Guazzaloca a metà del guado, la morte di Carlo Giuliani, il congresso DS e altre storie

Pensierini per le feste


21 dicembre 2001 - Rudi Ghedini

TRENTA MESI SU SESSANTA
Non conosco Guazzaloca, non mi è mai capitato di parlargli, ma sono sicuro che una cosa, di lui, l’ho capita: il nostro sindaco si diverte. Già aveva manifestato incredulità per la vittoria del 27 giugno 1999, sapeva di essere stato molto fortunato, perché il numero di errori commessi dai suoi avversari ha superato ogni logica previsione. Ma la vera, grande fortuna (di cui penso sia consapevole) gli è caduta addosso dopo: la sua attività di governo è concretamente mediocre, nessuno dei problemi ereditati da Vitali è nemmeno avviato a soluzione, eppure la maggioranza dei bolognesi pare convinta che Guazzaloca non abbia colpe. Tutt’al più, è colpa di qualche assessore (ne ha scelti di capaci e incapaci, di lavativi e impegnati, almeno un paio restano impresentabili), senza che al sindaco arrivi un solo schizzo di fango. Quando ti trovi, fra gli alleati, personaggi come Garagnani e Rocco di Torrepadula, è chiaro che farai una bella figura...
Più che un ex macellaio, Guazzaloca sembra un ex pescivendolo, per l’abilità anguillesca con cui riesce a stare al riparo dalle critiche dell’opinione pubblica. Piuttosto, ci sarebbe da discutere su cosa sia l’opinione pubblica, a Bologna. I tre quotidiani (Carlino, Repubblica e Domani) cercano di interpretarla, quando non sono troppo occupati a costruirla, ma perdono colpi: le millecinquecento persone che sono rimaste 6 ore al TPO, lunedì 17 dicembre, ad ascoltare Giulietto Chiesa, Agnoletto, Tortorella, Giordano, Bettin, Salvi, Casarini, eccetera... l’hanno fatto nonostante il silenzio, tanto simile al boicottaggio, dei grandi mezzi di informazione. Abituati a inseguire i retroscena del ceto politico, i costruttori dell’opinione pubblica hanno perso di vista le persone vere. Escludendo questo mondo dalla rappresentazione, rimane un quadro asfittico, assai poco interessante. Non c’è mai stata meno passione per la politica locale, se si votasse domani, ci sarebbe un tracollo nella partecipazione al voto.
Guazzaloca sa di essere fortunato, e la sua fortuna è vivere in sintonia con questo mediocre senso comune. Cosa piace di lui? La furbizia. L’aria sorniona. La famosa bolognesità.

CAMBIARE O MORIRE?
Il congresso DS è ruotato intorno allo slogan fassiniano “Cambiare o morire”, il cui tono drammatico è senz’altro condivisibile. Valutando le scelte partorite, viene da dire, tristemente, che il risultato è scontato, e il vero dilemma è se morire in fretta o di inedia.
La stessa sopravvivenza si regge su una scommessa destinata a fallire, a Bologna come a Roma. Qui e là, DS e Ulivo vegetano in animazione sospesa, come gli astronauti in certi film di fantascienza, nel corso di lunghi viaggi interstellari: DS e Ulivo trattengono il respiro, aspettano che Berlusconi e Guazzaloca (accomunati anche da problemi di salute, su cui pare poco fine insistere) si facciano da parte, da soli, liberando il campo. Non sembrano concepire il rischio che, la prossima volta, bastino il vice-Berlusconi e il vice-Guazzaloca, a farli (farci) perdere.
Forse il declino del centro-sinistra sarà persino più rapido dell’uscita di scena degli attuali avversari. A Guazzaloca e Berlusconi, anzi, voglio rivolgere i migliori auguri per i loro, eventuali, problemi di salute: il nuovo movimento contro la globalizzazione americana ha bisogno di tante cose, ma non di fretta. A Bologna, in particolare, la situazione del sindaco mi sembra più solida di quella del Cavaliere, non avendo scheletri negli armadi come Previti e Dell’Utri. Persino Repubblica, alla perenne ricerca dei cavalli vincenti, sta valutando l’ipotesi di sostenere Guazzaloca, per un secondo mandato.
Intanto, sarebbe bello intendersi sul significato delle parole più ossessionanti: il verbo “cambiare” e l’aggettivo “riformista”. Chi disponesse di qualche risposta, ha tempo e modo di farcelo sapere: il lungo viaggio interstellare, verso la riconquista del governo, se mai vedrà la fine, è appena cominciato.

CHE FATICA,
LA DEMOCRAZIA
Che Massimo D’Alema sia il vero vincitore del congresso diessino, pare evidente. Eppure, era su di lui che si concentravano, a torto o a ragione (secondo me, a ragione) le responsabilità per la serie di sconfitte che hanno portato il suo partito al minimo storico.
In realtà, il congresso diessino ci consegna un risultato assai istruttivo: ci consente di rifare i conti con la cosiddetta Democrazia di Mandato, concetto modernissimo, traducibile con un antico, prosaico “non disturbare il manovratore”. Il leader vuole essere lasciato solo, libero di fare quello che gli pare, nessuno deve criticarlo, poi se va male, promette di farsi da parte. Questo in teoria. In pratica, il leader sconfitto potrà sempre dire che non è stato sostenuto, e che la colpa della sconfitta è di chi non l’ha appoggiato.
Il funzionamento della democrazia, in un partito come in una città, è faticoso, pieno di inconvenienti: per esempio, ci sono quelli che non sono d’accordo, per i motivi più strani, con le scelte illuminate di chi comanda. E’ un bel problema... La Destra tende a risolverlo con spigliato decisionismo, dando del “comunista” a chi capita; oppure teorizza che la politica deve funzionare come le aziende private, dove comandano in pochi, o addirittura uno solo, e tutti gli altri sono chiamati a eseguire e obbedire, meglio se con il sorriso sulle labbra.
La sinistra di governo (ancorché senza governo) ha un’altra educazione, è abituata a rispettare i contestatori, il pensiero dialettico non è stato ancora assassinato dal virus decisionista. Però gli anticorpi si sono indeboliti, così che i leader pretendono di autodefinirsi innovatori, e chi dissente è, automaticamente, un conservatore. Nel commentare ogni sconfitta, la formula preferita da D’Alema è “resistenze al cambiamento”.
IL VIDEO DI BIN LADEN
E’ stata una visione effettivamente raccapricciante. Non “l’incarnazione del Male”, come hanno scritto alcuni commentatori, perché il Male ha mille forme, anche quelle, “banali” degli impiegati dell’Olocausto, descritti da Hannah Arendt; e c’è gente al Pentagono e alla CIA, la cui moralità non credo sia tanto diversa da quella del peggiore integralista islamico.
No, la cosa raccapricciante di quel video è la strumentalizzazione dei kamikaze, il bieco sorriso che accompagna la certezza che vi sia gente disposta a farsi ammazzare per una parola d’ordine, pronunciata da un’autorità che è riuscita a farsi credere “spirituale”. A Osama, dei Talebani non è mai importato niente, erano carne da macello. Anzi, erano un sacrificio necessario, affinché i potenziali candidati al martirio potessero moltiplicarsi. E’ questa guerra oscena che li moltiplica.
La scelta di mandare in onda quelle immagini, in un’epoca che vede il dominio della censura militare, risponde a una necessità del governo americano: personalizzare il nemico, toglierlo da una dimensione astratta e dargli un volto; emozionare il pubblico, per distoglierlo dai ragionamenti sulle effettive finalità della Giustizia duratura e sul raggiungimento degli obiettivi dichiarati. La guerra globale permanente ha bisogno di identificare nemici e di semplificare i discorsi: Buoni vs. Cattivi, Civiltà vs. Fanatismo, Noi vs. Loro.
C’è poi un aspetto secondario, legato alla diffusione del filmato: il fatto che si dia per scontato che è tutto vero, che si tratti della “pistola ancora fumante”, per dire di una prova inconfutabile. Strano che questa certezza valga solo per le prove procurate da certe fonti, abituate a manipolare la verità almeno dei tempi dell’omicidio del primo Kennedy, e già indiziati per avere sperimentato nei loro laboratori quell’antrace che ha terrorizzato la popolazione americana. Invece, i filmati amatoriali di Genova, prodotti da gente comune, centinaia di testimoni oculari, senza secondi fini, nel migliore dei casi sono stati considerati faziosi.

DUE COLPI, DUE PISTOLE
Sembrava tutto chiaro: il carabiniere Placanica ha confessato di avere sparato lui, per legittima difesa, alle 17 e 27 del 20 luglio scorso, da quella camionetta dei carabinieri che abbiamo visto e rivisto mille volte. Sull’asfalto di piazza Alimonda è rimasto il corpo senza vita di Carlo Giuliani, ma la più tragica delle vicende di Genova sembrava una delle meno oscure.
Ora si viene a sapere che gli spari furono due. Da due pistole diverse.
Chiunque abbia a cuore la fragile democrazia di questo Paese deve pretendere, subito, tutta la verità. Quel carabiniere, forse, ha perso la testa. Altri no. La versione ufficiale è crollata miseramente. Altre menzogne sarebbero insopportabili.

NOIALTRI
Mesi fa, sulla copertina di questo giornale, ho scritto che il Bologna Social Forum era “l’ultimo dei problemi di Giorgio Guazzaloca. Voglio dire che noi – tutti noi – finora non siamo stati capaci di portare sul piano locale la critica a questa globalizzazione (...) Troppo spesso la capacità di iniziativa di questo movimento si limita allo sguardo planetario (...) Sarà il caso di fare i conti con le scelte della giunta Guazzaloca. Con la sua idea di città e la sua concezione di cittadinanza (...) Noi che riteniamo la democrazia un valore universale, vogliamo cominciare a vederne le conseguenze dentro ai viali di circonvallazione?”.
Non si diventa simpatici, a scrivere cose così (non si diventa simpatici nemmeno ad autocitarsi). Nelle intenzioni, voleva essere un discorso materialista: esprimeva la convinzione che il nostro fosse uno sguardo presbite, incapace di vedere ciò che è più vicino, con forti rischi di astrattezza. C’è un vecchio slogan di Legambiente che continuo a trovare efficace: Pensare globalmente, agire localmente.
Oggi sento il bisogno di dire che ero stato precipitoso. La consapevolezza della necessità di “fare i conti con le scelte della giunta Guazzaloca” è rapidamente cresciuta, e questo movimento rappresenta, nei fatti, la più incisiva opposizione (sarei per dire l’unica) che si sta manifestando in città. I nostri limiti sono evidenti, ma essere sopravvissuti a Genova e all’11 settembre è un motivo di speranza. Bologna, c’è da scommetterci, nel 2002 non sarà una città pacificata, e al signor Guazzaloca non basterà fare l’anguilla.