Zero in condotta, marzo 1997

Sotto il regno dell’Ulivo

Un anno fa, subito dopo il 21 aprile mi sono detto: non è giusto criticare quelli che sono riusciti a fermare Berlusconi e i fascisti. Rispetto per D'Alema Veltroni Violante, vediamo se provano a fare qualcosa di nuovo. Non ci credevo granché ma non sarebbe stato cortese andarlo a dire in giro. Mi sono messo buono ad osservare, pronto se necessario a fare la mia parte, come tutte le persone di buoni sentimenti. Se è possibile fare qualcosa per respingere il fascismo mediatico berlusconiano, se è possibile partecipare ad una fase di sperimentazione sociale innovativa, mi sono detto, bisogna sotterrare i vecchi rancori e mettere a disposizione le capacità di cui disponiamo. Io non so fare molte cose, mi sono detto, ma se il governo dell'Ulivo rappresenta un nuovo corso della vita sociale italiana, quel che so fare lo metterò a disposizione. Non giudichiamo subito, mi sono detto, aspettiamo e vediamo.
Adesso è passato un anno e gli elementi per giudicare ci sono eccome. Che cosa è successo in Italia?
Franco Berardi Bifo

Un anno di governo
Quali sono le realizzazioni del governo dell'Ulivo, e quali linee di tendenza si manifestano per la sua futura attività?
Ci aspettavamo tutti che invece di ripetere continuamente che i pensionati debbono fare sacrifici il governo dell'Ulivo avrebbe trovato il modo di colpire l'evasione fiscale. Però dobbiamo ricrederci. Qualcuno ha notizia di una misura per il recupero dell'evasione fiscale? Zero virgola zero. In compenso il comune di Bologna ha stabilito che se ti trovano in autobus senza biglietto ti denunciano per evasione fiscale. Ottima idea, non vi pare?
E quanto al sud, qualcuno ha notizia di misure di intervento capaci di risollevare le regioni meridionali dalla situazione di disoccupazione dilagante nella quale versano? Certo; non appena i disoccupati di Napoli protestano in piazza, la polizia li manganella e Napolitano urla che in piazza c'erano i provocatori (l'avevo già sentito questo ritornello).
Perfino Bassolino si è pubblicamente spazientito per l'inadempienza del governo verso il sud.
Ma proprio negli stessi giorni c'era il congresso del PDS, ed il vertice del partito non è sembrato occuparsi tanto delle proteste di Bassolino e dei disoccupati, quanto di porgere un patto di alleanza a Berlusconi. Che i disoccupati napoletani crepino, tanto D'Alema ha amici più importanti.
E poi? E poi sotto il regno dell'Ulivo è stato firmato il peggiore contratto dei metalmeccanici a memoria d'uomo, un contratto che ignora completamente la necessità di una riduzione dell'orario di lavoro, e dà aumenti miserabili e differenziati, in cambio di un prolungamento del tempo di durata del contratto. Come dice Cofferati, la Corea è il paradiso sognato dai riformatori dell'Ulivo.
Ma con questo non dobbiamo concludere che il governo dell'Ulivo non abbia fatto nulla di buono per il paese.
Non è così: per esempio il governo dell'Ulivo, con la benedizione degli innovatori del PDS ha fatto un decreto legge che regala due milioni per ogni auto venduta. Dicono che in questo modo si incentiva l'occupazione alla FIAT.

Il blocco sociale di regime
Il governo dell'Ulivo sta realizzando un risultato sbalorditivo. Esso sta coalizzando tutti i settori della conservazione sociale. Parlano di innovazione, ma chi sta guadagnando potere e danaro sotto il regno dell'Ulivo?
Vediamo: la burocrazia di stato dietro la scenetta della privatizzazione si impadronisce del sistema pubblico. Esattamente come in Russia o in Romania, i grandi burocrati vendono comparti del sistema pubblico con la mano sinistra e se ne appropriano privatamente con la mano destra.
Al posto dei dipendenti pubblici si fanno lavorare esperti che in cambio delle loro benemerenze di partito ricevono incarichi di consulenza ultrapagati.
In secondo luogo, l'industria decotta (prima di tutto la FIAT, che da quindici anni vive di assistenza statale) viene finanziata con danaro pubblico. Cesare Romiti (che finanzia la rivista di Ferdinando Adornato, noto genio del liberalismo) per un po' di tempo ha minacciato fuoco e fiamme perché voleva molto liberalisticamente essere finanziato dallo stato per produrre le sue scatole inquinanti a quattro ruote.
Alla fine, dato che tutti sono liberali come lui, il governo ha emanato il decreto rottamazione (leggi regali pubblici alla FIAT), proprio mentre il piano dell'Alta Velocità prevede il taglio di 120 linee ferroviarie pendolari.
Ma non è finita qui, perché tra i nuovi grandi amiconi, tanto per gradire, c'è anche Berlusconi e la sua azienda che grazie alla cortesia di D'Alema può prorogare all'infinito il suo prepotere illegale sulla comunicazione, e può prepararsi alla spartizione della telefonia.
Questo è il Nuovo Patto di Regime: strangolata la softwaristica, prorogata l'illegale occupazione del sistema televisivo (spartito tra monopolio partitocratico RAI e monopolio pubblicitario Mediaset), ci si prepara ad una spartizione della telefonia. Questo sarà il prossimo accordo, che si sta preparando dietro le quinte della Bicameretta.
Tutti sembrano essersi dimenticati del fatto che nell'ultimo anno in Italia è stata cancellata la produzione di software. L'esito della crisi dell'Olivetti è stato questo: l'innovazione è stata abolita nel settore più avanzato della produzione.
In Italia il cervello è stato disattivato per decreto. E questa D'Alema la chiama innovazione. D'Alema, anzi, se la prende con quelli che protestano, ad esempio con Rifondazione comunista. Quando D'Alema attacca Rifondazione per il suo conservatorismo non ha tutti torti.
Rifondazione si oppone (giustamente) alle misure antipopolari di riduzione della spesa pubblica, ma non riesce a vedere la novità radicale della composizione sociale, gli effetti dell'integrazione tra innovazione produttiva, autoimprenditoria diffusa e lavoro postindustriale mentalizzato.
Ma se la posizione di Rifondazione coniuga difesa degli interessi popolari e conservazione produttiva, la linea del PDS riesce a coniugare la conservazione dell'assetto statalista-assistito dell'industrialismo obsoleto con l'attacco interminabile contro gli interessi dei ceti più indifesi.
O mangiar questa minestra o saltare da quella finestra.

Questo regime è peggio del compromesso storico
Ma minestra da mangiare è velenosa: è un regime fondato sull'ideologia dell'efficienza e sulla realtà della spartizione. Il regime che si sta costituendo in Italia si disegna secondo linee più soffocanti di quelle che venti anni fa disegnarono il compromesso storico.
D'Alema ha estorto truffaldinamente il voto agitando il pericolo di Berlusconi e poi fonda il suo regime sul conformismo liberista e sul fanatismo presidenzialista cantando l'internazionale con Berlusconi e Cossiga (ed immagino anche Fini, perché no).
E' straordinario: dopo tutte le chiacchiere da azzeccagarbugli sulla riforma istituzionale, il grande trionfo del bipartitismo sta dando vita ad un monocolore di centro privo di ogni altra motivazione che non sia il cinismo e la protezione di interessi retrivi.
Il compromesso storico costò a questo paese il soffocamento di ogni innovazione sul piano sociale, e spinse settori giovanili consistenti verso lo scontro radicale. Succederà la stessa cosa adesso?
Probabilmente no, purtroppo, perché questa volta la rivolta sarà più violenta di allora, ma andrà in direzione opposta. Però una rottura si determinerà. Forse pericolosamente reazionaria, o forse portatrice di novità.
Venti anni fa la rivolta fu libertaria e progressista, innovatrice e democratica. Oggi la rivolta sarà cupa e reazionaria, egoista ed antidemocratica.

Ci sarà una rivolta? E che direzione prenderà?
Per capire quale direzione prenderà la rottura che sta preparandosi, occorre chiedersi quali sono le forze che restano escluse, strangolate, dal Nuovo Patto di Regime.
Guardiamo la carta sociale e lo vediamo.
Da una parte ci stanno i vincitori, gli amiconi del Nuovo Patto di Regime Agnelli, Berlusconi e il PDS, cioè la grande industria assistita, la burocrazia pubblica che finge di farsi manageriale per aumentarsi lo stipendio, e la lunpenborghesia mafiosa berlusconiana.
Dall'altra parte ci stanno i disoccupati del sud e la massa crescente dei nuovi schiavi extracomunitari.
E poi, in una posizione decisiva, tra gli esclusi del Nuovo Patto di Regime, ci sta la nuova imprenditoria produttiva ad alto contenuto tecnologico, e la grande riserva asservita del lavoro mentalizzato.
E' qui che si apre la partita del futuro: riusciremo a salvare un frammento di intelligenza, di immaginazione produttiva dalla arrogante demenza senile del liberismo che si crede giovane soltanto perché prende le anfetamine?
Riuscirà l'intelletto collettivo a salvare un suo spazio perché fra un decennio o due, quando l'onda sanguinosa della demenza tardonovecentesca sarà esaurita, si possa ricostituire una società civile?
L'imprenditoria innovativa, quella che è fiorita durante gli anni Ottanta, nonostante Tangentopoli, non è certo il paradiso. Con l'illusione dell'autoimpresa si sono in effetti realizzate condizioni di supersfruttamento, di autosfruttamento. Però si sono aperte delle strade nuove di sperimentazione produttiva, tecnologica, sociale. Nella comunicazione, nello stile, nella moda, nell'arte, anche in Italia l'innovazione produttiva è riuscita a farsi strada, nel decennio passato.
Ci possiamo aspettare un'esplosione di rivolte libertarie, rivolte verso l'autovalorizzazione sociale, come accadde venti anni fa contro il compromesso storico?
Purtroppo mi sembra improbabile. E' più probabile che in Italia si verifichi la convergenza di due esplosioni reazionarie: al Nord l'autoimprenditoria strangolata dal Nuovo patto di Regime prenderà con decisione la via del secessionismo etnico e del naziefficientismo leghista. Al Sud le masse degli esclusi si sentiranno protetti e rappresentati soltanto da Alleanza nazionale.

Questa Europa è un cadavere
Dicono che non bisogna rimanere fuori dall'Europa. Con questa minacciosa urgenza giustificano ogni restrizione.
Ma quello che non dicono è che in questa Europa non ci crede più nessuno.
Quello che non dicono è che l'Europa di Maastricht andrebbe fermata prima che sia troppo tardi, prima che tutti vengano trascinati verso una cosa che più nessuno vuole davvero, perché è insensata.
E' insensato fondare un organismo sovranazionale su un sistema di vincoli finanziari.
Nella mente di ogni cittadino di questo continente, l'Europa è vissuta come un vincolo, non come una possibilità, è vissuta come un limite, non come un'apertura, è vissuta come un sacrificio, non come una festa.
L'Europa penitenziale è foriera di malinconia e di disgrazie.
I suoi effetti immediati già li vediamo: crescita del nazionalismo lepenista in Francia. Crescita della disoccupazione e dell'aggressività.
Il processo di unificazione europea non ha, fino a questo momento, mobilitato energie culturali di tipo progettuale, se non all'interno di un quadro congelato, istituzionale, artificioso.
Nella realtà della vita culturale la glaciale unificazione bancaria sta producendo un effetto di rigetto e di reazione nazionalistica che è destinata a raggiungere livelli insopportabili quando la macchina di compressione sarà definitivamente in funzione.
Ma questa macchina deve essere fermata. Finora ci hanno presentato il problema in questi termini: chi ce la fa ad entrare è fortunato e chi non ce la fa che crepi. Cinismo e ricatto sono la sostanza di questa Europa dei forti. Ma nel frattempo succede che non c'è più nessuno che sia forte, in questo cadavere Europa. Neppure i tedeschi, che con sette milioni di disoccupati si stanno rendendo conto del fatto che neppure il loro interesse coincide con l'Europa di Maastricht.
Il conformismo con cui si dà per scontato lo svolgersi di questo processo secondo le linee decise da dei fanatici bancari è sconsolante.
Il problema è che la macchina va fermata, e qualcuno deve prendere l'iniziativa di dirlo.
Oggi è indispensabile dirlo ad alta voce: no all'Europa di Mastricht non vuol dire conservazione, ma il contrario.
L'Europa che vogliamo deve nascere da una sperimentazione sociale coraggiosa, da un programma da riduzione del tempo di lavoro e da una sua redistribuzione per contrastare la disoccupazione di massa.
L'Europa che vogliamo deve nascere da una politica di apertura verso i paesi del Maghreb minacciati dalla guerra e dall'integralismo, e non dall'erezione di muri contro la libera circolazione degli uomini.
Perché i capitali e le merci debbono girare liberamente, e gli uomini debbono essere incarcerati nei territori del fanatismo e della miseria?
L'Europa che vogliamo deve nascere da una politica di innovazione tecnologica, dallo sviluppo di reti di comunicazione orizzontale, e non dalla volontà delle burocrazie di stato.

Se sei libero smetti di giocare questo gioco
Che cosa ci sta a fare la sinistra se l'unico suo ruolo è quello di imporre con l'arroganza le decisioni che aveva già preso la destra?
Esiste ancora la possibilità di ragionare, decidere, cambiare, oppure la politica non è più nulla se non esecuzione di automatismi ciechi?
E' possibile parlare di queste cose, oppure il nostro destino è già segnato?
E se è così perché non ce lo dicono? Perché non ci dicono che siamo come Solo e Maria, i personaggi senza libertà e senz'anima di Nirvana, che non possono giocare altro gioco che il gioco programmato da Jimi che la Okusama Uzi metterà ineluttabilmente sul mercato, a meno di volare come delle bombe umane dentro i suoi meccanismi, per far saltare tutto, prima che l'incubo sia pienamente realizzato, cablato nei nostri cervelli e nelle nostre vite?