercatore conviene operare a titolo privato con le imprese, in quanto se opera per l'Ateneo gli viene corrisposta solo una parte dei proventi derivati dal trasferimento e dall'utilizzo del brevetto.
Un ricercatore privato per non utilizzare le strutture universitarie deve spendere una somma notevole di denaro e quindi, per trarne profitto, deve richiederne altrettanto all'impresa per la quale lavora. La Fondazione, invece, è legittimata dallo Statuto dell'Università di Bologna a trasferire brevetti, consulenze ed invenzioni derivanti dall'uso dei laboratori e delle strutture atte alla ricerca, presenti nell'Ateneo, nonché dall'opera dei professori e dei ricercatori dipendenti.
Grazie a questa legittimazione la Fondazione "Alma Mater" riesce ad ammortizzare notevolmente i costi fissi in quanto la manodopera necessaria alla ricerca è pagata con fondi pubblici ed il suo costo non andrà a gravare sul prezzo della prestazione per le imprese. In altre parole la Fondazione è concorrenziale in quanto sfrutta manodopera pagata con fondi pubblici per fini privati. In questo modo riesce ad immettere sul mercato brevetti e consulenze a basso prezzo.
Tra i suoi compiti la Fondazione ha anche quello di migliorare le attrezzature dei laboratori delle facoltà che operano nel settore scientifico-tecnologico.
La Fondazione, essendo una società, ha degli organi collegiali interni. L'organo più importante è l'assemblea dei soci che è composta per il 50% da universitari (anche 5 studenti, di cui 4 dello Student Office e 1 dell'UdU) e per l'altro 50% dai rappresentanti di tutti gli enti pubblici e privati che abbiano versato almeno il 5% del capitale sociale della Fondazione (10 miliardi).
Attorno all'Alma Mater sono nate altre società satelliti. La più importante economicamente è la Bononia University Press che dovrà diventare la casa editrice ufficiale dell'Ateneo, creando un vero e proprio monopolio librario.
Inoltre la Fondazione come ente privato a scopi "sociali" può ricevere finanziamenti da parte della Comunità Economica Europea, che al contrario l'Università , essendo un ente pubblico, ha notevoli difficoltà a riceverli

Gli scopi reali della Fondazione
Il Rettore Roversi Monaco, attraverso la fondazione Alma Mater, fa un altro passo avanti per rendere l'università bolognese più utilizzabile da parte del mondo finanziario ed economico. Lo statuto della fondazione realizza formalmente ciò che da anni nell'ateneo bolognese è una pratica quotidiana: le consulenze e le ricerche dei professori universitari sono di fatto già indirizzate esclusivamente ai bisogni di aziende e soggetti finanziari che le utilizzano per i loro profitti. Infatti, i campi di indagine che possono avere qualche ricaduta positiva in termini economici, sono quelli più battuti oggi dalle ricerche universitarie.
Non c'è da stupirsi quindi, se l'ateneo bolognese si dota di uno strumento più agile e meno legato da vincoli di legge per continuare questo rapporto con il mondo esterno. I soggetti che hanno già deciso di investire in questo progetto, (banche, case editrici, multinazionali farmaceutiche), possono dare un'idea del giro di denaro che può passare attraverso questa società senza (apparenti) fini di lucro. Nessuna azienda intelligente può lasciarsi sfuggire l?occasione di sfruttare le strutture ed i finanziamenti pubblici per aumentare il proprio utile. Dallo statuto infatti si vede chiaramente come i soci della fondazione abbiano il diritto di usufruire di tutte le potenzialità dell'ateneo (laboratori, ricerche di professori e studenti) per i propri fini.
Se la legittimazione dello stato attuale delle cose è uno dei motivi che hanno portato alla ideazione di questo progetto, esso non è certamente l'unico. Il mercato dell'editoria universitaria offrirà nuovi introiti alle case editrici associate alla fondazione, i brevetti delle facoltà scientifiche saranno esclusivo appannaggio delle aziende che hanno le azioni Alma Mater, e così via per tutto ciò che può essere venduto o utilizzato per aumentare i profitti. I soggetti privati, garantendosi una quota rilevante delle azioni, e quindi del potere decisionale della fondazione, possono modificare o creare corsi di studio appositi per formare personale più rispondente alle proprie necessità. Naturalmente sfruttando le strutture ed il personale dell'università pagato in parte con i finanziamenti pubblici ed in parte con le tasse degli studenti.
Questi ultimi quindi, si trovano non solo a dover pagare tasse sempre più salate, ma anche a vedersi togliere servizi che non sono più rispondenti ai bisogni dei soci della fondazione. Infatti, già oggi vediamo come l'ateneo bolognese cominci prima con il trascurare ciò che non gli interessa più (es. il bar dello studente in costante degrado), per poi smantellarlo con la scusa che non è più in grado di funzionare.
Ovviamente gli studenti, cioé i naturali fruitori dell?università vengono anche loro, come sempre, visti come una preziosa risorsa da sfruttare. Gli stages in aziende, cioé mesi di lavoro sottopagato con la promessa di una futura assunzione, le ricerche commissionate, o qualunque altro lavoro che, attraverso l?università studenti e neo-laureati possono compiere, saranno ancora occasione di reddito per i pochi, ma molto fortunati, soci di questa strana no-profit.
In tutto ciò Bologna è solo un laboratorio scelto dai poteri forti per testare un nuovo modello di università in cui le leggi del "pensiero unico del mercato" possano trovare piena applicazione. In piena armonia con il progetto di riforma della scuola da una parte, e con il "patto per il lavoro" dall'altra, la moderna università dovrà produrre una ristretta èlite dominante e fornire al mercato la manovalanza intellettuale precaria e flessibile necessaria nel nuovo modello lavorativo che si sta configurando. Lo "Stato leggero" deve semplicemente eliminare tutti i vincoli che impediscono la realizzazione del "libero mercato" ma può in qualunque momento utilizzare i propri soldi per sostenere o facilitare le varie imprese industriali o finanziarie. In quest'ottica di una società basata sulla centralità dell'impresa il progetto ideato e diretto da Roversi Monaco rientra completamente pur dovendosi ancora ammantare di qualche formale richiamo al progresso culturale e scientifico. Ciò che la legge Ruberti non è riuscita a fare agli inizi degli anni '90 viene ora realizzato attraverso strumenti giuridici più idonei e meno controllabili.

A cura di Gennaro Tedesco, Federico Bacchiocchi, Salvatore Pontarelli, Manfredi Storace, Matteo Mazzetti (studenti dell'università di Bologna)