Debby, israeliana, Jihan, palestinese, lanciare messaggi contro la guerra

Se la pace la fanno le donne


21 dicembre 2001 - Elisa Sangiorgi

Donne in nero in prima linea a Gerusalemme e in molte città europee per dare un sostegno al processo di pace in Medio Oriente. Anche a Bologna è prevista una manifestazione per il 28 dicembre.
Molto commovente la serata organizzata dall’Associazione Orlando e dalle Donne in Nero alla sala dello Zodiaco lunedì scorso, 10 dicembre. Due amiche, una israeliana Debby e l’altra palestinese, Jihan, si sono avvicendate in un racconto dettagliato della attuale situazione mediorientale, tentando di convincere la platea della possibilità di un percorso di pace tra questi due popoli. Non è facile purtroppo pensarla così. I riflettori del mondo sono puntati sul Medio Oriente dall’11 settembre, data in cui il premier Sharon si è sentito legittimato ad agire con una violenza inaudita contro i palestinesi, bombardando ferocemente ogni sorta di edifici, militari e non, assediando le città e i villaggi, espandendo gli insediamenti israeliani a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est, uccidendo decine di esponenti politici palestinesi. L’esasperazione ha prodotto un terreno favorevole al rafforzarsi di gruppi fondamentalisti autori di terribili attentati di cui sono state vittime decine di civili innocenti. Ma l’idea, superficiale e di comodo, che i palestinesi in toto potessero essere paragonabili ai terroristi internazionali, e quindi che potessero essere colpiti con una vera e propria guerra, ha prodotto i risultati che tutti noi vediamo. Ogni città palestinese è circondata da una striscia di coloni e di militari. I palestinesi non possono spostarsi da una città all’altra, ci sono posti di blocco ovunque. I palestinesi maschi perdono facilmente il lavoro, non potendo raggiungere le città israeliane. Jihan, consigliera comunale di Betlemme ha raccontato quanto sia difficile la situazione ora. Ha criticato le strategie politiche che permettono agli israeliani di sentirsi, nonostante tutto, vittime. I metodi terroristici e violenti, qualsiasi essi siano, sono stati oggetto di una ferma condanna, che potremmo definire quasi di genere. Il pensiero sotteso che si percepisce, ma non si dice, è che se la politica fosse in mano alle donne, forse tutta questa violenza si potrebbe arginare. Gli uomini palestinesi si sentono completamente deresponsabilizzati, poiché a loro tutto è vietato. Questo implica che alle donne spettano tutti i compiti: dall’approvvigionamento delle risorse alla gestione della casa, dalla cura dei figli alla protezione della famiglia. Debby, donna in nero e forte oppositrice di questo governo, svolge l’azione esemplare di manifestare, con altri pacifisti, davanti ai militari, di organizzare gruppi di scudi umani davanti alle case che stanno per essere colpite, di avvisare i palestinesi quando sa che gli israeliani attaccheranno, di ricostruire le case distrutte durante i bombardamenti.
«Il conflitto in corso non sta distruggendo solo la società palestinese, ma anche quella israeliana. Di questo passo sarà difficile costruire una società civile e pacifica, con radici solide. Stiamo perdendo il senso di chi siamo. E’ difficile essere pacifisti in un paese in cui sembra che la violenza possa risolvere ogni cosa e alle manifestazioni vanno sempre meno persone. Ma non si può demordere, è una battaglia che deve continuare».
Ad un certo punto prende la parola una ragazza dalla platea. Anche lei è palestinese. «Ho sempre creduto che non ci fosse possibilità alcuna per migliorare il rapporto tra noi e Israele, ma sentendo voi ho cambiato idea. Grazie».
Debby e Jihan stanno girando l’Europa per portare una voce a favore della pace. Adesso la Commissione Europea, che le ha invitate a Bruxelles, sta cercando una collaborazione per frenare l’escalation di violenza. Entrambe chiedono osservatori internazionali, certe del fatto che solo dall’esterno si potrà trovare una soluzione pacifica, solo con l’attenzione del mondo rivolta al Medio Oriente. Chiedono il ritiro dai territori occupati abusivamente, vergognosamente, dal 1967. Chiedono che questo tentativo di annientamento di un intero popolo cessi immediatamente. L’azione per la pace che queste persone quotidianamente svolgono è un favore che fanno all’umanità. Perché se davvero un mondo diverso è possibile, bisognerà farlo così, con questa voglia di costruire, anche dalle macerie, dei rapporti sociali e umani migliori. Le donne in nero, molte associazioni, i sindacati, le istituzioni nazionali e i governi locali e diverse Ong hanno costituito in Italia un Comitato promotore della creazione della Piattaforma per la pace in Medio Oriente che organizza, in coordinamento con gli interlocutori israeliani e palestinesi, un’iniziativa politica che si svolgerà a fine anno a Gerusalemme, e contemporaneamente in molte città italiane tra cui anche Bologna, per esprimere solidarietà alla popolazione civile palestinese, per sostenere le voci di pace in Israele, per facilitare la ripresa del dialogo fra palestinesi e israeliani, per dare un segnale politico alla comunità internazionale perché venga posta fine all’occupazione e al massacro, per l’invio di una forza internazionale e per un ritorno ai negoziati fino al raggiungimento di una pace giusta tra i due popoli.