Speciale / La Fiera delle precarietà

Il movimento dei precari degli anni '80 [audio]

Intervista a Carlo Moccia. "Il consiglio d'azienda è nato come organizzazione di lotta, non era solo una rappresentanza, c'era piena condivisione sia nelle decisioni sia nei momenti di mobilitazione. Il consiglio d'azienda aveva forza proprio perchè erano gli stessi lavoratori ad essere in contrapposizione all'azienda. Gli obiettivi erano soprattutto quelli di un maggior numero di posti di lavoro e di condizioni di lavoro umane e per ottenerli abbiamo fatto occupazioni di uffici e cortei interni, che davano moltissimo fastidio alla fiera, perchè minavano la sua immagine".
22 marzo 2009

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  Siamo con Carlo Moccia, ex-lavoratore della fiera e uno degli attivisti dei primi movimenti di precari della fiera. Quando hai cominciato a lavorare in fiera, che tipo di situazione hai trovato e come vi siete mossi all'inizio?

  Io sono arrivato a Bologna nel '73, in cerca di lavoro. Il mio primissimo lavoro l'ho trovato andando a chiedere a un sindacato di inserirmi in una lista per lavorare in fiera. In quegli anni le assunzioni avvenivano attraverso assunzioni clientelari senza nessun controllo. Quando poi sono tornato in fiera, nei primi anni '80, sono invece passato attraverso l'ufficio di collocamento. La situazione era completamente diversa, ci si iscriveva al collocamento, si entrava in una lista di disoccupati, che era una graduatoria a punteggio con diversi parametri (il reddito, la situazione familiare, ecc.) e si veniva chiamati. Questa lista che allora si chiamava "lista stralcio" era stata una conquista di qualche mese prima da parte di un gruppo di compagni. La lista stralcio rispettava molto di più i bisogni delle persone: tutte le assunzioni per lavori precari passavano attraverso questa lista, anche quelle per i lavori stagionali. E' stata una grande novità.

  Qual era il vostro ruolo in quegli anni all'interno della struttura Fiera?

  In fiera esistevano allora i dipendenti fissi, che lavoravano prevalentemente negli uffici, e due tipologie di lavoratori precari: i generici, quelli della lista stralcio, che venivano chiamati a bisogno: potevi lavorare per una fiera e poi non eri sicuro di essere richiamato; oltre a questi c'era il personale cosiddetto di controllo che aveva funzioni un po' più specializzate. Si entrava nel controllo per promozione decisa dalla direzione della fiera, era un fatto del tutto personale. Ricordo che, mentre lavoravo come generico in fiera, mi capitò una volta di litigare con un camionista che voleva passare dove non poteva, in quel momento passò un dirigente dalla fiera che apprezzò la mia grinta e mi propose come personale di controllo. Solo che successivamente se ne è pentito...

  Quali erano i rapporti tra generici, personale di controllo e dipendenti fissi?

  I fissi ed i precari appartenevano a due mondi completamente diversi, non ci si conosceva. Fra generici e personale di controllo invece si lavorava insieme, senza problemi. Una terza figura erano gli ispettori, che erano una specie di piccoli capi del personale che avevano anche funzioni organizzative. Anche questi chiaramente erano scelti dalla direzione della fiera. C'erano personaggi che per ingraziarsi la direzione erano particolarmente esigenti nei confronti dei sottoposti e spesso e volentieri erano abbastanza odiati dagli altri.

  Come vi siete mossi a livello sindacale o comunque a livello di rivendicazione nei confronti dell'azienda sul salario e le condizioni di lavoro?

  Per capire bene cosa stava succedendo in fiera bisogna avere anche un quadro delle presenze sindacali all'interno della fiera. Quando sono entrato io c'erano solo Cisl e Uil, praticamente la Cgil non esisteva. Il movimento dei compagni che hanno creato la Lista Stralcio ha fatto sì che coincidessero due interessi: quello dei precari e quello della Cgil, che come sindacato aveva esigenza di essere presente in fiera. Per un po' c'è stata una copresenza all'interno del Consiglio d'azienda, un comitato spontaneo, nato come rappresentanza dei lavoratori in fiera: c'erano sia le forze autonome dei lavoratori sia alcuni dirigenti della Cgil.
  Questa condivisione è saltata completamente quando la Cgil per inserirsi in fiera ha iniziato a cercare di ingraziarsi la direzione aziendale. I rapporti fra consiglio d'azienda e gli altri sindacati erano già rovinati perchè gli altri sindacati collaboravano parecchio con la direzione della fiera, quando la Cgil iniziò a essere presente in fiera si rovinarono anche con lei.

  Dopo la rottura con i sindacati e anche con la stessa Cgil, come vi siete mossi? Come siete riusciti lo stesso a diventare controparte riconosciuta dall'azienda?

  Il consiglio d'azienda è nato come organizzazione di lotta, non era solo una rappresentanza, c'era piena condivisione sia nelle decisioni sia nei momenti di mobilitazione. Il consiglio d'azienda aveva forza proprio perchè erano gli stessi lavoratori ad essere in contrapposizione all'azienda. Gli obiettivi erano soprattutto quelli di un maggior numero di posti di lavoro e di condizioni di lavoro umane e per ottenerli abbiamo fatto occupazioni di uffici e cortei interni, che davano moltissimo fastidio alla fiera, perchè minavano la sua immagine. Eravamo riusciti a costruire una forza contrattuale di grosso spessore.

  E che risultati siete riusciti a ottenere con questa forza?

  Per iniziare, il numero dei posti di lavoro non era deciso solo dalla direzione come prima, ma c'era una discussione. All'interno di questa discussione siamo riusciti per anni a fare in modo che la direzione non tirasse al risparmio sui posti di lavoro. Poi anche le condizioni di lavoro migliorarono. A un certo punto la fiera voleva mettere delle telecamere che spiassero i lavoratori in ogni momento, e grazie a noi furono tolte. Varie volte ha cercato di esternalizzare i lavori e noi per diversi anni abbiamo bloccato questa tendenza, anche se poi è avvenuto comunque.

  In quegli anni al di là delle esternalizzazioni che siete riusciti a bloccare, c'erano comunque altre aziende che lavoravano all'interno del sito fieristico anche con altri tipi di mansioni. C'era un rapporto tra voi precari della fiera e le altre figure?

  Le ditte che erano presenti in fiera e non dipendevano direttamente dalla fiera erano gli allestitori e la ristorazione. L'unico momento in cui c'è stata una esternalizzazione fu durante il MotorShow: per una questione di sicurezza fu appaltata la sorveglianza di alcune recinzioni ad una ditta esterna, ma ci fu una grande contestazione e la presenza di questa ditta fu limitata di molto. I rapporti con gli allestitori e gli addetti alla ristorazione erano di tipo amicale, non c'erano molti momenti di collaborazioni sindacali, mi ricordo che moltissimi baristi ci guardavano con invidia per le garanzie che noi avevamo e loro no. Da un punto di vista sindacale rispetto a loro eravamo un gradino più in alto. Non c'è mai stato una collaborazione più diretta.

  In effetti i processi di esternalizzazione sono andati avanti: oggi c'è una frammentazione fra molte più aziende, i dipendenti di BolognaFiere sono addirittura in minoranza nel sito fieristico, ma purtroppo la situazione è la stessa, nel senso che i ragazzi che lavorano per le ditte in appalto hanno condizioni e garanzie inferiori rispetto ai dipendenti di BolognaFiere e questo crea una situazione di invidia. In più fra questi gruppi non c'è un'organizzazione comune. Quale credi che sarebbe una soluzione possibile per accomunare tutti i lavoratori, di BolognaFiere e delle ditte in appalto, nella rivendicazione di condizioni migliori?

  Per prima cosa bisognerebbe provare a creare un'unica controparte: se si costituisce un'unica società, tutti i dipendenti vengono unificati e anche le loro condizioni e i loro diritti. Fino a quando le varie cooperative rimangono separate non so se sia possibile ottenere dei risultati.

  Quello che si sta cercando di fare in questa direzione, coerentemente con il protocollo di sito sulla sicurezza che è stato firmato l'anno scorso, è di richiedere i diritti minimi non solo per i dipendenti di BolognaFiere, ma anche per tutte le aziende in appalto.

  Vale a dire costringere Bologna Fiere a mettere fra le condizioni di appalto il rispetto di certi caratteri sindacali. Certo, questo è sicuramente un passaggio più immediato e più facile da attuare.

  Ai tempi della lista stralcio, c'era l'interesse fra voi precari di essere assunti per restare a lavorare in fiera a tempo indeterminato?

  Assolutamente no: allora noi teorizzavamo il precariato come maniera migliore di lavorare. Come precario avevi meno condizionamenti nei rapporti con la controparte, col padrone, ti sentivi meno sfruttato. Passare fissi significava cambiare il proprio modello di vita. Anche perchè molti di noi erano giovani, non avevano grosse responsabilità familiari, quindi ci andava bene avere anche del tempo libero.

E poi allora, proprio per il potere che avevamo nei confronti della direzione, ci davamo comunque la garanzia di un certo reddito ed avevamo delle garanzie sociali che oggi mancano. Immagino che oggi invece, in una situazione di assenza di diritti, essere precari significhi insicurezza e basta.

  Tornando al meccanismo della Lista Stralcio, non esistendo l'anzianità come parametro poteva succedere che l'ultimo arrivato passasse avanti a chi stava lì da più tempo, perché aveva un figlio in più o un reddito più basso. Questo provocava invidie o tensioni?

  No, era un fatto condiviso da tutti. Io sono andato a lavorare in fiera proprio perché ero disoccupato con due figli a carico, quindi avevo un punteggio abbastanza alto. Lavorando accumulavi reddito per cui venivi abbassato come graduatoria.

  Oggi non esiste più il collocamento, le chiamate avvengono azienda per azienda per meccanismi clientelari o addirittura casuali. In questo momento credi che sarebbe accettato, culturalmente, dai lavoratori il fatto che chi ha una condizione di reddito e familiare più svantaggiata passi avanti agli altri?

  Penso che avere carichi familiari e non avere reddito indichi una situazione di bisogno e che il bisogno sia il primo criterio da utilizzare: per me è una cosa logica e penso che sia condivisibile. E' vero che ora la situazione è più difficile, ma comunque non credo che i lavoratori vi si potrebbero opporre.

  La situazione generale, oggi, è quella non solo di salari bassi e scarsi diritti ma di accettazione da parte degli stessi lavoratori. Secondo te, perché tanti ragazzi accettano tutto questo senza opporsi?

  Noi consideravamo il lavoro un diritto. Oggi per la volontà padronale di annullare questo diritto tramite la precarizzazione del lavoro, il lavoro viene considerato come una meta da raggiungere, qualcosa che non ci spetta e che se ce l'abbiamo siamo fortunati. E questo dà luogo a una forte concorrenza e all'accettazione di condizioni sempre peggiori.

  La fase di mobilitazione che tu hai vissuto seguiva una fase di movimenti nazionali e internazionali, quella che va dal '68 al '77. In particolare buona parte dei protagonisti del movimento dei precari della Fiera venivano dal movimento di Bologna del '77. In che modo questo ha influito sulla vostra mobilitazione?

  Se non ci fosse stato il '77 al 90% non ci sarebbe stata nemmeno la Lista Stralcio. Non solo, il clima che si era creato nel '77 ha avuto un peso anche sulle rivendicazioni che siamo riusciti a fare in fiera, perché i dirigenti stessi avevano paura della nostra capacità di mobilitazione.

  Oggi, fra i dipendenti di BolognaFiere, c'è un fenomeno di parziale identificazione del lavoratore con l'azienda: in molti cadono nella trappola del "Siamo tutti dalla stessa parte, se si perdono fiere non c'è più lavoro, conviene anche ai dipendenti che le cose vadano bene." Ai tuoi tempi questo meccanismo esisteva?

  No, e penso che sia sbagliato anche adesso. Non c'era la paura che qualcuno ci portasse via le fiere, anche perché sapevamo bene che se una fiera chiudeva non dipendeva certo dalle rivendicazioni dei lavoratori. Credo che sia un discorso montato ad arte, che fa solo il gioco dei padroni.

  In alcuni casi i lavoratori di BolognaFiere negli ultimi anni sono riusciti ad usare a proprio vantaggio le fiere più importanti o le fiere a rischio, ponendo una rivendicazione e minacciando lo sciopero. E' una strategia che usavate anche voi?

  Sì, certo. Molte delle rivendicazioni più forti le sottoponevamo all'azienda proprio alla vigilia delle fiere importanti. In caso di mobilitazione poi il corteo interno è un'arma importante da usare, proprio perché mette in crisi l'immagine dell'azienda, sia verso l'esterno che verso gli stessi espositori. Noi sfruttavamo a nostro vantaggio proprio il problema d'immagine della Fiera.