Intervista alla filosofa Judith Revel

Controllo sociale, precarizzazione della vita, sicurezza, femminilizzazione del lavoro e la lotta per l'autodeterminazione delle donne. Intervista con Judith Revel, tratta dal sito di globalproject.

Dal sito di Global Project Bologna

Uno dei nodi cruciali da affrontare ci sembra quello del controllo.
L'idea di un imposizione del controllo che si gioca molto bene sul
corpo della donna...

Visto dall'estero quello che succede in Italia è una cosa tra la
fantascienza e il film gor mostruoso. Penso in particolare agli eventi
di Napoli, anche se la reazione delle donne è altrettanto
impressionante, questo lascia presagire una reazione politica bella,
potente e nuova, e di questo poi vorrei parlare perché è una cosa che
mi interessa.
L'Italia non è l'unico paese dove stanno succedendo queste cose. In
Francia c'è una discussione legale per sapere se il feto può avere una
personalità giuridica, il che ovviamente aprirebbe la strada a una
rimessa in discussione del diritto all'aborto. Mi sembra che sia un
clima abbastanza generale, e quindi deve essere preso in modo
piuttosto serio.

Il corpo delle donne
Ero a Roma in questi giorni e parlavo con donne della mia età, più
vecchie di me, ma anche più giovani. Quello che emergeva dalla
discussione comune erano due cose: la prima è il sentimento di potenza
e di gioia che hanno provato manifestando recentemente a Roma con
questo leit-motiv che tornava continuamente nei loro discorsi che era
"eravamo tutte noi in piazza, ma c'erano anche uomini anche se noi
eravamo numericamente più rappresentate, ed era un soggetto politico
nuovo.
Questo mi interessa perché vuol dire che rispetto a quello che ci ha
lasciato il femminismo storico c'è qualcosa che sta cambiando e
venendo fuori in modo inedito. Questo non vuol dire che sia meglio o
peggio: è diverso, ma è diverso perché il contesto politico e la morsa
del potere sul corpo delle donne e sulla vita in generale è nuova, è
altrettanto nuova.
Abbiamo provato, velocemente come una traccia da approfondire, a
definire cos'è il nuovo del potere in quello che sta succedendo e che
non è solo un andare indietro rispetto alle conquiste femministe degli
anni '70, sul diritto all'aborto, sul diritto di scelta rispetto al
proprio corpo, su un altro modo di guidare, di scegliere la propria
sessualità.
La novità è forse il fatto che tutto quello che era il terreno di
resistenza delle donne trent'anni fa, è diventato oggi espressione di
questa reazione massiccia che si vede in Italia.
Per esempio se tu prendi i discorsi di Ferrara (che sono spaventosi)
producono la caricatura mostruosa e degenerata, rovesciata e corrotta
dall'interno, dei discorsi delle donne stesse negli anni '70. Il
discorso di Ferrara si articola su un argomento che grossomodo dice
"non possiamo toccare l'integrità delle donne, dobbiamo difendere il
corpo delle donne".
In questo si può vedere un nuovo funzionamento del potere, che
estendendosi su terreni che erano di resistenza, di aggregazione
soggettiva e di lotta, li fa propri, li assorbe, e quindi ti toglie la
terra sotto i piedi, la terra di conflitto sotto i piedi.
A me questa cosa tocca enormemente, perché in Francia il bordello
infinito in cui stiamo con l'assoluta incapacità della sinistra, o
quello che rimane della sinistra, a reagire, in realtà deve
fronteggiare un fenomeno dello stesso tipo esteso a tutte le poste in
gioco politiche perché Sarkozy è uno che dice "io la sinistra e le
parole d'ordine della sinistra le ho fatte entrare al governo e quindi
non avete più neanche il terreno della lotta sotto i piedi. Mi sembra
che quello che sta succedendo alle donne è un laboratorio di quel tipo
di produzione normativa tremenda e ci pone la domanda politica
cruciale che è: qual è il nuovo terreno su cui noi spostiamo le lotte.
Il discorso fatto recentemente rispetto alle donne e al corpo delle
donne è innanzitutto un discorso biologico, e si è visto benissimo
nell'episodio di Napoli. Tutta la discussione è sul numero di
settimane, sulle condizioni di espulsione del feto nel cesso o meno,
sul fatto che la donna fosse cosciente al momento dell'uscita
dall'anestesia o meno, ed è nel complesso un discorso di
naturalizzazione assoluta di quell'atto di generazione che, anche se è
questo, è ben altro.
Quando si riduce la vita, sotto qualsiasi forma e in particolare la
riproduzione, che poi non è riproduzione ma produzione di figli (e
anche qui c'è una bella mistificazione), quando si riduce questa
complessità della vita che è fatta anche di affetti, di rapporti, di
sentimenti, di scelte, di diritti, di rivendicazioni, di lotte, alla
naturalità, al fisiologico, al medico, si fa una grande operazione di
potere. Quello che noi, nella scia foucaultiana, definiamo biopoteri,
è esattamente questo, il modo in cui il potere scopre la vita come
posta in gioco del potere della propria economia, di riproduzione dei
beni e lo assoggetta.

Parlavi, giustamente, di una mistificazione del concetto di vita. Vita
da proteggere, una vita fragile, quella dell'embrione, ma non si fa
mai nessun riferimento alla donna...

Sì infatti. Si parla del numero di settimane, ma nessuno parla della
vita che vive una donna con figli che deve fare due, tre lavori per
guadagnare 800 euro al mese e che non ce la fa. Non solo fisicamente
perché arriva distrutta a fine giornata, ma non ce la fa a vivere, a
mangiare, a dormire tranquilla, ad avere un futuro, a sognare, a
desiderare, a sposarsi se ha voglia di sposarsi o a non sposarsi se
non vuole farlo.
E' ovvio che il biologico, in particolare con l'avanzamento delle
tecnologie e delle biotecnologie è diventato una posta in gioco, anche
economica (tutta l'industria genetica, farmacologica), ma è
altrettanto ovvio che più se ne parla, meno si parla di quello che fa
anche la vita, che sono le condizioni elementari perché non sia una
sopravvivenza animalesca e disperata, ma che sia una vita degna.
Prima dell'estate ho partecipato ad un convegno in cui ho parlato di
"difendere la vita". Ho provocato la reazione di qualcuno che mi ha
detto "non parlare di difesa alla vita perché sembra una posizione
antiabortista", ma io intendevo la vita in tutt'altro senso.
Dobbiamo riprenderci la vita e difendere la vita, ma non come quelli
che entrano nei consultori per cercare di rimettere in discussione il
diritto all'aborto, ma difendere la vita perché una vita spinta
all'estremo, così com'è l'esistenza di milioni e milioni di donne e
uomini precari, è di questa vita che bisogna parlare, è di questa
insicurezza che bisogna parlare. Non a caso i discorsi politici oggi
sono cristallizzati sul problema della vita biologica da una parte e
sul problema della presunta insicurezza sociale dall'altra. Tutto
insomma per non parlare di quell'altra vita che a noi spetta
difendere.

Parlavi della precarietà del lavoro e quindi della questione femminile
anche all'interno del contesto del lavoro e delle nuove forme di
precarizzazione del lavoro. Qualche anno fa si è discusso molto della
femminilizzazione del lavoro. Che cosa significa, che cosa significa
oggi?

La cosa mi sembra abbastanza complessa. E' ovvio lo statuto storico,
anche oggi, della donna, è una precarietà al quadrato, forse al cubo.
E' sotto gli occhi di tutti e tutte.
Femminilizzazione del lavoro, lì io ho più dubbi o almeno penso che la
descrizione debba essere un po' sfumata.
Recentemente ero a un convegno sull'immigrazione e i flussi. C'era
un'antropologa che fa un lavoro sul confine Messico-Stati Uniti e in
particolare sui lavoratori e le lavoratrici transfrontalieri, che
attraversano il confine per andare a lavorare nelle fabbriche
americane, pagati una miseria.
Lei diceva che 10 anni fa la proporzione di questi lavoratori, di
questa forza lavoro super-sfruttata e totalmente precaria, era
essenzialmente femminile, poi, diceva lei, si è femminilizzato il
mercato del lavoro precario transfrontaliero.
E non capivo, perché le donne erano già il 90% di quella composizione
10 anni fa, non capivo in che senso lei intendesse femminilizzare. Lei
diceva "Beh sì, perché 10 anni fa erano il 90% di donne e oggi, dieci
anni dopo, il 30% sono donne e tutto il resto sono uomini con le
stesse condizioni lavorative fatte alle donne 10 anni fa.
Lei intendeva femminilizzazione o diventare donna del lavoro, quello
che noi abbiamo chiamato così qualche anno fa, nel senso che le
condizioni di merda, diciamolo pure, fatte alle donne storicamente, di
iperprecarietà, sono ormai la condizione generale della precarietà.
Ciò non toglie che le donne in quell'abbassamento delle garanzie
lavorative, sociali, umane, affettive, sono come sempre la punta della
disperazione o dello sfruttamento, prendono il peggio del peggio.
Quindi bisogna intenderci su cosa significa femminilizzazione del lavoro.

Di fronte a questo tentativo di controllo, qual è lo spazio politico
possibile? La tecnologia avanza, ma si mette in discussione la legge
sull'aborto, è un po' incredibile...

Ho l'impressione che le strategie del potere ormai siano di tipo
aleatorio e contraddittorio.
Una delle mosse dei rapporti di potere in generale, forse siamo
entrati in una nuova fase per questo, è di tenere un discorso e
l'altro simultaneamente, anche se sono contraddittori, soprattutto se
sono contraddittori. La contraddizione provoca in realtà patologia
sociale, impedisce l'organizzazione, la lotta, la rivolta, ecc...
Quindi bisogna stare molto attenti e ci sarebbe da fare una nuova
lettura dei poteri.
Sulle forme di organizzazione delle donne e delle ragazze oggi, la
cosa che a me interessa è che sono ragazze che spesso, per ragioni
anagrafiche, non hanno più nulla a che fare con l'esperienza degli
anni '70. Un'esperienza che è stata essenziale, ma è stata della madri
e delle nonne ormai.
Le ragazze oggi quella storia la conoscono pochissimo e in realtà si
riferiscono pochissimo a quella stagione di lotte. Il tempo avanza e
le condizioni sono cambiate, il fatto di avere una generazione che non
sempre si riferisce a quegli anni storici, a me sembra necessaria per
cercare di leggere il nuovo anche nei rapporti di potere.
L'altra cosa che vedo è che spesso sono ragazze che si muovono dal
politico alla lotta delle donne.
Cioè partono da un'esperienza di lotta politica in cui la precarietà è
un tema centrale e vanno ad individuare un terreno specifico che è
quello dell'esperienza delle donne su una lotta ancora più specifica
che è quella della 194.
Il carattere politico, conflittuale della loro lotta è esplicito e
passa per primo.
Non è che questo non fosse vero negli anni '70. Lo era, ma era
altrettanto vera la difficoltà a trovare una posizione, una
collocazione, rispetto ad un movimento che estremamente potente e
prevalentemente maschile. Da lì i temi del separatismo ecc..
Questo mi sembra meno importante oggi e lascia paradossalmente più
spazio al tema centrale della precarizzazione della vita sotto tutti i
suoi aspetti, dall'aborto fino alla gestione del tempo, dal salario
alla casa e lascia anche più spazio alle forme di soggettivazione
comune, cosa abbiamo in comune, cosa mettiamo in comune. Questo mi
sembra molto bello e anche molto commovente, perché è tutto da
inventare.

Intervista a cura di Maria Fiano, Radio Sherwood

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