Il decreto sicurezza del governo

Siamo alle prove tecniche di colpo di stato?

Duemila e cinquecento militari saranno impiegati per le strade delle principali città italiane con funzioni di ordine pubblico. Berlusconi costruisce un regime e dal "governo ombra" non giunge neppure l'ombra di una parvenza di opposizione. Stanno lavorando a una nuova era, dove l’eccezione diventa la regola, dove il governo avrà più poteri e il cittadino meno diritti, meno difese, meno garanzie. E' una deriva fascista che ci provocherà un durissimo risveglio... E, quando avverrà, non sarà mai troppo presto.

19 giugno 2008 - Valerio Monteventi

militari in strada L'aula del Senato ha approvato l'emendamento del governo al decreto sicurezza nel quale si prevede la possibilità di impiegare unità delle Forze Armate, fino a 2.500 militari e per non più di sei mesi, per affrontare situazioni di emergenza sul territorio italiano.
Il Ministro della Difesa La Russa, ha detto che i soldati potranno essere utilizzati per il pattugliamento e la perlustrazione delle metropoli e delle aree circostanti, e avranno qualifica di agenti di pubblica sicurezza, operando insieme ad agenti di polizia e carabinieri. Il suo obiettivo è “passare dal poliziotto di quartiere di giorno a una pattuglia mista nelle ore prevalentemente serali, quando maggiori saranno le esigenze di sicurezza”.
La Russa ha affermato pure che “nelle scelte dei 2.500 sarebbe un peccato se non si utilizzassero coloro che hanno avuto esperienza di missione di pace, dove molti hanno svolto compiti di polizia”.
Forse saranno parecchi quelli che, al pensiero di vedere pattuglie armate di AR 70 90 e B1 Centauro agli angoli delle strade, proveranno un brivido di piacere, ma non sarebbe male che qualcuno ponesse una semplice domanda: l’Esercito ha una preparazione mirata ad interventi militari in teatri di guerra, operando con regole di ingaggio ben definite: è armato con dispositivi idonei al combattimento, non alla tutela dell’ordine pubblico, non dispone di strutture organizzative per svolgere indagini su crimini e delitti. Il fatto che saranno utilizzati militari reduci da ‘operazioni di pace’ non tranquillizza di certo, viste le modalità alquanto cruente con le quali queste operazioni vengono portate avanti.
Un’altra domanda, un po’ più polemica, potrebbe essere: non è che questo provvedimento, tra le altre cose, venga preso anche per accontentare i reduci delle "missioni di pace" che, abituati al reddito delle indennità di missione, una volta rientrati, si vedono lo stipendio decurtato?
Questi dovrebbero essere quesiti minimi che un’opposizione parlamentare decente si dovrebbe porre e invece…
Abbiamo visto politici e giornalisti accalorarsi sul tema delle intercettazioni telefoniche, ma gli stessi ci sono sembrati molto freddi per quanto riguarda la militarizzazione del territorio. Non abbiamo sentito quasi nessuno dire che i soldati per le strade sono utili per coprire l’incapacità del governo Berlusconi di risolvere il problema dei rifiuti “nel modo semplice e diretto” che era stato sbandierato dal PDL in campagna elettorale. Non abbiamo visto quasi nessuno allarmarsi per il fatto che questo provvedimento accende ancora di più la psicosi dell’insicurezza, il clima di paura, rende unica l’Italia in Europa attraverso un modo di governare basato sull’emergenzialità.
L’opposizione continua a esprimersi con i toni garbati e rispettosi della normale vita democratica, è come si fosse vaporizzata, il “popolo della sinistra” è ancora in luna di miele con il governo Berlusconi, le coscienze sono ormai assopite e soggiogate attraverso il valium televisivo, i germi della xenofobia hanno fatto breccia con una velocità che nessuno si poteva immaginare.
Insomma la situazione è tragica. In questo contesto, per questo governo e per le forze politiche che lo sostengono è abbastanza facile costruire altre emergenze e, da qui, cominciare ad applicare il controllo diretto e fisico sulle masse, perché ormai "le masse lo vogliono".
Stiamo assistendo, senza che nessuno fiati o se ne accorga, a prove tecniche di colpo di stato e di dittatura strisciante.
Il Cavaliere nero di Arcore, con una mossa populista e demagogica, annuncia che è opportuno l’utilizzo dell’esercito per difendere gli italiani e in molti sembrano crederci.
Se, oggi, anche all’esercito vengono consegnati incarichi di polizia e si permette alle forze armate di avere il potere di arresto e di fermo, andrebbe urlato che, in sessantadue anni di vita della Repubblica, questa è la prima volta che ciò avviene.
Il gran maestro piduista Licio Gelli ha che da essere soddisfatto: il clima politico e sociale ricorda sempre più il suo “Piano di rinascita democratica”, dove si contemplava nei mezzi di informazione il centro di un potere quasi assoluto sulla società.
Il soldato come poliziotto, il giudice come chierico, il giornalista come incensatore sono i tre simboli di una scena politica ormai sintomo premonitore di una trasformazione radicale dell’ossatura e del significato dei nostri principi costituzionali.
Sono i fantasmi di una nuova epoca, dove l’eccezione diventa la regola, dove il governo avrà più poteri e il cittadino meno diritti, meno difese, meno garanzie.
Attenzione a questa lenta e "digeribile" deriva fascista… forse è peggio di un colpo di stato. Potremmo risvegliarci in un paese senza democrazia e quel risveglio sarà molto duro e spiacevole.
Io ricordo ancora benissimo l’inquietudine che faceva venire quel carro armato cinese una ventina di anni fa… sarebbe il caso di cominciare almeno ad allarmarsi… oggi sulle nostre strade ci sono i “cingoli” delle suole degli anfibi… e non sono più rassicuranti.

LA STORIA DEI GOLPE ALL’ITALIANA

Stefano Rodotà ha commentato il provvedimento sicurezza del governo Berlusconi sostenendo che “siamo di fronte a un fenomeno che l’Italia ha conosciuto in altri decenni: le leggi speciali”.
Forse c’è anche qualcosa di più, il tentativo di condizionare la politica e la vita del paese attraverso manovre losche che già abbiamo visto in un passato prossimo della storia d’Italia. Lo vogliamo ricordare…

Se il termine castigliano “golpe” (che significa colpo) nella seconda metà del Novecento è entrato nell'uso comune come sinonimo abbreviativo di colpo di stato, a causa della frequenza delle rivolte militari in vari paesi dell'America latina di lingua spagnola, non è che in Italia, nelle stesso periodo, si possa dire di essere stati tranquilli.
Infatti, dopo la guerra di Liberazione del 1945, lo spettro di un colpo di Stato ha aleggiato sulla storia della politica del nostro paese per più di trent'anni. Si è trattato di una vera e propria “storia dei golpe”, pianificati o minacciati, falliti o “fatti rientrare nei ranghi” quando erano arrivati alla soglia dell'esecuzione, ma sempre preparati per alzare un muro contro un oscuro pericolo che minacciava la democrazia: il comunismo.
Anche i modelli proposti sono stati diversi: da quello alla greca a quello alla cilena, da quello massonico a quello da manuale americano.
I vari tentativi, però, furono portati avanti da cosche che avevano l’obiettivo di condizionare fortemente la politica italiana e che erano annidate negli apparati dello Stato o che ruotavano attorno agli ambienti della destra estrema o agli ambienti atlantici.
La paura del golpe, per buona parte degli anni Settanta, “consigliò” una certa “prudenza” negli attivisti e nei militanti della Sinistra (sia parlamentare che extraparlamentare) che più di una notte scelsero di dormire fuori casa. All’epoca, divenne famosa una frase del dirigente del PCI Giancarlo Pajetta: "Non ci prenderanno a letto".
L’italica propensione golpista influenzò anche la produzione cinematografica, sono di quegli anni due famosi film: “Colpo di Stato” di Luciano Salce e “Vogliamo i colonnelli” di Mario Monicelli.
Lasciando per strada la fiction per tornare alla realtà, dopo un interminabile susseguirsi di scempiaggini legato al periodo della “guerra fredda”, fu nel 1964 che prese corpo il primo tentativo di colpo di stato. E’ il cosiddetto "Piano Solo" del generale col monocolo, Giovanni De Lorenzo, chiamato così perché lo avrebbero fatto i soli carabinieri, affiancati però da ex parà e repubblichini, addestrati per l'occasione nella struttura di Gladio. Il progetto, sostenuto dall’allora presidente della Repubblica Antonio Segni, si proponeva di assicurare all'Arma dei Carabinieri (il cui Comandante Generale era De Lorenzo) il controllo militare dello Stato per mezzo dell'occupazione dei cosiddetti "centri nevralgici" e prevedeva “l’enucleazione di centinaia di comunisti, socialisti, sindacalisti, democratici, il loro trasporto in Sardegna e la requisizione di navi e aerei per la bisogna”.
Negli anni precedenti, quando era a capo del SIFAR, De Lorenzo ordinò una schedatura di massa degli italiani: furono raccolti oltre 157 mila fascicoli, molti dei quali abusivi e falsi, in gran parte del tutto superflui per la sicurezza, ma utili come strumenti di pressione e di ricatto.
E il ricatto fu alla base di questo golpe preparato e poi disinnescato all’ultimo momento, incassando i proventi a cui il ricatto era finalizzato: la neutralizzazione politica del primo governo di centro-sinistra.
Si arrivò così al 1970 e il “partito del golpe” prese le sembianze del “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex membro della fascista Decima MAS. Si trattò di un progetto eversivo dell’estrema destra, un vero e proprio colpo di Stato, pianificato nei minimi dettagli, per dare l'assalto, nella notte del 7 dicembre 1970, ai centri nevralgici del potere: ministeri dell'Interno e della Difesa, la sede della RAI, le centrali di telecomunicazione. Le caserme, in attesa dell'ordine di attacco, furono presidiate, ma quando scattò l'ora decisiva tutte le forze mobilitate per il golpe furono richiamate a rientrare nei ranghi.
Tutti i cittadini rimasero all'oscuro del tentato complotto e, soltanto il 17 marzo 1971, con la denuncia del quotidiano Paese Sera si scoprì il rischio che si era corso. Del resto, ancora oggi rimane ignoto il grado di coinvolgimento degli apparati dello Stato e delle cariche politiche in quella cospirazione, che non fu certo, come qualcuno ha sostenuto più tardi, un “golpe da operetta”.
Il tentativo di colpo di Stato di Junio Valerio Borghese, infatti, venne sostenuto dai movimenti neonazisti italiani, Ordine Nuovo di Pino Rauti e Avanguardia Nazionale di Stefano Delle Chiaie, che si ricongiunsero sotto la nuova sigla Fronte Nazionale.
La minaccia di golpe, allo scopo di mantenere e consolidare gli equilibri, rispuntò nel 1973 per una cruciale “ora x” su cui era pronto a scattare anche il gruppo di congiurati della Rosa dei Venti (militari e civili in parte provenienti dal “golpe Borghese”). La logica era sempre la stessa: mettere in campo azioni violente di disordine affinché potessero essere giocate per ottenere una generalizzata richiesta d'ordine («destabilizzare per stabilizzare»).
Per l'agosto 1974 venne, invece, programmato il «golpe bianco» di Edgardo Sogno che, insieme a Rodolfo Pacciardi, progettò una svolta presidenzialista e gollista per dare all'Italia un «governo forte» e una «Seconda Repubblica». L’obiettivo di Sogno e del suo “colpo di Stato liberale” era di “mutare la Costituzione e la forma di governo con mezzi non consentiti dall'ordinamento costituzionale”. Il golpe avrebbe dovuto scattare in piena estate, durante la chiusura delle fabbriche e godeva dell'appoggio degli USA e della loggia P2 di Licio Gelli a cui Sogno era iscritto.
Solo di recente, con la “desecretazione” degli archivi britannici del Foreign Office, si è appreso che anche nel 1976, venne presa in considerazione la possibilità di un "coup d'Etat" (letteralmente alla francese). Questa volta a pensarci era stata la NATO, preoccupata dall’esito delle elezioni politiche del 1976. Davanti all’ipotesi di un governo con il Pci e al “danno” che questo evento avrebbe arrecato al sistema di sicurezza dell'Alleanza Atlantica, nel novero degli estremi rimedi il fronte occidentale, le potenze alleate, presero in considerazione anche l'ipotesi di un colpo di Stato. Eventualità che poi venne scartata in quanto "irrealistica" e “temeraria”.
La strada che venne intrapresa fu dunque diversa: inziò così il periodo del cosiddetto “compromesso storico”, al governo andò Andreotti con il PCI che si posizionò politicamente nell’astensione.
Tra i documenti del Planning Staff del Foreign Office (il ministero degli esteri inglese), ce n'è uno del 6 maggio 1976, intitolato "Italy and the communists: options for the West ”. All'inizio di pagina 14, tra le varie opzioni, si legge: "Action in support of a coup d'Etat or other subversive action".

L’intera storia dei “golpe all’italiana” è stata sepolta sotto una valanga di “segreti di Stato” e una montagna di fascicoli illegali accumulati per essere usati per ricatti, maneggi, intrighi e imbrogli. Niente di molto diverso da quello che sta succedendo oggi…