Editoriale

Sympathy for the Devil?

Facebook e altre piattaforme oscurano le pagine che veicolano contenuti contro l’invasione turca del Rojava e di sostegno alla rivoluzione curda. Nulla di cui meravigliarsi, è vero, ma anche questo tra i tanti è un campo di battaglia: contraddizioni, consapevolezze, rischi, complessità.

22 Ottobre 2019 - 12:27

Just as every cop is a criminal
And all the sinners saints
As heads is tails
Just call me Lucifer
‘Cause I’m in need of some restraint

Negli ultimi giorni Facebook e altre piattaforme della stessa famiglia (e risma) sono state molto attive nel nascondere le pagine e i profili di realtà collettive e singoli utenti che propongono contenuti critici nei confronti del Governo turco e a sostegno della resistenza curda del Rojava. Ne abbiamo scritto anche su Zic, ad esempio in un articolo in cui si dà conto dell’oscuramento toccato alle pagine dei collettivi che hanno partecipato al blocco di un volo Turkish Airlines all’aeroporto Marconi. Questo articolo ha ricevuto un commento in cui chi lo ha scritto afferma che se una decina di anni fa gli avessero detto che un giorno i movimenti avrebbero rivendicato libertà di espressione in una porcilaia privata di link sponsorizzati non ci avrebbe creduto: “Siamo al capolinea”, è la conclusione. E’ un’opinione legittima e certamente solleva un tema reale. Ma la cosa più interessante è che per muovere questa critica l’autore ha usato Facebook. E’ tramite Facebook che noi abbiamo potuto leggere questa riflessione e lo stesso vale per i lettori di Zic, compresi quelli che poi si saranno detti: “E’ proprio vero”.

Quindi Facebook è buono? No, da queste parti non è mai circolato un pensiero simile. Da queste parti – parliamo di noi stessi, ma confidiamo che sia la stessa cosa per una larga fetta della comunità dei lettori – non è mai mancata la consapevolezza della sua natura commerciale, capitalista, gerarchica, individualista e chi più ne ha, più ne metta. Tant’è che da anni la nostra redazione si impegna per tenere vivo uno strumento di informazione e comunicazione esterno a questa dimensione. Indipendente. Libero. Autogestito. Dice bene il collettivo Bida, in un comunicato che abbiamo riportato nei giorni scorsi: “Ci sembra grave continuare a delegare prioritariamente la comunicazione antagonista e libertaria a una multinazionale che, detenendo oltre tre quarti del mercato sia dei social network sia dei sistemi di messaggistica istantanea, può con enorme e incontrastata discrezionalità determinare quali informazioni possano circolare e quali no”. E infatti un progetto come Zic.it (al pari di altri, mai troppi) vive lontano e contrapposto a Facebook e soci. Non solo perchè pensato, realizzato e veicolato fuori da quella dimensione. Ma anche perchè alimentato da questa alterità. Un progetto che è tale perchè vuole offrire un’alternativa concreta alla superficialità social, all’onanismo della self-communication, alla trappola delle fake news, al ritmo preconfezionato dei post, allo spazio ristretto, al tempo reale dell’irreale. Un progetto che, in più, si basa sul copyleft ed ha colto con gioia sia la possibilità di cominciare a veicolare i propri contenuti su un social network autogestito come Mastodon, sia l’opportunità di diffondere l’esistenza e le ragioni di questa esperienza.

Poi. Poi Zic usa anche Facebook, così come usa altri strumenti commerciali e mainstream. Lo usa ‘in uscita’ ma soprattutto ‘in entrata’: ci piaccia o meno, molte informazioni passano da lì. E’ ovviamente una contraddizione. E’ senza dubbio un compromesso. Nato da una leggerezza che cede alle sirene della Silicon Valley? No, al contrario, c’è dietro una doppia consapevolezza: che il diavolo è il diavolo; che l’informazione/comunicazione antagonista o tenta di raggiungere mondi più ampi di quelli che rappresenta, oppure non è. Così come non si resta tra le mura amiche di un centro sociale ma si esce e si spinge un corteo verso i luoghi dove può creare conflitto, dove è difficile passare, dove si corrono anche dei rischi e dove si misura quanto si è stati capaci o meno di produrre. Ecco allora che un progetto come Zic, nel suo piccolo, si costruisce le sue armi, tutte quelle che può, ma raccoglie anche quelle che trova sul terreno, portate lì dal nemico.

Questa non vuol essere una risposta al commento citato in apertura o ad altre considerazioni circolate sul senso politico di denunciare la cosiddetta censura di Facebook. Nè tanto meno ci preme rivendicare un’eventuale bontà del lavoro portato avanti da Zic. Questi rappresentano semplicemente degli spunti per provare ad argomentare che è utile ragionare su questi temi con un approccio orientato alla complessità. E’ un invito a restare su Facebook? Niente affatto. E’ giusto agire perchè Facebook venga superato, aggirato, svuotato. Ma per farlo è utile (non certo obbligatorio, ma ragionevole) considerare anche questo un campo di battaglia – tra i molti – e cogliere le occasioni che si presentano per svelarne sempre di più il volto buio, come hanno fatto negli ultimi giorni i collettivi, le realtà di informazione indipendente e le/i singole/i compagne/i che hanno denunciato pubblicamente di essersi ritrovate/i con una o più pagine oscurate in ossequio alla sporca guerra di Erdogan. Il tema non è meravigliarsene o meno. Il tema è rompere anche questa di vetrina, tra le tante.

Pleased to meet you
Hope you guess my name, oh yeah
Ah, what’s puzzling you
Is the nature of my game, oh yeah