Nell'ambito della XXII Fiera internazionale del Libro, svoltasi a Torino dal 14 al 18 maggio, Lingua Madre progetto della Regione Piemonte che si propone di valorizzare e salvaguardare la diversità culturale e linguistica e la memoria delle comunità autoctone ha ospitato la scrittrice, poetessa, giornalista e attivista politica nicaraguense Gioconda Belli.
L'occasione è stata la presentazione del suo ultimo libro pubblicato in Italia lo scorso febbraio da Feltrinelli, L'infinito nel palmo della mano.
Un libro decisamente diverso, tanto nel linguaggio quanto nei soggetti, rispetto ai suoi classici.
Gioconda Belli ha raggiunto la massima notorietà, infatti, nel 1989 con La donna abitata, romanzo di forte impronta femminista, dove la narrazione delle lotte condotte in Nicaragua negli anni '70 dal Fronte Sandinista contro la dittatura di Somoza si intreccia con la storia della resistenza degli indigeni contro l'invasione spagnola del XVI secolo.
Oggi, invece, dopo La pergamena della seduzione (BUR, 2008), nel quale ripercorre la storia di Giovanna La Pazza, Gioconda fa un ulteriore importante passo indietro e giunge a raccontarci la storia del primo uomo e della prima donna.
«A ben vedere questa storia afferma l'autrice ha a che fare in fondo anche con la crisi che stiamo vivendo oggi. La crisi che stiamo vivendo oggi non è solo una crisi economica, è una crisi che ha a che vedere con il modo in cui noi abbiamo scelto di vivere. Il modo in cui abbiamo scelto di vivere dipende dall'identità che ci siamo dati, da come ci siamo concepiti fino ad ora e, siccome quando si va dallo psicanalista si fa l'analisi delle nostre origini, di chi erano nostro padre e nostra madre, per risolvere i nostri problemi, credo che anche ritornare a rivisitare questi miti antichi e in particolare questo mito in cui si narra del nostro primo padre e della nostra prima madre possa essere importante per ripensare il nostro modo di vivere, ovvero la maniera in cui ci concepiamo, e smettere di disumanizzarci come stiamo facendo: perché la crisi è anche questo, una forma di disumanizzazione che ci porta a distruggere anche ciò che ci circonda».
Ed ecco che la riproposizione di uno dei miti fondanti della civiltà occidentale acquista il suo particolare senso politico: ne L'infinito nel palmo della mano Gioconda Belli parte dalla storia nota a tutti e, un po' recuperando i testi apocrifi, un po' divertendosi a decostruire il mito canonico, arriva a mostrare come la stessa storia, raccontata in un altro modo, può significare qualcosa di diverso. E può, soprattutto, assumere una portata socio-politica effettivamente rivoluzionaria nei confronti della stessa società che da quello stesso mito si è generata.
«Non è questione di importanza o di gerarchia, ma secondo me la differenza tra il genere umano e gli animali è appunto data dalla coscienza: gli uomini sono capaci di trasformare se stessi e di trasformare ciò che sta intorno a loro, il loro ambiente, mentre un cane era un cane duemila anni fa, lo è ancora oggi ed è sempre lo stesso cane. La differenza non è una differenza di superiorità ma è data appunto da questa consapevolezza di sé e del proprio ambiente che porta all'acquisizione della capacità di trasformarci e di trasformare il mondo».
Un percorso in un passato nuovo, dove il mito viene spogliato dagli elementi che storicamente hanno contribuito a creare i paradigmi dell'ingiustizia sociale nella società patriarcale. Un mito, come nota l'autrice, fino ad oggi usato contro l'umanità, che capovolto si pone in difesa di un'umanità giunta ad un punto cruciale.
«Quello che volevo puntualizzare è che io narro una storia dove non c'è la colpa, ho voluto narrare la stessa storia ma senza la colpa. Sappiamo che questo è un mito fondante della cultura occidentale, che ha marcato, che ha segnato l'identità femminile in modo determinante, e io volevo dare un'immagine di Eva rivoluzionaria: una donna intelligente, una donna soprattutto che prende su di sé la responsabilità della creazione».
Un Adamo e una Eva umanizzati, scesi dal mito alla cruda realtà, all'inizio dei tempi, senza una storia, senza ruoli predefiniti, all'inizio della loro formazione e della formazione di tutto ciò che sarà, che di fatto è. Un Adamo e una Eva posti di fronte alla dicotomia che ha mosso la storia: da un lato l'istintiva aspirazione a conoscere e comprendere la realtà, il mondo, se stessi, dall'altro la proibizione di sapere, il divieto di porsi delle domande. Un Adamo timoroso, che tende ad ergersi a protettore dell'ordine stabilito. Una Eva che analizza, che cerca di capire il senso della vita, del suo stesso corpo, della solitudine in cui lei e Adamo sono relegati, che cerca di comprendere profondamente il senso più generale della dicotomia che un Dio maschio, severo, autorevole, ha posto nella loro vita. Una Eva che non ha più la colpa, ma bensì il merito di lasciarsi sedurre da una serpe critica e di lasciarsi guidare dalla sete di conoscenza.
Due gemelle come nei testi apocrifi per Caino e Abele, e una guerra di sangue e morte che si origina dalla passione e conduce alla dissoluzione di un mondo mitico per riportare le origini all'evoluzione.
«Ho invertito la storia, conclude sul libro Gioconda Belli la storia deve iniziare con l'inizio vero della realtà, che per me è l'evoluzione. Va benissimo il mito, il mito è pensarci con l'immaginazione, ma poi l'evoluzione è pensarci nella realtà».
E aggiunge: «Il problema è domandarsi se il paradiso fu l'inizio o fu la fine di qualcosa. Tutti noi abbiamo dentro questa aspirazione verso qualcosa che assomiglia al paradiso, abbiamo nella mente un'utopia».
Un'utopia che Gioconda Belli non ha mai smesso di inseguire, nonostante forse con un po' di delusione da parte dei suoi lettori più appassionati oggi le forme di lotta cui si dedica abbiano smesso di decantare la poesia militante della guerriglia sudamericana degli anni ‘70.
«In qualche modo io non ho mai smesso di fare politica sottolinea nel corso dell'intervista , ritorno spessissimo in Nicaragua e ho partecipato alle elezioni del Movimiento Renovador Sandinista, ho un blog attraverso il quale scrivo per il giornale più importante del Nicaragua, dove critico il paese, faccio le mie riflessioni, i miei commenti. Insomma, io non posso pensare a me stessa come a qualcuno che non ha a che vedere con la politica, non ci sono periodi nella mia vita ma fa parte della mia identità essere una persona politica e una persona letteraria, non ho mai smesso di essere entrambe le cose».
Così, compiendo un salto finale dal suo ultimo romanzo all'attuale situazione globale, conclude il suo intervento affermando l'esigenza di leggere la crisi che stiamo vivendo come un'occasione di rivoluzionamento dell'esistente, lasciandosi animare dalla speranza in un profondo e radicale rinnovamento politico che parta dal basso e da tutti.
«La speranza c'è, ma la speranza non viene da sola, bisogna lavorare a questa speranza e non possiamo aspettarci che i problemi economici che hanno contribuito a creare questa crisi trovino loro una via d'uscita. Dobbiamo noi stessi partecipare a questo risorgere e utilizzare questa crisi in cui siamo piombati come un'opportunità per trasformarci. Attualmente io vivo negli Stati Uniti, Obama chiaramente rappresenta una speranza, ma non è tutto, c'è bisogno di un movimento più ampio e bisogna che tutti noi partecipiamo per fare sì che questa trasformazione che abbiamo l'opportunità di compiere sia veramente profonda.
Quello che voglio dire è che non bisogna pensare che questo cambiamento debba necessariamente avvenire attraverso la politica, ognuno di noi deve giocare, avere un ruolo in questa trasformazione. Noi non possiamo pensare che la soluzione ai problemi - che tra l'altro sono anche politici - avvenga grazie ai politici, non possiamo fare sempre la parte degli spettatori e aspettare che i politici risolvano i problemi. Dobbiamo noi prendere coscienza del nostro ruolo, del nostro potere, e quindi essere meno schematici, perché altrimenti saremmo in una posizione troppo comoda».
Il prossimo libro di Gioconda Belli? «La storia di come sarebbe il mondo se fosse stato gestito dalle donne, il partito della sinistra erotica».