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Siria / Continuano i rastrellamenti a Jisr Al-Shughour

Vanno avanti le operazioni dell’esercito in questa cittadina dove, dicono le autorità, si nascondono i terroristi armati che hanno ucciso 120 poliziotti. Per gli oppositori invece e’ in corso una brutale repressione

13 Giugno 2011 - 16:18

di Mariam Giannantina da Nena News

Roma 11 giugno 2011, Nena News – A Jisr al-Shughour 40 carri armati e 15,000 forze speciali dell’esercito sono impegnate da venerdi’ in un’operazione militare che secondo l’agenzia ufficiale Sana e’ stata richiesta dai residenti ed ha gia’ portato alla cattura dei 2 capi di bande di terroristi accusati dell’uccisione di 120 poliziotti. Nella citta’, praticamente deserta, sono state tagliate acqua, elettricita’, comunicazioni. “E’ uno scenario di guerra” racconta un residente di Jisr al-Shughour rifugiatosi in Turchia, il cui numero aumenta di giorno in giorno: 5,000 secondo le autorita’ turche sono ospitati nel campo di Yayladagi ed un altro e’ in allestimento per ospitare altre migliaia di potenziali arrivi accampati dall’altra parte del confine (circolano voci che che le autorita’ turche abbiano disegnato uno scenario di 500.000 /1 milioni di arrivi). La Turchia conferma la propria politica delle porte aperte verso i rifugiati siriani e la capacita’ di accoglienza viene riconosciuta dall’ACNUR. I rifugiati siriani, tra cui alcuni soldati che hanno disertato, raccontano che le violenze sono scoppiate perche’ gruppi di soldati si sono rifiutati di obbedire agli ordini di sparare sui civili e si sono scontrati con le forze di sicurezza. I testimoni insistono che i cittadini di Jisr al-Shughour, teatro di proteste contro il regime nelle scorse settimane, non sono armati.

I campi intorno a Jisr al-Shughour sono stati bruciati ed il bestiame ucciso, la TV siriana incolpa i terroristi, i residenti sostengono e’ opera dell’esercito. Attivisti riferiscono che dagli elicotteri la polizia ha sparato con artiglieria contro i civili nel villaggio di Maraat al-Numan, a sud di Idlib, circondata dai carri armati, dove la scorsa settimana, secondo fonti locali non confermate da media indipendenti, oltre 50.000 manifestanti hanno protestato conto il regime, provocando, sempre secondo queste fonti, 23 vittime.

Il premier Erdogan (amico personale di Bashar Al Assad), alla vigilia di elezioni che lo vedranno vincere il terzo mandato, accusa la Siria di “atrocita’ inumane” di cui attribuisce esplicitamente la responsabilita’ a Maher Al Assad, fratello del presidente, capo delle forze speciali e architetto della repressione, e dichiara di sostenere una risoluzione ONU di condanna. Risoluzione che secondo il Ministro degli esteri siriano “galvanizzerebbe” i terroristi che stanno causando i disordini e a cui la Russia si oppone senza mezzi termini. Gli oppositori chiedono una chiara e ferma di condanna del regime da parte della comunita’ internazionale ma si dichiarano contrari ad un intervento armato. “L’intervento straniero sarebbe un disastro per la rivoluzione, nessuno vuole finire come la Libia o l’Iraq” afferma Salim, un’attivista fiero dell’autonomia nazionale come la maggior parte dei siriani. “Meglio finire sotto i bombardamenti della NATO, almeno sarebbero colpiti anche loro, non solo noi come avviene adesso” si sfoga invece Maher, un altro oppositore. Alla domanda se i manifestanti, almeno alcuni, siano armati si raccolgono voci contrastanti, ed impossibili da verificare. “A Duma (sobborgo di Damasco), come in tutta la Siria rurale “ogni famiglia ha un’arma in casa ma nelle manifestazioni non ci sono armi” dice Ibrahim, di Duma. “Dopo tre mesi di proteste pacifiche in cui almeno 1.300 persone sono state uccise dalla polizia e’ comprensibile che alcuni stiano pensando di difendersi e di rispondere” afferma Mujed, altro oppositore “ma la forza delle proteste e’ il loro essere pacifiche. In tre mesi hanno ottenuto piu’ riforme che in 50 anni, e hanno mostrato la vulnerabilita’ del regime, che ha finalmente ammesso l’esistenza di un’opposizione”. Il quotidiano pro-governativo Al-Watan ha annunciato che entro 10 giorni si terra’ la conferenza per il dialogo nazionale “aperta tutti coloro che vorranno prendervi parte, anche dell’opposizione, e che non hanno un’agenda straniera”. Alto lo scetticismo tra gli oppositori, che chiedono prima la fine delle violenze, la liberazione dei prigionieri politici e la garanzia di liberta’ d’opinione. Anche se Michel Kilo, importante figura dell’opposizione afferma che “la crisi e’ politica, va trovata una soluzione politica.”

L’ipotesi che il paese cada in una guerra civile tra sostenitori del regime ed oppositori, campi che coincidono in parte con linee settarie –alawuiti ed altre minoranze religiose i primi, sunniti i secondi, e’ considerata reale da molti. Anche se i manifestanti hanno spesso sottolineato con lo slogan “il popolo siriano e’ uno, sunniti, alawuiti, cristiani uniti per la liberta’” di non voler alimentare lo scontro settario. Nena News

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