La Giunta Cofferati al giro di boa di metà mandato

Una verifica che sia vera

Valerio Monteventi propone con un corposo documento una riflessione ai compagni dell’Altra Sinistra, agli attivisti e ai militanti di Rifondazione Comunista, dei Verdi e del Cantiere, alle elettrici e agli elettori della cosiddetta “sinistra radicale”, a quel 12/13% che è stato determinante per sconfiggere il centro-destra nelle elezioni comunali del giugno 2004.
30 settembre 2006 - Valerio Monteventi

Rifondazione Precaria Non mi piace la rappresentazione che stanno dando i giornali dell’agire politico, a livello locale, di Verdi e PRC come se le ultime prese di posizione su restyling della stazione, grandi opere infrastrutturali per la mobilità, orari dei bar e osterie, nuove deleghe assesorili, fossero dettate esclusivamente da una confusa bagarre per le poltrone della giunta, frutto dell’allargamento dell’esecutivo annunciato da tempo dal Sindaco.
Sarà anche il risultato di letture strumentali che alcuni organi di informazione hanno interesse a dare, ma credo che contribuisca pure questa rincorsa al comunicato ad effetto, al botta e risposta sui lanci di agenzia, alla sparata subito dopo ridimensionata che danno un’immagine da operetta del dibattito politico, dove gli esponenti della sinistra radicale fanno la figura delle comparse o, quando va bene, degli stunt-man.
Io che spesso vengo accusato di strabismo movimentista (deformazione che può risultare più marcata in un momento in cui il movimento è in difficoltà), mi rendo conto di trovarmi in una non voluta solitudine per quanto riguarda il “lavoro istituzionale”, lo studio delle delibere e degli atti dell’ Amministrazione, la conoscenza della macchina Comunale.
Certo dipenderà dai tanti (troppi?) anni in cui sono in consiglio comunale o da una sorta di mania di “star sul pezzo” che ho sempre avuto, ma credo (e perdonatemi la presunzione nel dare qualche suggerimento) che di superficialità e pressapochismo, sia dai banchi dell’opposizione che da quelli della maggioranza (in maniera critica o convinta ), non ne abbiamo bisogno.
Attenzione alle poltrone E’ per queste ragioni che inviterei tutti a far sì che la cosiddetta “verifica di metà mandato” avvenisse attraverso un dibattito vero (sui contenuti) e si facesse attraverso un bilancio analitico di quello che ha prodotto di positivo e di negativo l’azione di governo della giunta Cofferati.
La scelta di stare in maggioranza (e di conseguenza avere una rappresentanza anche nell’esecutivo) dovrebbe essere susseguente a questa
analisi e non a prescindere.
Così come del resto il decidere di non starci più dovrebbe venire successivamente al rendiconto dei risultati ottenuti in due anni di partecipazione (da protagonisti o da comprimari, o come sgangherata stampella) al governo della città.
L’analisi che propongo è la seguente, mi piacerebbe discuterla col maggior numero di persone possibili.

Un tempo Bologna era conosciuta anche all’estero per i suoi asili nido, erano un modello per la modernità della didattica applicata nelle scuole dell’infanzia, in questi ultimi due anni la nostra città ha fatto “scuola” per la campagna del sindaco Cofferati sulla legalità, per il contrasto al (molto) presunto racket dei lavavetri, per l’ordinanza “anti-birra “.

LA CAMPAGNA SULLLA LEGALITA’
Cofferati e i Gulag La campagna sulla legalità, oltre essere stata un’occasione per il Sindaco di stare sulle pagine nazionali dei giornali per diverse settimane, ha prodotto nell’immaginario collettivo una rappresentazione della città irreale.
Alcuni esempi concreti:
1. Con il ridicolo ma infamante Dossier Amorosi sulle case ERP (difficile pensare che fosse farina solo del suo sacco) si è lanciato un falso messaggio su procedure clientelari per l’assegnazione di migliaia di alloggi pubblici.
Il “ciokkapiatti” è stato sbugiardato e se ne è dovuto andare, ma per un anno e mezzo è stato coperto politicamente: quel messaggio ha lasciato un segno tra tanti cittadini.
2. Su un terreno simile, è cosa di questi giorni, è stato lanciato un altro proclama che riguarda i “furbi” che si avvantaggerebbero sulle tariffe dei servizi alle persone.
3. Ci sono più di 650 alloggi pubblici vuoti e, periodicamente, viene messa in campo una campagna contro le cosiddette occupazioni abusive (ormai sono rimaste circa una trentina) che impedirebbero l’assegnazione di case alle persone bisognose che ne hanno diritto, alimentando una inesistente guerra tra poveri. Non so in quanti di voi sanno che tra le 9 “aree metropolitane” a più forte pressione abitativa (Roma, Palermo, Bari, Firenze, Genova, Torino, Milano), Bologna è la città con il numero di alloggi pubblici occupati di gran lunga inferiore rispetto alle altre 8.
4. Nel programma di mandato, per quanto riguarda il CPT e il contrasto degli effetti della legge Bossi-Fini sul nostro territorio c’era un impegno politico preciso: “La legge Bossi-Fini rappresenta un contesto estremamente negativo per le politiche di accoglienza e di incontro delle diverse culture e identità; la politica degli enti locali bolognesi, pur nelle competenze limitate che la normativa assegna ai Comuni e alla Provincia, deve concretamente dimostrare una visione alternativa a quella della destra, operando per il superamento del CPT di via Mattei, individuando soluzioni alternative che ne permettano la chiusura”.
In realtà, ad ogni operazione di sgombero riguardante cittadini migranti, dal LungoReno al Galileo, il CPT è stato messo a disposizione per “accogliere nuovi ospiti”.
Le rare volte che polizia e carabinieri hanno svolto azioni di contrasto al lavoro nero, a farne le spese sono stati i lavoratori clandestini finiti al CPT o espulsi, e non certo i padroni colpiti da piccole denunce.
L’ex caserma Chiarini di via Mattei non ha mai funzionato così a pieno regime come da quando si è insediata la giunta Cofferati.
5. Dall’inizio dell’insediamento di questa Amministrazione (ma anche negli anni precedenti e in campagna elettorale) abbiamo portato avanti, quasi in totale solitudine, una costante denuncia sulla vergogna degli “affitti in nero”. Provate ad attivare il più famoso motore di ricerca “Google” e vedrete quante volte un esponente della Giunta Comunale ha parlato del problema.
Ora che, finalmente, qualche organo di informazione ha iniziato a trattare seriamente la questione ci si aspetterebbe il famoso “cambio di marcia”, ma la coltre di nebbia è ancora fitta. Valgono per tutti le parole che si possono leggere in un’inchiesta della Scuola di Giornalismo Stefani: “Solo il 51% degli universitari bolognesi ha un contratto regolare con il padrone di casa. Il resto è in nero oppure ha firmato semplici impegni senza valore legale. La colpa degli illeciti è del mercato nero dei posti letto, ma anche dei proprietari che intascano soldi senza ricevuta ed evadono le tasse. Un’altra ferita nel tessuto sociale di una città che combatte la sua battaglia per la legalità. I controlli, infatti, sono praticamente nulli”.
6. Ci sono poi i guasti “culturali” che questo tormentone sulla legalità ha prodotto. Quello che fa specie è che sia stata soprattutto una parte della magistratura bolognese a subire l’influenza di una politica semplificatrice rispetto a fenomeni sociali che richiederebbero ben altra capacità di analisi e di sensibilità democratica.
C’è un dato incontrovertibile che dovrebbe far pensare ed è l’aumento esponenziale dei procedimenti penali per episodi di conflitto sociale e di lotta politica avviati dall’inizio del mandato amministrativo di Cofferati, rispetto agli anni precedenti, Inversamente proporzionale alla diminuzione consistente del numero degli episodi stessi.
C’è poi l’utilizzo di fattispecie criminose come le “finalità eversive” per addossare aggravanti improprie su avvenimenti che, solitamente, dal punto di vista penale non vengono ritenuti particolarmente pericolosi.
E, infine, come rimanere indifferenti rispetto all’“accanimento terapeutico” riservato al Livello 57, sia per la vicenda della street rave parade sia per le perquisizioni e il sequestro delle sedi?
Dovrebbe creare inquietudine leggere sulle motivazioni di una sentenza, come quella del Tribunale della Libertà nei confronti di un’esponente del Livello, che “tre mesi di coercizione domestica non rappresentino un tempo sufficiente a produrre effetti deterrenti… a maggior ragione su persona che abbia agito non già sotto la spinta di ragioni contingenti ma per convinzioni ideologiche legate all’antiproibizionismo delle droghe leggere”.
Ha fatto bene Franco Corleone a dichiarare: “I sepolcri imbiancati amano ripetere che le sentenze si rispettano e non si discutono, invece appartiene allo spirito della democrazia che soprattutto le argomentazioni e le motivazioni delle decisioni giudiziarie vengano esaminate e discusse.
In questo caso poi sono i giudici ad affermare nei fatti la bontà intangibile del proibizionismo che tanti guasti ha prodotto in Italia e nel mondo con una sentenza di regime da Casa delle Libertà, frutto di un clima dettato da un senso comune repressivo. Che questa rivendicazione di intolleranza avvenga subito dopo l’approvazione della legge Fini-Giovanardi, la più punitiva d’Europa e la più antiscientifica con l’equiparazione di tutte le sostanze dal punto di vista della sanzione penale, è un triste segno dei tempi.
Bologna merita di più e queste offese al diritto e all’intelligenza devono cessare”.

ACCOGLIENZA E POLITICHE PER L’IMMIGRAZIONE
Rifondazione comunista e i deboli Il sindaco Cofferati il 13 settembre 2004, presentando il programma di mandato, dichiara: “Ci sta particolarmente a cuore tutto ciò che riguarda il futuro delle donne e degli uomini di Bologna nella loro vita quotidiana.
Prospettiamo per questo politiche di welfare che hanno come obiettivo dichiarato quello di includere coloro che oggi sono ai margini: Anche una società ricca, come quella bolognese, ha bisogno, sempre, di guardare a chi soffre, a chi è in difficoltà. Superare le differenze, le divisioni, non è soltanto un elemento di equità e di giustizia necessaria; ma anche una delle condizioni importanti per assicurare al proprio territorio un fattore competitivo tante e troppe volte trascurato. Dunque politiche mirate a includere e a rispondere ai nuovi bisogni”.
Pochi mesi dopo però, il 21 marzo 2005 c’è il primo sgombero sul Lungoreno: vengono abbattute 10 baracche e le persone che lì vivono (uomini, donne e bambini) finiscono per strada senza nessun aiuto.
Rispondendo a una domanda di attualità il pomeriggio in Consiglio Comunale, Sergio Cofferati dichiara: "Lo sgombero e la distruzione dei ricoveri sono stati ordinati dal sindaco. Non erano presenti unità dei Servizi sociali perché si trattava di insediamenti in cui erano presenti solo maschi adulti privi di permesso di soggiorno e dunque non assoggettati a interventi di tipo sociale".
Il secondo sgombero delle baracche sul lungoreno avviene il 19 ottobre 2005. Alle 6.30, agenti della Polizia di Stato, Carabinieri e Vigili Urbani, accompagnati dalle ruspe, intervengono tra Via Triumvirato e Via Agucchi, per abbattere le baracche dei migranti rumeni e fermare quelli che non riescono a fuggire.
Si tratta di una mera operazione di polizia, non discussa nella Giunta Comunale che si è riunita il giorno precedente. Non erano presenti funzianari dell'Assessorato alle Politiche Sociali, nè assistenti sociali.
L'unica prospettiva per quelle persone è stata il CPT di Via Mattei, oppure l'espulsione diretta.
Il Sindaco ha giustificato la "non comunicazione" all'Assessore competente, Adriana Scaramuzzino, perchè tra le persone sgomberate non ci sarebbero state né donne né bambini. Non era vero, come del resto è stato documentato dalle foto dello sgombero in cui le donne e i bambini venivano messe in fila e fatte sfilare davanti ai carabinieri e in cui, alcune di loro, venivano caricate su un furgone della polizia municipale. Gli insediamenti colpiti non erano nelle immediate vicinanze del fiume e, nella massima parte dei casi, hanno coinvolto lavoratori edili che tutte le mattine prestavano la loro opera, in nero, nei cantieri del nostro territorio.
Per tutti gli sfollati non c'è stata nessuna prospettiva Anche le modalità dello sgombero erano lontane anni luce da quello che si era sostenuto in campagna elettorale dalle forze politiche della maggioranza e da quello che è affermato nello stesso Programma di Mandato.
Solo nel terzo intervento sul Lungoreno si è andato a buon fine il lavoro che la vice-sindaco Scaramuzzino e l'assessore Zamboni avevano portato avanti per predisporre un'area attrezzata dove accogliere i migranti sfollati dall’alveo del fiume. E’ sorto così il campo attrezzato di Santa Caterina di Quarto che si è andato ad aggiungere, come struttura di accoglienza provvisoria, a Villa Salus dove erano stati trasferiti, in precedenza, i rumeni di Via Casarini.
Quei due interventi sono stati quelli più significativi sul tema dell’immigrazione da parte della Amministrazione Comunale, per il resto gli sgomberi e le politiche di allontanamento sono andati per la maggiore. E’ una sorta di “messaggio educativo” quello che l’Amministrazione ha proposto a più riprese: se qualcuno vi ha raccontato che a Bologna avreste trovato la cuccagna vi siete sbagliati.
Del resto, l’applicazione rigida del Regolamento di gestione voluto dalla Giunta Guazzaloca (contrastato da tutta l’opposizione di allora) ha prodotto che nei Centri di Prima Accoglienza ci si sta per un anno e poi si sloggia.
Anche la promozione a direttore del settore Politiche Sociali dell’ex dirigente di Pannuti ai Servizi per l’Immigrazione (che aveva caratterizzato il suo mandato su politiche di contenimento del numero di immigrati assistiti) è il segno concreto di questi indirizzi.
Anche nell’ultimo documento sui Piani Sociali di Zona di strutture di accoglienza non si parla, se non di quelle già esistenti. Del resto, se non fosse così, non si spiegherebbero le ragioni del blocco dei lavori di ristrutturazione (fermi dal 2004) dell’immobile di via delle Ruote che doveva essere destinato prima a Centro di Accoglienza e poi ad Albergo Popolare.
E vogliamo parlare delle difficoltà (o delle ostilità) che si sono ripetute per trovare i fondi a sostegno di progetti di inserimento dei bambini stranieri nelle scuole?
O ancora delle vicende più recenti di via Gobetti e dell’ex Galileo, con gli sgomberi che hanno prodotto un esodo sconfinato dei rom rumeni, con decine di donne e bambini finiti per strada e l’alveo del Lungoreno che si è di nuovo riempito di baracche?
E nessuno sembra impegnarsi per nuove strutture ricettive e di accoglienza per la popolazione rom. Sono anni che, a Bologna, non si realizzano nuovi campi sosta; si è parlato molto spesso dei villaggetti per i rom sullo stile di Rimini o di Padova, ma non si è arrivati nemmeno alla fase della progettazione.
Anche un fatto estremamente positivo come la petizione popolare per l’indizione di una Istruttoria Pubblica sulle Politiche per l’Immigrazione è la testimonianza concreta che le Politiche del Comune di Bologna sono carenti o ritenute tali da tante associazioni e cittadini, immigrati e non.

IL DEGRADO
barbone sdraiato Con questa parolina magica sono stati descritti, in maniera impropria, diversi problemi di convivenza sociale presenti in città: dal conflitto tra residenti e giovani frequentatori di locali notturni che è soprattutto una questione di inquinamento acustico alle piazze usate come luogo di aggregazione spontanea dai giovani; dalla presenza di alcuni fenomeni di disagio sociale alla merda dei cani (vi ricordate l’analisi del DNA?); dalla guerra ai dehors ai divieti contro i negozi di alimentari di pakistani e cingalesi; dall’aumentata sporcizia nelle strade alle scritte sui muri, dallo spaccio di droghe al tema dell’uso e dell’abuso di sostanze affrontato solo attraverso una miope ottica proibizionista.
Prima l’ordinanza Mura del 23 marzo 2005 (divieto di vendita per asporto di bevande alcoliche durante le ore notturne nel centro storico), poi l’annunciata chiusura all’1 di pub e osterie, predicono un’idea di città chiusa, ostile nei confronti dei giovani, bigotta e moralista e, in più, non risolvono una parte dei problemi sopra annunciati, Qualcuno, con una battuta felice, ha detto che c’è da temere una prospettiva poco seducente alla “Macerata”, ma anche un’idea di una Bologna alla cremonese fa rabbrividire.
Del resto, anche la onerosa consulenza al Professor Pavarini ha prodotto una ricerca che, tra l’altro, non è stata usata e che non aggiunge nulla di nuovo a un quadro che un cittadino bolognese minimamente attento ai problemi di vivibilità della sua città avrebbe potuto proporre.
Troppo poco si è fatto per sostenere un’idea di “città aperta” alternativa a quella che si sta delineando, dove la convivenza tra esigenze sociali e culturali diverse è la sfida su cui un’Amministrazione avanzata si dovrebbe misurare.
Anche noi dovremmo sganciarci al più presto da inopportune alleanze con osti e commercianti, avendo come referenti sociali semmai i lavoratori e i frequentatori dei locali, lavorando a percorsi che fanno coesistere esigenze diverse, uscendo dal luogo comune della guerra tra dormiglioni e fracassoni.

I GIOVANI
Cofferati agli studenti Sono gli invisibili della Bologna del terzo millennio. Dimenticati dai bilanci comunali e dalle competenze degli assessori. Precarizzati sul lavoro e mal sopportati nel tempo libero. Se studenti o lavoratori fuori sede, munti fino al midollo da affittacamere e strozzini. Criminalizzati negli stili di vita dal moralismo e dal proibizionismo. Con sempre meno spazi di aggregazione collettiva, con zero risorse per le loro esigenze culturali e pochissime opportunità per le loro forme di espressione.
L’Amministrazione comunale per questo settore di popolazione non ha fatto assolutamente nulla, neanche poco alla volta.
Ora, per la seconda parte del mandato, si propone, nell’allargamento di Giunta, un Assessore con la delega alle Politiche Giovanili. Bisognerebbe dire anche per fare che cosa, con quali risorse e con quale struttura di intervento.

LA CULTURA
Cofferati Testone Dopo gli anni dei “Deserti culturali” anche un volonteroso impegno da piccola città provinciale avrebbe fatto la sua bella figura.
Per il rilancio culturale della città si è scelto come assessore un intellettuale di fama, abituato a programmare grandi eventi, di forte impatto, ma anche di costi elevati.
Quel che si è prodotto sono due validi cartelloni estivi, ma una certa trascuratezza alle produzioni culturali del nostro territorio e una totale sordità verso le culture giovanili e quelle dei migranti.
La cultura, però, non si trasmette solo attraverso grandi eventi, dovrebbe vivere anche sul territorio ed incontrare i bisogni differenziati della realtà sociale, dovrebbe creare anche attività nei quartieri per produrre socialità. Su questo versante forse siamo tornati indietro.
Quel che è successo quest’estate è significativo sull’approccio che ha il Settore: per fare un esempio, si sono spesi 40 mila euro per il concerto di Andrea Mingardi il 14 agosto e non sono stati trovato 9 mila euro per sostenere le sessanta serata di Scandellara Rock Festival, così la decennale rassegna della musica giovanile, quest’anno, non si è tenuta.
Sulla Sala Borsa poi c’è stato un disaccordo vero, politico, per scelte sbagliate, sottolineate anche da una petizione promossa dal PRC e sottoscritta da 5 mila cittadini. Scelte che devono essere corrette per avere una politica condivisa non solo tra i soggetti politici ed istituzionali ma anche dai cittadini e dagli operatori. Il taglio dei finanziamenti ha drammatizzato le contraddizioni delle scelte: le conseguenze più immediate si sono rivelate disastrose, come dimostrano la riduzione degli orari della biblioteca, il taglio agli acquisti di libri, Cd e Dvd da mettere a disposizione degli utenti.

LO SPORT
Un gran numero di impianti sportivi di quartiere è in una cattiva condizione manutentiva. E’ sfilata sotto gli occhi di tutti la rivolta di atleti e polisportive per i bandi e le nuove convenzioni per la gestione degli impianti. Si sono fatti molti passi indietro rispetto al passato. La situazione è preoccupante.

LA SCUOLA
Verdi Pecoraro Scanio Ci aveva già pensato la Moratti a compiere il disastro, oggi a leggere gli articoli della bozza sulla Finanziaria che riguardano la scuola c’è da rimanere sgomenti: a Bologna, se passasse quanto previsto (tagli al personale tecnico-amministrativo, aumento del rapporto docenti di sostegno-studenti disabili, mancanza di provvedimenti contro la precarietà come promesso dal ministro dell'Istruzione Giuseppe Fioroni, nella sua visita in città) sarebbe un disastro.
Nella nostra città il problema del precariato è pesante: si contano quattromila supplenze (un terzo dell'organico dei docenti) e in totale il tasso di personale senza posto fisso raggiunge il 40%. Se va avanti il disegno del Governo a Bologna i problemi esploderanno più che altrove.
Secondo il programma di mandato, la scuola è una grande priorità, dal nido all'università. Non è solo per colpa della Moratti che il diritto allo studio a Bologna è regredito.
Permangono in tutti i quartieri della città lunghe liste d’attesa nei nidi e nelle scuole dell’infanzia comunali. Questo dovrebbe far prevedere un maggior investimento nella scuola pubblica, invece quello che si intuisce è che sempre di più i nuovi nidi saranno in project financing, in convenzione o aziendali.
Negli anni settanta il sindacato apriva vertenze nelle fabbriche per l’1% del salario per i servizi sociali, in questo modo vennero chiusi gli asili di fabbrica e si aprirono strutture per l’infanzia sul territorio.
Oggi, come panacea di tutti i mali, si propongono i nidi aziendali che, oltre ad essere finanziati attraverso concessioni edilizie, fanno dipendere un diritto dalla condizione di subordinazione lavorativa.
Sono stati poi riproposti anche progetti fallimentari come i mini-nidi di condominio.
Inoltre la Giunta ha prorogato per un anno le convenzioni con le scuole per l’infanzia private, seguendo un iter amministrativo che ha escluso la discussione in consiglio comunale. Noi siamo contrari al finanziamento pubblico delle scuole private ma, comunque, avevamo tutti convenuto che non ci sarebbero state ulteriori risorse dedicate ad esse, a scapito del già martoriato sistema pubblico. E, invece, anche per il prossimo bilancio di previsione si marcia in tutt’altra direzione
Sono poi insufficienti le assunzioni triennali di 71 insegnanti nelle scuole dell’infanzia comunali, poiché è necessario coprire tutti i posti vacanti con personale a tempo indeterminato. La continuità didattica, essenziale per il buon finanziamento della scuola, ha bisogno di personale non precario. Questo vale anche per gli insegnanti dell’Istituto Aldini Valeriani – Sirani.
Va infine fermata la tentazione di esternalizzare funzioni essenziali. Quello che si è verificato per le mense scolastiche passando il servizio a Seribo è a conoscenza di tanti genitori.
Quel che è successo per le Aldini l’inverno scorso con la diminuzione dei corsi ha messo in evidenza quanto sia inadeguata la politica dell’Amministrazione per il futuro di questa importante scuola secondaria comunale.
Non c’è da stare allegri in una città che si propone di costruire costosi giocattoli come il people mover e non trova il coraggio di affrontare il costo della scuola primaria, cercando soluzioni nel solco della giunta Guazzaloca.

POLITICHE SOCIALI
Verdi Sin dall’inizio del mandato, l’Assessorato ha dovuto fare i conti con una costante limitazione dei fondi per servizi rivolti a fette di popolazione particolarmente debole.
Sotto al limite di guardia attualmente raggiunto non si può andare, altrimenti vengono messi in pericolo servizi essenziali alle persone.
Gli operatori del Servizio Sociale Adulti sono in minima parte dipendenti comunali, la stragrande maggioranza sono lavoratori alle dipendenze di cooperative.
Dopo una lunga gestazione, è stata approvata l’Istituzione contro l’esclusione sociale, quando prenderà il via nelle attività nessuno è in grado di dirlo.
L'entrata in vigore della legge regionale che trasforma le IPAB (ex Opere Pie) in ASP (Aziende Servizi alla Persona) dovrà essere accompagnata ad una diversa programmazione degli interventi previsti dai Piani di Zona con un rafforzamento del carattere pubblico degli stessi, fermando sul nascere le ipotesi politiche presenti nel centro-sinistra di usare la nascita delle ASP come occasione di esternalizzazione di servizi comunali. Dovrà essere oggetto di attenta valutazione l’ipotesi di inserire nella gestione delle future ASP i nidi d’infanzia, perché il rischio è di perdere un patrimonio di sapere ed esperienze formatosi dagli anni ’70 ad oggi: non si possono liquidare più di trent’anni di storia per ragioni di economicità e razionalizzazione.
La popolazione anziana è in forte crescita nella città. I centri anziani che ad essa si rivolgono sono una delle poche istituzioni sociali che sono attive sul territorio e forniscono punti di socializzazione che, per esempio, i giovani non hanno.
Lo scorso 23 febbraio il Comune di Bologna ha firmato un importante accordo con i sindacati dei pensionati che prevedeva una serie di interventi, tra cui l’apertura di sportelli sociali per la terza età, la creazione di una rete delle “badanti” a sostegno della famiglie che vi fanno ricorso, investimenti per appartamenti protetti, la creazione di un osservatorio sulla condizione degli anziani.
I settanta/ottantamila euro come stanziamento iniziale per finanziare l’accordo il Comune non li ha mai predisposti, oggi i sindacati sono pronti a partire con la protesta.
Per quanto riguarda i diversamente abili, tra la fine del 2006 e il 2007, prenderanno il via quattro progetti in supporto della disabilità: entro il 16 ottobre aprirà la struttura delle Caserme Rosse, entro l’anno la struttura delle Portazze rivolta ai disabili adulti, anche psichici. Nel 2007 aprirà una struttura in via Bovi Campeggi per peronne con handicap ma autonome. Infine, all’ex Ada Negri, al Pilastro, avrà sede un centro in cui studenti disabili convivranno con laureandi in Scienze della Comunicazione.
I quattro progetti che erano scomparso dal bilancio preventivo approvato a dicembre 2005 (e che furono tra i principali motivi di rottura con CGIL CISL UIL) sono stati finanziati con l’assestamento di bilancio del giugno 2006.
Luci e ombre, quindi, per quanto riguarda questo settore.

LA SANITA’
Ambulanza 118 L’accordo politico che diede il via all’ASL Unica (e che precedette gli accordi di maggioranza per Comune e Provincia di Bologna) prevedeva espressamente nessun taglio ai servizi territoriali. Il progetto di risistemazione dei poliambulatori presentato dal direttore dell’Azienda sanitaria prevede invece un ridimensionamento delle strutture.
E’ stato chiuso il servizio Menopausa di Via Tiarini, anche la grossa mobilitazione delle associazioni di donne non è riuscita bloccare questa scelta.
La chiusura del poliambulatorio del Pilastro si è impedita attraverso un’azione congiunta di un Comitato di utenti, la Lista Reno e il Circolo Prc di San Donato.
La chiusura del reparto di Neurologia del Bellaria è stata fermata per la lotta dei Comitati dei parenti e dei pazienti, con il sostegno del Prc.
Le associazioni di volontariato dei familiari dei malati denunciano da tempo la difficile situazione del Servizio di Psichiatria.
Le condizione di solitudine e di mancanza di indirizzi degli operatori dei SERT è stata resa nota a più riprese. Alcune strutture ambulatoriali collocate al Sant’Orsola e al Maggiore sono da denuncia ai NAS. I servizi per le tossicodipendenze sono tarati principalmente su utenti tossicodipendenti eroinomani, non sono ancora pronti per affrontare le patalogie conseguenti all’abuso delle cosiddette “nuove droghe”.
In un progetto generale di riordino dell’ASL sono previsti ulteriori tagli ai servizi e al personale.
In questo campo, l’azione politico-istituzionale non ha prodotto quasi nulla, si è raggiunto qualche risultato quando si è riusciti a costruire iniziative di lotta e di protesta.

LA CASA
Un dato è certo, i primi due anni di gestione Amorosi sono andati persi e questo, politicamente, è molto grave di fronte a un problema sociale come quello della casa nella nostra città.
La delega assessorile a Merola ha rappresentato sicuramente una svolta, anche se il danno di totale assenza di politiche abitative in precedenza non può essere recuperato.
In primo luogo, si può dire che la nascita dell’Agenzia per l’Affitto rappresenta una nostra vittoria politica, frutto di una battaglia di anni (in consiglio comunale iniziammo insieme io e Pier Giorgio Nasi) e può rappresentare, se funzionerà, uno degli strumenti decisivi (non il solo) di intervento pubblico sulle politiche abitative.
Molto importante politicamente anche il bando per la cosiddetta edilizia convenzionata a canone calmierato, dove viene recepita una delle richieste dei collettivi di lotta per la casa e cioè l’apertura delle graduatorie anche ai lavoratori precari.
Altri elementi di grande interesse sono annunciati per il nuovo bando di edilizia residenziale pubblica (potranno partecipare anche cittadini che al momento della domanda sono a reddito zero; non rappresenterà più ragione ostativa alla partecipazione al bando l’aver occupato abusivamente, prima della domanda, un alloggio pubblico; la graduatoria rimarrà sempre aperta e riaggiornabile periodicamente).
Pare di vedere un discreto impegno per il recupero in tempi più rapidi del patrimonio pubblico inutilizzato.
Nel nuovo Piano Strutturale viene data la necessaria attenzione alla realizzazzione di nuova residenza per l’affitto, anche se il puntare quasi esclusivamente sull’edilizia convenzionata sembra non fare i conti che per le fasce più deboli: i costi dell’affitto calmierato (5,16 euro al mtq) possono risultare alti rispetto a redditi percepiti molto bassi e/o altrettanto precari.
E’ pur vero che per rilanciare piani di nuova edilizia popolare occorre un ripristino di finanziamenti statali appositi, cosa che non avviene ormai da molti anni.
Al di là dell’annuncio, non vedono invece la partenza progetti di autocostruzione e autorecupero. Non è stato fatto nulla o quasi sul terreno della realizzazione di strutture abitative collettive (alberghi popolari – da sempre annunciati nei protolli d’intesa coi sindacati - , studentati, residence per lavoratori single, strutture di seconda accoglienza per lavoratori migranti).

URBANISTICA
Verdi Verdi E’ stato il settore che ha visto più forti livelli di discontinuità con il passato, soprattutto per quanto riguarda i processi di partecipazione. Positiva è stata l’esperienza del Laboratorio di Urbanistica Partecipata del Navile e anche la modalità in cui si è avviata la discussione sul nuovo Piano Strutturale Comunale, anche se, prima o poi, come forze politiche del coordinamento dell’Altra Sinistra dovremo aprire un confronto pubblico e cominciare ad entrare nel merito.
Alcuni progetti urbanistici a forte impatto ambientale varati dall’Amministrazione Guazzaloca, come in Via Baroni e in via della Volta, sono stati bloccati, ma in molti altri casi sono riaffiorate le vecchie impostazioni delle Giunte precedenti. Quindi, diverse volte, in Consiglio comunale abbiamo votato contro: dall’ampliamento della Fiera al Piano di riqualificazione urbana di via delle Borre; dal campo scuola per il golf al ristorante nel parco di via del Forte.
In alcuni casi, questi voti negativi hanno permesso, in un secondo tempo, il concepimento di successive delibere positive come, per esempio, quella istitutiva del Parco delle Borre o la Variante urbanistica che blocca i progetti edificatori della collina.
Nelle prossime settimane e nei prossimi mesi ci aspettano importanti confronti, attraverso i quali occorrerà fare in modo che il Comune di Bologna (come ci suggerisce un urbanista saggio come Antonio Bonomi), col Piano Strutturale e i successivi accordi, stabilisca che la nuova stazione e i nuovi insediamenti nelle aree ferroviarie non possano essere abbandonati alla speculazione dei poteri forti, ma dovranno essere governati dalla "mano pubblica" con gli strumenti di trasparenza e partecipazione gestiti dall’Amministrazione comunale e dai Quartieri; che tutte le costruzioni della Nuova Stazione Centrale e delle aree ferroviarie debbano essere eco-sostenibili e alimentate da fonti rinnovabili solari, con acquedotti duali e recupero acqua, materiali da costruzione di minimo impatto, raccolta differenziata; che la nuova sussidiaria che attraverserà tutto l'insediamento parallelamente alla via Emilia Ponente, sia progettata in modo da mitigare gli effetti del traffico sui residenti, con priorità alla mobilità di mezzi pubblici. ciclabile e con ampi suoli pedonali, integrando e collegandosi anche con la nuova sede degli uffici comunali in costruzione in via Fioravanti; che tutta l'area della caserma dei Prati di Caprara che fiancheggia il Ravone e le aree ora FS sia trasferita dal Demanio dello Stato in possesso al Comune per la realizzazione di un grande parco pubblico, nel quale possono trovare posto solo, se necessario, alcuni edifici scolastici dell'obbligo; che le quantità di edilizia abitativa e direzionale del nuovo insediamento non siano in più di quanto già previsto negli studi per il PSC, ma che verranno praticate le opportune riduzioni delle previsioni residenziali e dei servizi, nell'edilizia privata del comparto Lazzaretto; che si deve ristudiare completamente il sistema della mobilità urbana su ferro, prendendo in considerazione quanto finora escluso (tram di superficie) in un progetto globale e fattibile di mobilità pubblica.

GRANDI OPERE E MOBILITA’
verdi spumante A Bologna sono anni che viviamo un costante conflitto tra chi consegna alle grandi opere infrastrutturali (come il Passante Nord) la soluzione dei problemi della mobilità nel nostro territorio e chi, come noi, è energicamente contrario a questa soluzione per ragioni ecologiche imprescindibili.
Noi ribadiamo la priorità di opere, a breve e medio termine, investendo da subito sul Sistema Ferroviario Metropolitano e su un pacchetto di opere viarie che permettano la sostenibilità della rete locale. Si rimandi quindi la decisione sul Passante alla valutazione dell'impatto complessivo di queste opere che altrimenti non avrebbero nessuna possibilità di essere messe in cantiere nella disponibilità attuale delle risorse finanziarie anche penalizzando pesantemente tutte le altre opere sul nostro territorio.
Per quanto riguarda il progetto di Metro-tramvia e il People Mover che oggi vengono messi in discussione da più parti, ci domandiamo che senso ha dare vita a un’agenzia di progettazione e di ricerca risorse quando, sul primo progetto, quello più importante, non si ha nessuna certezza di finanziamento statale, mentre per quanto riguarda il secondo non andrà ad incidere sul sistema di trasporto pubblico di massa cittadino.
C’è poi da mettere in discussione l’idea che lo sviluppo della città passi per forza dalle grandi opere, oltre che per l’impatto ambientale e la loro reale utilità, anche per una crescita dell’economia e dell’occupazione fortemente drogata i cui vantaggi per il sistema produttivo bolognese.
Leggendo i giornali di questi giorni, dove viene annunciato il prossimo licenziamento di 700 lavoratori della TAV, appena saranno terminati i cantieri nei nostri territori, ci viene in mente una citazione di Bertolt Brecht: “dove andarono, la sera che fu terminata la Grande Muraglia, i muratori?”.

IL LAVORO: NERO, PRECARIO, A RISCHIO
Streik Per la prima volta nel nostro territorio il livello di crisi che ha investito il lavoro industriale mette a repentaglio l’occupazione di centinaia di lavoratori, con molta difficoltà ad essere ricollocati se superano i 40 anni.
Pertanto è fuori discussione l'utilità di un livello di intervento sulle tematiche del lavoro a livello comunale, cosa che fin’ora raramente è avvenuta.
Per le crisi aziendali si deve puntare ad un rafforzamento del coordinamento con Provincia e Regione, ma Bologna deve avere una sua politica industriale sui distretti produttivi e sulla innovazione tecnologica da portare avanti con gli altri comuni metropolitani e in collaborazione con gli altri enti locali. Oltre alle politiche insediative e dei servizi alle imprese, a livello provinciale si devono usare pienamente le competenze sulla formazione e sulla corretta applicazione della legge 626.
Dovrebbe venir meno quell’atteggiamento super partes, tra aziende e lavoratori, che ha sempre caratterizzato l’Amministrazione comunale. Poi bisogna rilevare le condizioni sociali dei lavoratori sul territorio avendo particolare cura degli estromessi dai processi lavorativi e delle situazioni di precarietà.
Un altro aspetto rilevante è sicuramente la lotta al lavoro nero ma anche le situazioni di discriminazione sia per le donne che per i migranti.
Per quanto riguarda il lavoro nero, secondo stime sindacali, a Bologna, in edilizia si arriva al 30% dei lavoratori del settore. Ma una simile problematica è comune ad altri settori, la logistica, il facchinaggio, la ristorazione, l’assistenza agli anziani e agli ammalati. La maggior parte di questi lavoratori sono migranti, senza permesso di soggiorno (per l’ultimo decreto flussi hanno presentato domanda quasi tremila edili immigrati clandestini). Il caporalato da tempo non è più una preogativa del Mezzogiorno, anche i nostri territori sono investiti dal fenomeno.
Dopo un lungo percorso di udienze conoscitive delle Commissioni Consiliari e il voto in Consiglio Comunale di un ordine del giorno sul lavoro nero e per la sicurezza sui luoghi di lavoro, l’Amministrazione comunale ha firmato un protocollo d’intesa con i sindacati confederali che prevede il controllo dei contratti d’appalto per le aziende che partecipano ai bandi per la fornitura di beni e servizi, con l’obiettivo di garantire una maggiore tutela dei lavoratori e il rispetto di leggi e contratti.
Occorre poi comporre il quadro delle condizioni lavorative nell'amministrazione comprese le attività esternalizzate e quelle in convenzione ed appalto.
Per quel che riguarda il lavoro nella pubblica amministrazione e nelle aziende ad essa collegate, i sindacati di base denunciano un aumento della precarietà e dei contratti atipici. Al di là di alcuni piccoli accordi, un programma di generale deprecarizzazione ed una gestione dei rapporti sindacali che riconosca la positività delle rivendicazioni e della relativa contrattazione, da parte dell’Amministrazione, non è mai stato attivato seriamente.

Piatto di Lenticchie Insomma, ritornando ancora a Brecht, se “il comunismo è la cosa semplice che è difficile fare”, rispetto a quello che si visto fino ad ora, sembra che a Bologna amministrare con uno spirito un po’ di sinistra non sia proprio così facile.

Valerio Monteventi