Approfondimento sulle facoltà che si ribellano alla 133

NoGelmini / Loro la crisi non la pagano

La mobilitazione contro lo smantellamento dell’Università pubblica si è estesa rapidamente. Pressati dal movimento no-gelmini, i rettori sono ora chiamati a dire la loro sulla contro-riforma. Sarà un punto di svolta o di rottura? In ogni caso è un punto di non ritorno.

27 ottobre 2008 - rootz

La mobilitazione contro lo smantellamento dell'Università pubblica si è estesa a macchia d'olio a pressochè tutti gli atenei del Bel Paese. E' come se, da circa due settimane a questa parte, un'accelerazione fosse stata impressa, ma sembra essere solo l'inizio. Affollate assemblee si rincorrono, comunicati rimbalzano in rete, cortei dentro e fuori l'università ribadiscono la centralità, per tutti, di una questione: è in ballo il presente di chi l'università la fa, giorno per giorno, ed il futuro di chi, domani, l'università potrebbe invece non riconoscerla più come tale. Per effetto della legge 133/08, più precisamente, è il futuro dell'Università stessa ad essere in bilico.

Quali scenari si aprono allora? I tagli progressivi voluti dalla Tremonti-Gelmini (500 mln di euro nel prossimo triennio fino ad un totale di 1400 mln in cinque anni) costringeranno gli atenei, già sottofinanziati, a trasformarsi in fondazioni private con un'inevitabile aumento delle tasse d'iscrizione: l'accesso all'istruzione diventerà una funzione del reddito, più di quanto già non sia oggi. L'Università, quella di tutti, idea già sbiadita in seguito a 15 anni di manomissioni, di fatto scomparirà. Scomparirà poco per volta o al contrario molto velocemente, certo è che in ogni caso la privatizzazione entrerà in risonanza con tutte le parti del sistema universitario. Sempre più soldi, come recita il testo di legge,arriveranno o dovrebbero arrivare da finanziamenti privati ed esterni. I ritrovati scientifici di una ricerca sempre meno di base dovranno allora massimizzare l'utilità degli imprenditori di Confindustria che, ironia della sorte, saranno pure definiti illuminati. Ma in questa storia più che luci si vedono ombre: al primato dell'avanzamento del sapere verrà infatti sostituito quello dello sfruttamento della conoscenza. A guardar meglio s'intravede anche qualche mostro: nella nuova situazione le università sarebbero chiamate a competere tra loro per accapparrarsi quote maggiori di finanziamenti, sottostando così alla dura legge del mercato. Ma cosa accadrebbe se, d'ora in avanti, la produzione intellettuale s'identificasse completamente con la produzione di valore? Stage, laboratori e tirocini gratuiti erano quindi solo l'antipasto che preannunciava lo sfruttamento intensivo del sapere? E che prezzo avrà lo studente-merce di domani? E quanto salato il conto che dovranno pagare, a loro volta, gli studenti? Ma il disegno della Gelmini e di Tremonti si spinge ancora oltre: la 133 e i suoi tagli mettono alla porta migliaia di precari nel settore della ricerca e in quello tecnico amministrativo e fanno dunque rima con 'licenziamento preventivo' (vedi anche l'art. 37 del ddl 1441 quater, "Disposizioni in materia di stabilizzazioni"). Per una porta che si apre ce n'è poi una che si chiude sbattendo: il blocco del turn-over, ovvero un solo assunto per ogni cinque pensionamenti, limita il ricambio dei docenti e l'ingresso di giovani cervelli in Università. La carriera accademica diverrà una chimera. C'è una gerontocrazia che non si può svecchiare, tutti gli altri attendano con pazienza alla porta. In definitiva, a chi spera in una stabilizzazione della propria posizione, a chi chiede un'università aperta a tutti, a chi vuole arricchire il processo di formazione andando oltre l'offerta didattica esistente non resta altro che opporsi. Che la pazienza ha i suoi limiti, che i limiti sono soglie oltre le quali in questo caso non è dato andare.

Qualora la legge fosse passata, dicevano un pò tutti a Luglio compreso qualche rettore, si sarebbe dovuto bloccare l'avvio dell'anno accademico. Se Settembre è stato un momento di riflessione da parte di un fronte sempre più vasto, Ottobre vede invece gli studenti, i ricercatori, il personale tecnico-amministrativo e numerosi professori prendere in mano l'iniziativa. Al grido di "Noi la crisi non la paghiamo", slogan semplice e puntuale, in decine e decine di migliaia hanno occupato le facoltà, attraversato le città bloccandone le strade o le stazioni e da ultimo hanno pure trasformato le piazze in aule. Un movimento, quindi, che esce fuori dalle facoltà ribelli con le quali si identifica, che va incontro alla società, le parla nei mille linguaggi di cui è capace, quello del conflitto compreso, che poi ritorna dentro le aule, quelle vere stavolta, per continuare a discutere, per rilanciare la lotta, forti del fatto di essere in tanti e ogni volta di più. Dall'altra parte della barricata accade invece che partano roboanti annunci di impiego massiccio della forza pubblica contro le occupazioni, ma accade pure che durino una notte. Succede pure che il vecchio Cossiga torni ad essere il ministro degli interni che fu e si auguri che il suono delle sirene delle ambulanze sovrasti quello delle auto della polizia accorse a reprimere i vandali che imperversano in città. Ma oltre ai brividi e alle risate che l'avanspettacolo della politica suscita sono forse altri i fatti che destano un pò d'incertezza e tanto sospetto in questi giorni. E si tratta di una questione tutta interna all'Università. Più volte sollecitati a prendere una posizione netta contro la 133, molti rettori, Senati accademici e Consigli d'Amministrazione preferiscono nascondersi dietro le loro cariche o funzioni istituzionali e ribattere che ciò che è legge è legge e non si discute o, peggio ancora, che tutto sommato ciò che è importante non sono tanto i tagli al Fondo di Finanziamento Ordinario (F.F.O) quanto la riduzione indiscriminata dei finanziamenti anche per gli Atenei dell'eccellenza, quelli più produttivi, quelli con il miglior bilancio. Più fondi a chi se li merita sembrano dire i rettori dell' Aquis- Associazione per la qualità dell Università italiane statali- nata da una scissione della Crui - Conferenza dei rettori delle università italiane.

Un'assemblea d'Ateneo tenutasi qui a Bologna lo scorso 24 Ottobre ha fatto formalmente richiesta al rettore  di esprimersi in maniera contraria sui contenuti della Gelmini-Tremonti. E' stato insomma implicitamente chiesto a Calzolari di non pensare più a nuove logiche in base alle quali spartire i tagli tra gli Atenei ( operazione tanto più pericolosa in virtù dell'ascendenza che una simile politica potrebbe avere sull'attuale governo). Ed esplicitamente gli si è chiesto di non inaugurare l'anno accademico, oltre a farsi promotore di iniziative che si oppongano allo smantellamento dell'Università pubblica. Ma le precedenti dichiarazioni del rettore bolognese non lasciano presagire nulla di buono. L'accelerazione impressa da due settimane a questa parte ha comunque portato il movimento no-Gelmini a questo punto di svolta o di rottura, comunque di non ritorno. Nel frattempo tanti altri non si sono fatti aspettare e hanno preso a muoversi, come molti docenti, dichiarandosi irriducibilmente contrari, supportando, nei fatti, la mobilitazione. Staremo a vedere che cosa accade, tenendo a mente che questo è solo l'inizio e che gli studenti, insieme ai ricercatori e al personale tecnico-amministrativo, la crisi non la pagano anche perchè sono impegnati a costruirne un'altra. Tra i punti all'ordine del giorno della nuova crisi certamente ci sarà, ma già c'è e c'era da parecchio tempo, un'Università da ricostruire. Intanto il blocco della didattica comincia ad essere praticato qua e là nel Bel paese...

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