Attualità

Libano / Gli invisibili profughi siriani

Affluiscono a migliaia, soprattutto nel nord del Paese dei Cedri, ma le dimensioni del problema vengono sminuite dalle autorita’ spesso per ragioni politiche e sociali interne

19 Aprile 2012 - 16:36

LIBANO: GLI “INVISIBILI” PROFUGHI SIRIANI

Di Luca Paolo Cirillo da Nena News

Tripoli del Libano, 19 aprile 2012, Nena News – Chi in un garage, chi in un monolocale, chi sul divano a casa di amici, chi un appartamento malridotto. I più fortunati hanno un materasso singolo da condividere solo con un’altra persona. I meno fortunati dormono a terra ed un materasso se lo devono inventare tutti le notti. Carenza di cibo, difficoltà nel reperire acqua potabile, assoluta mancanza di assistenza medica, condizioni igieniche in precario equilibrio. Senza denaro, senza lavoro, senza scuola e senza patria. Lo stato, quello libanese, è per il momento totalmente assente.

NUMERI E POLITICA

1900 famiglie per un totale di circa 10000 persone nella sola Tripoli, città prediletta per l’immigrazione in quanto storica roccaforte sunnita. In tutto il paese, l’organizzazione no-profit Caritas Lebanon ha contato circa 30mila rifugiati distribuiti principalmente nel nord e nella valle del Bekaa. Simon Faddoul, presidente dell’associazione, ha dichiarato: “Le cifre ufficiali dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati parlano di 8-9mila sfollati siriani, registrati ufficialmente. Ma solo una minima parte dei profughi si registra, perché questi sono terrorizzati, temono per la loro vita e per la vita dei loro familiari che sono ancora in Siria. Secondo nostre stime, ve ne sono già oltre 30mila, e il flusso continua. I rifugiati sono cristiani e musulmani, sono stremati e disperati. I nostri volontari notano che hanno molta paura di ritorsioni, alcuni da parte delle forze del regime siriano, altri da parte delle forze di opposizione. Non vogliono essere fotografati, non vogliono dare i loro nomi e preferiscono restare in incognito. La situazione si è aggravata negli ultimi due mesi. Ogni giorno arrivano nuovi profughi. L’emergenza umanitaria già c’è, ma attualmente riusciamo a contenerla. Se l’esodo continua, però, la situazione potrebbe presto diventare insostenibile”. I numeri forniti da Caritas Lebanon superano quindi di gran lunga quelli delle autorità. Secondo le Nazioni Unite, 30mila sarebbero in totale le genti uscite dalla Siria e ridistribuite tra Turchia, Giordania e – appunto – Libano. Il nodo della questione è uno. Le autorità riconoscono come profughi solo coloro che sono usciti dalla Siria con permesso legale, ignorando completamente in quanti – e sono la maggioranza – hanno preferito la clandestinità. Ed ecco perché lo stato libanese è assente e può essere assente.

BUSINESS E DINTORNI

“100 dollari per una famiglia, 300 per un ricercato. Queste sono le tariffe.”

Tristi e sincere le parole di Abu Ahmad. Per lui sei figli, due mogli, due fratelli uccisi dal regime ed un lavoro come venditore ambulante di noccioline. E come meravigliarsi se i 1500-2000 dollari annuali a persona chiesti dallo stato libanese per far avere un istruzione ai suoi figli sono troppi.

Abu Ahmad ci racconta la sua storia.

Per lui e la sua famiglia ci sono voluti quattro giorni per coprire i poco più di 100km che separano la sua città, Homs, da Tripoli. Scortati da alcuni soldati del FSA (Free Sirian Army) hanno dovuto superare infiniti check-point dell’esercito lealista. “Di solito ci muovevamo di notte per questioni di visibilità. Quando c’era un check-point dell’esercito i nostri ragazzi – così si riferiva alle milizie FSA – ci lasciavano in un posto sicuro e distraevano il nemico da un altro punto cosicché noi potessimo correre nell’oscurità senza essere visti.” Tutto a piedi. Una volta in prossimità del confine hanno dovuto affrontare la parte più difficile: evitare le mine antiuomo ovunque presenti. “Coloro che ci hanno accompagnato meglio si muovevano sulle zone montuose che abbiamo attraversato ed erano a conoscenza dei sentieri minati. Solo grazie al loro aiuto abbiamo potuto abbandonare la Siria ed arrivare in Libano sani e salvi.”

Così come Abu Ahmad tante altre persone hanno varcato il confine in clandestinità. La durata del viaggio è sempre approssimativa. C’è chi ci ha impiegato un solo giorno e chi, invece, di giorni ne ha impiegati anche quindici. Tutti stanchi della repressione e tutti pronti a rischiare la vita pur di poter finalmente riabbracciare la tanto agognata libertà. “E’ bello svegliarsi ed essere liberi. Non vivremo mai più un giorno sotto il regime di Bashar Al-Assad, piuttosto preferiamo la morte!” Al momento Abu Ahmad e la sua famiglia vive a Baddawi, zona periferica di Tripoli, in un appartamento a dir poco fatiscente. “Quello che riesco a guadagnare in un mese ci dura poco più di una settimana. Se non fosse stato per la fantastica accoglienza della città saremo già morti da un pezzo.” Questo è il quinto mese che questa famiglia di rifugiati vive in Libano. In cinque mesi sono riusciti ad ottenere aiuti umanitari una sola volta e la situazione per loro si fa sempre più difficile. “Non possiamo contare per sempre sulla benevolenza dei cittadini libanesi. Quando siamo arrivati sembrava una processione. Da tutte le case persone partivano per portarci il loro dono di benvenuto. Ma una soluzione si deve trovare, le famiglie siriane continuano a varcare il confine ed i nuovi arrivati sono sempre quelli che hanno bisogno di maggiore aiuto.”

In tutto un centinaio di persone a settimana riescono a raggiungere il Libano. Fatti due conti, un business abbastanza consistente per i numerosissimi sciacalli di sventure umane.

ORGANIZZAZIONI ED OBIETTIVI

Nel caos totale della realtà libanese riguardo all’emergenza profughi si distinguono su tutte due associazioni attive ed operative, entrambe con sede a Tripoli. Una dagli scopi politici e dedita all’attivismo The Sirian Refugees Congregation, l’altra dal taglio maggiormente umanitario The High Organization for Refugees Lebanese.

La prima delle due, The Sirian Refugees Congregation, è l’associazione che organizza puntualmente ogni venerdì manifestazioni di protesta antiregime. Amin Mando, il suo leader, è un giovane siriano da anni residente in Libano. L’associazione coordina i movimenti di resistenza presenti in Libano ed il suo obiettivo fondamentale è quello di aiutare l’immigrazione. “Visto che lo stato libanese è cieco di fronte alle nostre necessità, non ci resta che aiutare l’immigrazione quanto più possibile, costruire dei campi profughi noi stessi e mettere il governo di fronte ad una situazione già definita. Non ci fermeremo davanti agli ostacoli burocratici. I nostri concittadini muoiono ogni giorno sotto le bombe di Assad e non sarà certo l’assenza di un pezzo di carta – riferendosi al visto per passare la frontiera – ad impedirci di salvare la vita a quante più persone possibile.” Queste le parole del suo leader che poi prosegue affermando che un altro obiettivo della sua associazione è quello di svegliare l’opinione pubblica mondiale sulla situazione dei profughi siriani. Insiste sull’importanza dei media e spera in un maggiore interesse di questi riguardo la questione: “E’ solo ottenendo un ampia cassa di risonanza mondiale che potremo fare progressi concreti per aiutare i nostri concittadini.”

The High Organization for Refugees Lebanese, ha un taglio meno rivoluzionario e più umanitario. L’associazione si prodiga, per quanto possibile, nell’assistenza ai nuovi arrivati, distribuendo gratuitamente cibo, medicine ed abiti. In questo centro d’accoglienza non si fanno distinzioni tra chi è in possesso di un visto e chi no. Qui vengono curati i tanti feriti che varcano il confine, vengono assistiti i parti e ripartite ingenti quantità di medicinali per i bisognosi. Negli ospedali comuni libanesi, anche chi non è in possesso di visto può essere curato pagando però un compenso piuttosto salato. Anche per l’assistenza ai bisognosi “comanda il Dio Denaro” tristemente ci rivela uno dei funzionari dell’associazione che per motivi di sicurezza preferisce restare in anonimato. In questi centri hanno assoluto bisogno di sangue. E sono proprio i cerotti posizionati internamente all’altezza del gomito uno dei segni distintivi dei tanti profughi siriani presenti nella città. Nena News