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Opinioni / “In via Mascarella, guardando un orizzonte lontano”

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione sulla giornata dell’11 marzo ed il ricordo di Francesco Lorusso: quanto successo “merita una riflessione e l’apertura di una discussione franca”.

13 Marzo 2014 - 14:41

11 marzo 2014

La giornata di ieri [martedì, NdR] merita una riflessione e -pensiamo – l’apertura di una discussione franca tra tutti coloro che ieri hanno partecipato alle mobilitazioni. La storia oramai racconta questo: l’11 marzo di 37 anni fa veniva assassinato Francesco Lorusso, raggiunto dai proiettili sparati da un carabiniere. Era un ragazzo, uno studente militante di Lotta Continua. Ieri però è accaduto qualcosa. La commemorazione, che negli ultimi anni aveva assunto caratteri istituzionali, è stata trasformata in un atto di ribellione e nella riappropriazione di simboli e significato da parte dei compagni, soprattutto giovani.

Come mai, persone che non hanno vissuto quel tempo, hanno sentito questa necessità? Perché hanno voluto allontanare i rappresentanti delle istituzioni da quel momento di memoria? Sfuggire a queste domande vuol dire essere ciechi, vuol dire avere paura della realtà!

Noi vorremmo provare a leggerla, questa realtà.

Il comportamento delle istituzioni bolognesi, prima tra tutte il Comune, ha avuto il carattere di quella che Lenin, in “Stato e Rivoluzione”, descrive così: “Le classi dominanti hanno sempre perseguitato, in vita i rivoluzionari, la loro dottrina è sempre stata oggetto dell’odio più selvaggio e delle più furibonde campagne di menzogne e di diffamazione. Ma, dopo morti si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per cosi dire, di cingere di un’aureola di gloria il loro nome, a consolazione, mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota la sostanza del loro insegnamento rivoluzionario, se ne smussa la punta rivoluzionaria, lo si avvilisce”.

Non paghi di ciò, le istituzioni e i loro rappresentanti, mentre canonizzavano un ragazzo caduto per mano e volontà dei loro predecessori, continuavano a invocare il pugno di ferro contro i protagonisti delle lotte sociali, a Bologna come in Val di Susa, come a Roma o a Napoli.

Gli ultimi a distinguersi -in questo esercizio di legittimazione politica delle misure repressive- sono stati proprio il sindaco Merola e il presidente del Quartiere S. Vitale, Milena Naldi.

Tutto ciò, tuttavia, non spiega completamente i fatti di ieri: la cacciata di istituzioni e loro rappresentanti, lontani anni luce dalla realtà e dai bisogni popolari e il combattivo corteo della serata.

A nostro parere, quello che è emerso è una nuova e più forte volontà di lotta. È emersa la necessità di costruire un fronte unitario che tenga insieme –proprio a partire dalle lotte in atto, sulla casa, sul lavoro, nell’università e nelle scuole- tutte e tutti i protagonisti sociali che le combattono. Costruire una nuova unità di classe per proseguire con efficacia le lotte stesse e per difendersi dalle misure coercitive e dall’aggressività delle forze dell’ordine.

Infine, una consapevolezza: esiste un filo rosso che cuce insieme la vita, le lotte, le vittorie e le sconfitte –compresa la dura morte- di chi lotta oggi e di chi lo ha fatto, lungo i decenni.

Le lega alle vite di tante compagne e tanti compagni, come a quelle di tanti che solo aspiravano a un lavoro migliore, a un tetto migliore, a una vita migliore. Appartengono a tutti quelli che si battono oggi per le stesse ragioni.

Contengono, esprimono e traducono la rabbia, le ragioni e le aspirazioni di ogni generazione che il profitto e l’avidità di pochi separa dal proprio presente e dal proprio futuro.

Ci sono compagni che camminano guardandosi la punta delle scarpe, altri addirittura il tacco. Ci sono militanti della sinistra che hanno paura del futuro e stravolgono per questo il passato e ci sono compagni che guardano un orizzonte lontano.

Noi sentiamo di appartenere a questi ultimi, senza pensare che questo sia un merito: è, semplicemente, ciò che siamo.

Oggi Francesco Lorusso sarebbe stato un bravo medico, uno di quelli che non obietta davanti l’esercizio del diritto d’aborto,uno di quelli che avrebbe rifiutato di denunciare migranti irregolari.

Ma noi siamo andati oltre e abbiamo riconosciuto Francesco davanti ai cancelli della Granarolo a fianco dei facchini che lottano per il lavoro e la dignità di lavoratori non schiavi; abbiamo incontrato Francesco nelle strade di Genova e davanti alle ruspe mandate a distruggere le baracche sul Lungo-Reno; abbiamo trovato Francesco nelle case occupate da chi non ha un tetto; abbiamo visto Francesco in Piazza Verdi mentre spingeva e si batteva per i diritti di ognuno.

Lo abbiamo visto bene e lo abbiamo visto sorridente, consapevole che nessun carro armato, nessun  proiettile, nessun assessore, proprio nessuno potrà interrompere la lotta per un mondo migliore.

Consapevole che nessuno potrà scrivere e distorcere la nostra  storia, che racchiude anche il nostro futuro.

Chi, come noi, ha Francesco in mente e nel cuore sa bene che lui e le decine e decine di compagni e compagne assassinati da una Stato feroce, saranno sempre nostri compagni di lotta.

Tiziano Loreti
Sergio Spina

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