Attualità

Torturava a Bolzaneto, stuprava in Questura

Ieri la Cassazione ha condannato l’assistente capo di polizia Massimo Luigi Pigozzi a 12 anni e mezzo di reclusione per lo stupro di diverse donne all’interno delle camere di sicurezza della Questura di Genova.

02 Ottobre 2013 - 14:13

(da Infoaut)

Il nome del poliziotto Massimo Pigozzi torna tra le pagine di giornale, mentre la memoria (che è dura a morire per noi) ci riporta al 14 giugno 2013 quando il suo nome compariva tra le 7 condanne -tra forze dell’ordine e medici- emesse dalla quinta sezione penale della Cassazione per le violenze perpetrate nella caserma di Bolzaneto durante il G8 di Genova del 2001. Tra le numerose torture inflitte ai manifestanti in quel giorno, Pigozzi ha letteralmente strappato la mano a un manifestante divaricandogli le dita, provocandogli una lesione permanente che nemmeno i 25 punti di sutura sono stati in grado di evitare.

Condannato a tre anni e due mesi, il torturatore e stupratore Pigozzi ha continuato indisturbato a fare il suo sporco lavoro all’interno della Questura di Genova, emblematico di una “giustizia” -se così si può chiamare- che va a senso unico. Ad essere condannato, anche lo Stato, obbligato a risarcire una delle donne stuprate (costituitasi parte civile nel procedimento) che ha fatto ricorso di fronte alla decisione dei giudici riguardo all’assenza di responsabilità civile del ministero dell’Interno per il comportamento del poliziotto. Ricorso accolto dalla Cassazione, davanti alla palese responsabilità che lo Stato ha avuto nel garantire a Pigozzi il regolare svolgimento di pubblico servizio nonostante si fosse già reso attore in prima persona delle torture a Bolzaneto.

Non è una condanna di reclusione a 12 anni e mezzo -con i molti modi che ci saranno per scontarla- a “ricompensare” il danno e il dolore subito dalle donne stuprate, né la condanna di Bolzaneto a ridare al manifestante il completo utilizzo della mano. Tanto meno possiamo ritenere il comportamento di Pigozzi un caso isolato, giacché la logica della “pecora nera” è lungi dal rispecchiare una realtà a volte sin troppo sommersa e che con perseverante impegno si vuole tenere nascosta, ma che di tanto in tanto, riaffiora tra le pagine dei quotidiani, rivelando la vera natura di un’istituzione marcia fino al midollo.