Si apre uno squarcio sul coprifuoco di Cofferati

Il Cristo nero del Pratello

Un colloquio riservato tra il sindaco e il suo “ghost writer” porta alla luce alcune storie simpatiche sulla vecchia strada che indeboliscono la “forza dell’ordinanza” e rinforzano quell’idea di “cuore della città”, tanto caro a intere generazioni di bolognesi e non. Dalla legge Crispi alle battaglie per la Madonna, dal borgo delle pere del 13° secolo agli odierni peracottai.



15 novembre 2008 - Roberto Gazzotti

Cristo nero In uno dei più antichi “stradari storici” di Bologna si parla di via del Pratello in questo modo: “Non si può definire una bella strada; sin dall’inizio è nata in modo precario e raccoglieva i derelitti di ogni invasione barbarica. Nel 1568, diventato parte integrante della città murata del XIII secolo, il borgo si accrebbe ulteriormente di una fauna umana, sempre ai margini del lecito, del decoro e della miseria”.
Si dice (maliziosamente) che sia stato il “ghost writer” di Cofferati a trovare questo provvidenziale inciso per riempire di contenuti la famosa ordinanza anti-osterie dello scorso 7 novembre.
Nella sua ricerca storica per preparare il sindaco per l’udienza del 21 novembre (quando andrà in Commissione Attività Produttive a spiegare le ragioni del provvedimento), il “preparatore degli interventi” del primo cittadino aveva azzardato anche un riferimento alla Legge Crispi del 1866, ma sembra che Sergio Gaetano l’abbia ritenuto troppo azzardato.
Cosa diceva questo riferimento?
“Il 17 maggio 1866, con la firma di Vittorio Emanuele II, entrò in vigore la legge Crispi, che accordava al governo del Re la facoltà di assegnare il domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi e a tutte le persone indiziate a nuocere in qualunque modo all’unità d’Italia. A causa di queste finalità la legge fu chiamata «del sospetto», perché chiunque poteva essere oggetto delle sanzioni previste in base ad una semplice denuncia verbale di agire contro l’unità dello Stato”.
L’azzardo dove stava… “Appena le legge fu sancita, nei territori già facenti parte del Regno d’Italia, il governo senza alcuna forma di processo mise in carcere e cacciò in esilio alcuni sacerdoti e vescovi italiani. In forza di questa normativa, il 16 luglio 1866, a Bologna, diversi prelati del Vicariato vennero reclusi nel carcere di via del Pratello, già sede delle monache francescane. In quella ex-dimora monastica, intitolata ai santi Ludovico e Alessio, s'erano ritrovati ingabbiati 47 laici e a 26 ecclesiastici, accomunati nello stesso capo d'accusa e cioè non aver aderito alla filosofia dei nuovi padroni di casa”.
“Abbiamo già troppi nemici, non possiamo rischiare anche il minimo sintomo di avversità da parte della Curia… Cafarra è molto attento ai casi della storia”,
frenò il Coffy.
“Del resto – si adeguò subito il suo portaborse – il binomio Pratello-religione è assai contradditorio. Per esempio, al numero 41 della strada, in un’ansa sotto il portico, compare un affresco che risente (questa volta) degli insulti del tempo e non dei graffitisti. Era chiamato dai popolani “Il Cristo Nero”. Bisogna che la notizia non esca, perché altrimenti Alleanza Nazionale e Lega Nord che hanno applaudito all’ordinanza, potrebbero aprire un banchetto contro gli immigrati e il buonismo di certi preti. Ma, al numero 41, dal 1976 al ’77, c’era anche la sede di Radio Alice e, a questo punto, Bifo e Monteventi, per fare pubblicità alla loro ‘Bologna città libera’ potrebbero mettere su un bel casino…”.
“Bene
– rassicurò il sindaco (tirando fuori uno dei suoi rarissimi sorrisi) - vedo che a stare con lo zoppo stai imparando a zoppicare anche tu…”. “Hai qualche altra curiosità su quel cazzo di strada?” disse, ritornando al suo solito ghigno sprezzante.
“Sempre in campo religioso… c’è la storia di Borgo San Pietro e via del Pratello… un tempo, erano due strade rivali che si litigavano sempre la Madonna. Quando si incontravano alle processioni i pratellini e i sanpietrini se le davano di santa (beata) ragione. Le botte spesso continuavano anche all'ospedale, tra i feriti.
Questa storia è stata messa su una delle canzoni più famose di Quinto Ferrari (un cantastorie bolognese che cantava in dialetto)…”,
azzardò di nuovo l’attendente cofferatiano.
Ma il capo sbottò di nuovo: “Ti avevo fatto un complimento prima e tu subito ne approfitti?… a botte per la Madonna e io ci metto la squadretta della sicurezza dei Vigili a fare da pacieri?… ma non farmi perdere del tempo che sono in partenza per Genova…. E poi ci ha messo anche Quinto Ferrari… che se un pirla di giornalista mi fa una domanda sul dialetto cosa gli rispondo che devo ultimare il corso?… e così la prima testa di cazzo che si trova nei paraggi (tipo quel Bottura) mi dice… di genovese?”. “Hai qualcos’altro di interessante o possiamo chiudere?”
L’oscuro scrivano, sempre più intimidito, trovò il coraggio di proporre una curiosità: “Come molti nomi di strade, anche questo nome ha un’origine singolare. Documenti del XIII secolo parlano di un Burgus Peratelli (da cui poi Pratello) da pirus, cioè pero. Pare, infatti, che in quel periodo lì ci fosse una piantagione di peri, così come vicino prosperavano le noci (Nosadella ) e i frassini (Frassinago)”.
Il Coffero cominciò a smandibolare e a digrignare i denti dalla collera: “Allora non hai capito un cazzo… te lo immagini qualche burlone che alla notizia, mi chiede: Sindaco se il Pratello era il luogo delle pere, lei non si sente un po’ peracottaio?”

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