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Verona / “Palla al centro, si riparte” [video]

La sentenza sul pestaggio di Paolo Scaroni e il presidio fuori dal tribunale nel racconto a una voce di due solidali accorsi da Brescia. Una cronaca in presa soggettiva, con il video della giornata.

24 Gennaio 2013 - 14:19

Sono circa le 12 e 30 del pomeriggio di venerdì 18 Gennaio quando salgo sul treno Brescia-Verona, per raggiungere il presidio di solidarietà al tribunale dove oggi sarà pronunciata la sentenza per Paolo Scaroni, quel tifoso che il 24 settembre 2005 è stato massacrato di botte dalla polizia. Due mesi di coma, e ora è invalido al 100%. A processo ci sono 8 poliziotti. Dopo quasi otto anni di lotte una prima conclusione è vicina. Vabbè, è il primo grado, quelli poi faranno ricorso. Ma per noi è importante come se fosse l’ultimo grado di giudizio. Il primo passo; ne seguiranno molti altri.

L’atmosfera potrebbe ricordare quella di una trasferta, proprio come quella contro l’Hellas Verona in quel fatidico giorno. Ci sono sciarpe, cappellini, felpe del Brescia. Sul treno si fanno chiacchiere, qualcuno prende dagli zaini il pranzo che si è portato per affrontare la giornata; conosco alcuni degli ultras e degli amici di Paolo. Ragazzi, ragazze, giovani e meno giovani che quel giorno erano presenti in stazione a Verona durante le cariche ingiustificate da parte della polizia. Mi raccontano cosa è successo. La mente ripercorre i fatti di quella giornata e quelle ore passate in stazione, tra lo sgomento ancora intatto per l’assenza di una ragione, e la rabbia che rimonta ripensando a quegli istanti. L’atmosfera surreale in stazione, le cariche, la confusione, i lacrimogeni sul treno e le manganellate, tante. Qualcuno afferma che la polizia quel giorno stava facendo un “allenamento”. Mi dico: “Ma questa è tutta gente che potrebbe testimoniare com’è andata davvero!”. Ci penso un attimo, che stupidaggine: queste persone sono additate come violente, estremiste, sono ultras, chi gli crederebbe? Eppure a me non sembra esattamente così. Qua i violenti sono altri; certo, se magari la polizia avesse avuto dei numeri identificativi… Poi, d’un tratto, tutti in piedi. Con aria cupa a guardare fuori dai finestrini i binari della stazione di Verona: siamo arrivati.

Dopo un’ora di viaggio stiamo uscendo dalla stazione, dove ci sono già degli striscioni e delle bandiere ad aspettarci. Ma non sono solo azzurre e bianche; chiedo, ci sono anche tifosi del Perugia. Partiamo e insieme ci avviamo verso il tribunale. In pochissimo tempo raggiungiamo l’ingresso. La digos rompe le palle. Non si può entrare, siamo in troppi. Nel frattempo stanno infatti arrivando decine di tifoserie da tutta Italia. Bologna, Milano, Venezia-Mestre, Cesena, Sampdoria. Ma ce ne sono addirittura da Salerno, Ancona, Lecce, compresi “rivali” calcistici storici, come Verona e Bergamo. Ci guardiamo attorno con aria sorpresa per la grande affluenza, chiedendoci che sciarpa sia questa piuttosto che quell’altra. La digos, dopo qualche tempo alla ricerca di un’intesa, ora ci dice che si può entrare. Passiamo sotto il metal detector, ci identificano tutti con tanto di telecamere. Mi incazzo ma me ne sto zitto. Siamo qui per Paolo, che ci sta già aspettando dentro.

Però c’è un’aria strana. Sospesa. Certo, non mi aspettavo una festa, siamo pur sempre attesa una sentenza. Ma si respira quella tensione che si percepisce prima di un rigore. In attesa di sfogare la tua gioia. O la tua Rabbia. Una tensione che però dura ore. Alle tre il giudice si è ritirato per deliberare, sono le cinque ma ancora non si sa nulla. Fa un freddo cane. Siamo tutti nel cortile del tribunale, di fronte all’aula. Gli sguardi sono perplessi. C’è un’aria strana. Sospesa.

Paolo intanto esce dall’aula per fumarsi una sigaretta. Si avvicinano tutti, è uno di noi. È tesissimo. Poco dopo il suo rientro in aula tutti si avvicinano velocemente alla porta. È il momento. Trovo un posto su una panchina di fronte all’ingresso. Sento grida confuse. Escono tutti neri. Bestemmiano e sputano a terra. Cazzo, non è possibile. Mi guardo intorno ancora un po’. Chissà chi era questo. Magari era uno degli sbirri. Un grido mi leva ogni speranza: ”Li hanno assolti tutti quei bastardi”. Un macigno.

Vedo Paolo che sta uscendo. A testa alta. Attraversa un fiume di ultras accompagnato dai familiari. Scoppia un lungo applauso e partono dei cori: “Paolo sempre con te”, che si mescolano con le grida e le incitazioni. È un boato. È la nostra rabbia. La rabbia per aver rincorso giustizia per Paolo. Vittima di uno stato che ti mena e si assolve. Eh no, cazzo. Non ci sto.

Il rigore lo abbiamo sbagliato. Palla al centro, si riparte.

“Qui non si molla un cazzo”

Giustizia per Paolo