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Via Zamboni, ennesima cancellazione del murale per il Rojava

I colpi di pennello nulla possono però contr.o la determinazione di chi sostiene la rivoluzione della Siria del Nord: un nuovo corteo è stato indetto da molte realtà cittadine per sabato 11 gennaio, con partenza alle 15 da piazza XX settembre.

02 Gennaio 2020 - 18:09

Che i muri della cittadella universitaria esprimano solidarietà per l’unica rivoluzione laica, ugualitaria, femminista ed ecologista in medio oriente deve risultare proprio indigesto. Solo per la solita retorica del decoro o magari per non far innervosire il sultano Erdogan, del resto alleato militare nel Patto Atlantico? Chissà. Sta di fatto che, come sempre in periodo di vacanze e con pochi studenti in giro, è stato  cancellato il pezzo realizzato lo scorso 12 ottobre, durante un corteo contro l’aggressione turca alla Siria del Nord, sullo stesso muro dove ne era stato cancellato uno simile il giorno prima e un altro dedicato alla combattente Anna Cambell ad agosto 2019, anch’esso disegnato in sostituzione di quello per la resistenza della citta curda di Kobane risalente al 2014 e rimosso ad agosto 2018.

Questi reiterati colpi di pennello non faranno certo venir meno la determinazione dei molti che in città da anni sostengono la rivoluzione del Rojava: per sabato 11 gennaio Uiki Onlus, Rete Kurdistan Italia, Jineologi, Rete Jin, Non una di meno, Ya Basta, Cua, Làbas, Tpo, Vag61, Crash, Nodo sociale antifascista, Xm24, Coordinamento migranti e Connessioni precarie hanno convocato negli scorsi giorni un nuovo corteo con partenza alle 15 da piazza XX settembre, “In ricordo di Sakine, Fidan e Leyla, uccise a Parigi da sicari turchi il 9 gennaio 2013”, “per la libertà di Ocalan”, “per difendere la rivoluzione del Rojava e la rivoluzione delle donne,  per l’autoderminazione dei popoli che vivono in Siria, per il ritiro dell’esercito turco dalla Siria, per continuare a promuovere il boicottaggio economico e politico del regime e la solidarietà attiva alle donne e agli uomini che resistono al fascismo di Erdogan, per costringere l’Italia e l’Europa a cessare la vendita e la fornitura di armi e ogni altra forma di sostegno al regime turco” e “per la pace e la libertà nel nord est della Siria e in tutto il Medioriente”.

Scrivono i collettivi: “Dal 9 ottobre, con il tentativo di occupazione del Rojava da parte della Turchia e delle milizie jihadiste sue alleate, si sta cercando di distruggere il futuro dei popoli che dall’inizio della rivoluzione stanno costruendo una società democratica, ecologista e femminista nella Siria del Nord e dell’Est. La Turchia non è la sola responsabile di quella che sta assumendo le caratteristiche di una vera e propria pulizia etnica verso i popoli che da sempre vivono quei territori (curdi, arabi, yazidi, turcomanni, assiri). Se Erdogan rappresenta perfettamente la violenza dello Stato oppressore contro cui le donne di tutto il mondo hanno puntato il dito, la risonanza globale di quel grido dimostra ancora una volta la strutturalità di questa violenza. E infatti Stati Uniti, Russia e Europa rimangono indifferenti davanti alle sofferenze del popolo curdo. L’Italia e tutta la Comunità Europea, al di là di dichiarazioni di condanna verso il Regime di Erdogan, non hanno fatto nulla per fermare la Turchia. Nessun rapporto commerciale è stato messo in discussione. Nulla per bloccare la vendita di armi all’esercito turco. Anzi si è continuato a versare miliardi di euro nelle casse dello Stato turco affinché impedisca a chi fugge dalla guerra di raggiungere l’Europa. Nel frattempo, la sentenza liberticida contro Eddi, Paolo e Jacopo conferma che per lo stato italiano non esiste differenza tra gli assassini dell’Isis e le compagne e i compagni che combattono per la libertà. Solo la resistenza delle Forze Democratiche della Siria e delle Unità di autodifesa cittadine sta impedendo che la Turchia e il cosiddetto Esercito Libero Siriano, formato da vari gruppi jiahadisti e da miliziani di daesh e Al Nusra, portino a compimento il loro progetto di pulizia etnica. I bombardamenti e le armi chimiche contro i civili a Serekaniye e Girespi, le uccisioni e le violenze sui corpi di Amara Gunes, combattente YPJ e di Hevrin Xelef, presidente del Partito per il futuro della Siria, sono solo alcuni degli esempi della brutalità e dei crimini di guerra commessi dall’esercito turco e dai suoi alleati. Non si vuole solo cacciare delle popolazioni dai loro territori, si vuole distruggere un processo democratico fondato sul protagonismo e sulla libertà delle donne. Le quali hanno organizzato un proprio sistema autonomo di eguale rappresentanza nella politica con la co-presidenza in tutte le istituzioni della resistenza, nell’autodifesa e in tutti i campi della vita. Lo stato turco si sente minacciato dall’autorganizzazione delle donne e dall’esempio rivoluzionario dei territori del Rojava, perché mostrano che una nuova società è possibile e che il patriarcato può essere distrutto. Noi, invece, dall’esempio delle donne in lotta traiamo forza e coraggio, per questo è di nuovo tempo di mostrare la nostra solidarietà riprendendoci le strade diffondendo il loro grido rivoluzionario”.