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Turchia / Un’autobomba esplode a Diyarbakir, arresti e scontri nel paese

Nell’esplosione sono morte otto persone. Portati in carcere i due presidenti del partito democratico curdo insieme a 11 deputati. Impedite diverse manifestazioni di solidarietà con l’uso della forza. Fermati e interrogati decine di giornalisti.

05 Novembre 2016 - 09:45

(da Nena News
Di Mahmut Bozarslan (Voice of America) [Public domain], attraverso Wikimedia CommonsSono almeno otto i morti – tra cui 2 poliziotti, 5 civili e un presunto attentatore – dell’esplosione di una autobomba avvenuta questa mattina nei pressi di un edificio della polizia a Diyarbakir. Le autorità hanno subito accusato il Pkk ma non è giunta alcuna rivendicazione.

La polizia turca ha respinto facendo uso della forza gruppi di manifestanti a Istanbul (7 arresti), nella capitale Ankara (10 arresti) e a Diyarbakir, principale città curda, che protestavano contro gli arresti dei deputati del partito filo-curdo Hdp. Diverse manifestazioni sono inoltre state impedite sempre con la forza ad Antaliya e in altre località la Turchia. Le autorità, riferiscono attivisti turchi e curdi, hanno bloccato i social network.

Gli arresti di Demirtas e Yuksekdag “sono una macchia nera nella storia della Turchia e della politica”. Lo ha detto il portavoce dell’Hdp, Ayhan Bilgen, rivolgendosi ai “circoli democratici, della società civile e dell’opinione pubblica internazionale” in un videomessaggio diffuso oggi ad Ankara dopo il divieto delle autorità a una conferenza stampa, convocata dopo gli arresti.

Ha fatto almeno 1 morto e 30 feriti l’autobomba esplosa stamani nei pressi di un edificio della polizia a Diyarbakir, a poche ore dagli arresti dei leader e almeno 11 deputati del partito filo-curdo Hdp.

La mano pesante della repressione torna a colpire i curdi nella Turchia del presidente islamista Erdogan. I due co-presidenti del Partito Democratico del Popolo (Hdp) sono stati arrestati la scorsa notte, nel quadro di una “inchiesta sul terrorismo”. Selahattin Demirtas, con un twitter, ha avvertito che la polizia era arrivata a casa sua a Diyarbakir per arrestarlo. Successivamente l’Hdp ha comunicato che è stata arrestata ad Ankara Figen Yuksekdag, l’altro co-presidente.

Fonti locali hanno aggiunto che oltre a Demirtas e Yuksekdag, sono finiti in manette 11, (secondo altre fonti 14) dei 30 deputati dello Hdp. Le autorità turche, con Erdogan in testa, affermano che l’Hdp sarebbe un’estensione politica del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) che Ankara considera un “gruppo terroristico”. Demirtas sarebbe accusato anche di aver “insultato” Erdogan durante un discorso pubblico e di aver “istigato alla ribellione” e a “disobbedire alla legge dello Stato”.

Gli arresti di Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag, ha protestato Sezgin Tanrikulu, deputato del partito socialdemocratico Chp, principale forza di opposizione in Turchia, “non rappresentano solo un golpe, ma anche un tentativo di dividere il Paese. Il Parlamento è stato bombardato un’altra volta”.

La mano dura del governo turco contro l’Hdp di fatto era iniziata già durante le elezioni generali del giugno 2015, in cui il partito progressista e filo curdo andò per la prima volta oltre la soglia del 10 per cento ed entrò in Parlamento. L’assemblea legislativa turca ha votato prima dell’estate a favore della revoca della immunità parlamentare, una mossa che, come molti avevano previsto, voleva colpire proprio l’Hdp.

Questa settimana sono stati arrestati anche Gültan Kisanak e Firat Anli, co-sindaci della città sudorientale di Diyarbakir, con l’accusa di avere legami con il Pkk. La reazione dei vertici dell’Hdp all’arresto dei due sindaci è stata immediata e Demirtas ha promesso che il partito “lotterà” contro questo provvedimento giudiziario “illegale e senza alcuna giustificazione”. L’amministrazione di Diyarbakir nel frattempo è stata posta sotto il controllo di un commissario, come già avvenuto in altri ventiquattro comuni guidati dai partiti curdi.

L’arresto dei vertici dell’Hdp è solo l’ultimo atto della repressione che ha colpito persone ritenute vicine al Pkk e i seguaci, veri o presunti, dell’islamista (e rivale di Erdogan) Fethullah Gulen, accusato dal presidente e dal governo di essere dietro al fallito colpo di stato della scorsa estate.

Nei giorni scorsi un’operazione contro il principale giornale di opposizione, Cumhuriyet, sono stati fermati e interrogati il direttore e una dozzina di giornalisti nell’ultima operazione di polizia contro le testate giornalistiche non allineate ad Erdogan.