Zero in condotta, marzo 1997

Il cinema delle dittature

La cineteca del Comune di Bologna, in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell'Università e con il patrocinio della Comunità Ebraica e dell'Istituto Regionale per la storia della Resistenza, organizza una rassegna sui totalitarismi: si tratta di una serie di proiezioni corredate da presentazioni introduttive, che dovrebbe vedere la conclusione, con un convegno, per una definizione di ordine teorico del tema.
Massimo Moretti

Negli stessi giorni in cui esce sugli schermi la trasposizione del romanzo La tregua di Primo Levi e si riaccende il dibattito sulla memoria dell'olocausto, la più visibile, storicamente, delle tragedie causate dai regimi totalitari, la cineteca del Comune di Bologna, in collaborazione con il Dipartimento di Sociologia dell'Università e con il patrocinio della Comunità Ebraica e dell'Istituto Regionale per la storia della Resistenza, organizza la rassegna Il cinema delle dittature (fino al 7 aprile): una serie di proiezioni corredate da presentazioni introduttive, che dovrebbe vedere la propria conclusione, per una definizione di ordine teorico della questione, con un convegno che si terrà, probabilmente, nel prossimo mese di giugno.
La rassegna attua un interessante spostamento dei termini del problema: dal rapporto istituito dal cinema con il totalitarismo in quanto rappresentazione, narrazione degli effetti, al cinema come mezzo di comunicazione di massa adottato dagli stessi regimi nel contesto più ampio delle proprie "strategie di consenso". Cinema, quindi (come ha messo in luce Pietro Bellasi) come momento centrale nella costituzione di quei meccanismi di fascinazione che rappresentano una parte non indifferente dei motivi che hanno portato, in diversi momenti storici della modernità, alla apparizione di fenomeni come il nazismo, il fascismo e lo stalinismo. Creazione del nemico (soddisfazione del bisogno della massa di un "capro espiatorio” al quale addebitare le ragioni dell'angoscia del quotidiano), da una parte e messa in scena del potere come tradizione e, allo stesso tempo, come modernistica predestinazione da un'altra parte. Ogni regime infatti (e vengono in aiuto le riflessioni di Elias Canetti) si propone, da sempre, come recupero di una supposta "tradizione" - il mito latino e quello celtico sono esempi fin troppo chiari - e come "ponte" verso un futuro grondante aspettative e radiosità: L'ebreo errante (1940, proposto, per la prima volta a Bologna, martedì 11 marzo) e Suss l'ebreo (anche questo film, diretto, nel 1941, da Harlan, viene presentato per la prima volta nella nostra città, il 18 marzo), quindi, ma anche Olympia (1938, diretto da Leni Riefenstahl) e Ewiger Wald - Bosco Eterno (martedì 11 marzo). Una prospettiva d'analisi questa proposta da Cinema e dittature che, attraverso riflessioni sul tema svincolate dalle usuali constatazioni dell'atrocità, indica una via diversa per la comprensione di questi temi, che ne consideri prima di tutto i perversi percorsi seduttivi per comprenderne la comparsa e il "successo" presso le masse di questo secolo; in tempi nei quali si pensa di fare ricostruzione "storica" semplicemente consentendo un libero sfogo a chi (stando dalla parte degli sconfitti), non ha mai avuto occasione di parlare (Storie di Tau e Acquaviva andato in onda su Raidue con i deliri agghiaccianti del boia nazista di Albenga a consegnarci una sua particolare Versione dei fatti è solo un esempio tra molti, purtroppo, possibili). Una rassegna come questa concede un'ulteriore possibilità di ragionamento critico di valore tutt'altro che trascurabile.