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Siria / Che ci fanno i Carabinieri italiani?

Alcune decine di militari italiani sarebbero al fronte vicino a Deir Ez-Zor, dove le Sdf attaccano una delle ultime enclave dello Stato islamico: a confermarlo alcuni combattenti internazionalisti delle unità di protezione popolare.

23 Giugno 2018 - 10:40

Di Luigi D’Alife

Un contingente di militari italiani è stato avvistato nella provincia di Deir Ez Zor, nella Siria Orientale, unendosi all’operazione “tempesta di Cizire” lanciata dalle SDF (Forze democratiche siriane) per liberare una delle ultime zone sotto il controllo di Isis in prossimità del confine con l’Iraq.

La notizia è stata confermata da alcuni combattenti internazionalisti delle YPG che hanno visto ed incontrato sul campo un gruppo di Carabinieri sul fronte di Al-Dashisha mentre operavano insieme alle forze speciali francesi. Nel corso degli ultimi anni sono stati molti gli internazionali che, da diverse parti del mondo, si sono unite alle YPG nella guerra contro Isis. Tra questi ci sono anche diversi italiani, e sono stati proprio loro che, nella base di Shaddadi, ne hanno avuto diretta testimonianza da parte di un gruppo di miliziani dell’Unità di difesa del popolo.

Fonti locali hanno riferito la presenza di circa cinquanta uomini armati che indossano la divisa italiana, ma in questo momento risulta difficile avere informazioni certe rispetto al numero esatto di carabinieri schierati.

Ancora più complicato scoprire perché si trovino in quella regione da mesi terreno di guerra tra truppe di Assad, ISIS e curdi. Alcune voci riferiscono che si tratterebbe di militari specializzati nell’addestramento e nella cooperazione con le SDF, mentre altri lavorerebbero con batterie d’artiglieria e come cecchini. Quel che è certo è la loro presenza sulla sponda est dell’Eufrate.

La città di Al-Dashisha, a pochi chilometri dal confine con l’Iraq, è stata liberata dalle SDF in un offensiva lampo nella giornata di domenica 17 Giugno. Fino ad allora era l’ultima roccaforte dello Stato Islamico dopo la perdita dei territori e dell’ex-capitale Raqqa. La città viene ricordata come luogo in cui vennero deportati migliaia di Ezidi che Isis aveva rapito a Sinjar, ed era lo stesso posto in cui si consumava il “mercato” delle donne vendute come schiave.

Già il 12 giugno scorso l’agenzia di stato turca Anadolu, aveva pubblicato un articolo affermando che “L’Italia ha inviato truppe nella provincia di Deir Ez-Zor nella Siria orientale per sostenere il gruppo terroristico Ypg / Pkk”. Citando fonti anonime, la stessa agenzia, riferisce che gli italiani sarebbero arrivati nella seconda settimana di giugno nella città di Al-Hasakah, di passaggio verso Deir Ez-Zor. Secondo la stessa ricostruzione viene affermato che la truppa sarebbe stata inviata “alla base militare americana nella regione petrolifera di Al-Omar”, e che tra questi ci sarebbero “consulenti militari che hanno sostenuto le forze armate statunitensi e francesi nelle operazioni del gruppo terroristico anti-Daesh”.

Così il quotidiano turco filogovernativo Daily Sabah (Daily Morning) ha titolato poi la notizia: “L’Italia invia truppe per sostenere i terroristi delle YPG nel Deir el-Zour in Siria”.

Interpellato sull’argomento, ad oggi l’unica smentita arrivata è quella dal tenente colonnello Massimo Carta: “Le notizie sulla presenza di truppe italiane in Siria non sono assolutamente vere. Non ci sono truppe italiane impiegate in Siria”. L’uomo dell’ufficio stampa del Ministero della difesa, affidando la sua dichiarazione al portale di informazione sui temi della difesa “The defense post”, ha ribadito che “il dispiegamento delle forze armate italiane in paesi stranieri deve essere necessariamente approvato dal parlamento italiano”.

E in effetti, per l’anno 2018, la 17° legislatura, non risulta abbia mai pianificato o votato a favore di missioni militari in Siria. Ed è proprio per questa ragione che non si spiega cosa ci facciano dei carabinieri in quella zona di guerra.

Fino ad oggi nessun soldato italiano ha mai preso parte in Siria alle operazione militari contro Isis, almeno ufficialmente. Oggi i fatti dimostrano che questo sta avvenendo. Truppe italiane sono in Siria senza che la decisione sia stata neanche discussa in Parlamento, senza che nessuna forza politica, il capo del Governo o il ministro Elisabetta Trenta ne abbia riferito pubblicamente. A differenza della Francia che, per voce del presidente della repubblica Emmanuel Macron, da aprile aveva annunciato apertamente l’invio di truppe a Manbij.

Da quando sono finite le operazioni militari contro Daesh nella provincia di Deir Ez Zor, gli interessi di Stati Uniti, Russia e del governo di Bashar al-Assad si sono fatti più forti vista la forte presenza di giacimenti petroliferi e di gas naturale.

La secca e quasi piccata smentita del ministero della difesa sembra inserirsi alla perfezione in questo contesto. Forse la conferma della presenza di truppe italiane in supporto alle SDF sarebbe sconveniente nei rapporti con la Turchia di Erdogan?
A poco più di 3 mesi dalla visita ufficiale che portò Erdogan a Roma, gli “equilibrismi” politici costituiscono un nodo centrale per continuare a mantenere (e coltivare) gli intricati e fittissimi interessi economici in atto tra Italia e Turchia.

Le aziende italiane, con i loro partner turchi, svolgono un ruolo di primo piano nei mega-progetti e nelle grandi opere, un pilastro della cosiddetta “Erdoganomics”.

Il gruppo Astaldi fa la parte del leone con ben numerosi cantieri oltre a essere con 2.5 miliardi l’appaltatore principale del terzo ponte sul Bosforo, ha costruito l’autostrada Gebze-Izmir e diversi tratti della metropolitana di Istanbul compreso il ponte sopra la baia di Izmit.

Inoltre Astaldi si sta anche occupando della costruzione del ponte di Halic collegando Topĸapi a Galata  e costruendo il mega-ospedale di Etlik ad Ankara.

Impregilo sta costruendo la centrale idroelettrica di Çetin a Siirt e il campus della salute a Gaziantep e l’impianto di depurazione delle acque di Istanbul.

Italferr ha partecipato alla costruzione del tunnel dell’Eurasia. Il tutto grazie alla liquidità elargita da Unicredit che in Turchia ha investito moltissimo con l’acquisizione di Yapi Kredi Bank.

Ma il nucleo del business italiano in Turchia è meno visibile rispetto agli spettacolari megaprogetti e rientra in particolare nel vendita di armi e tecnologie di guerra con attori quali Finmeccanica-Leonardo ed il gruppo italo-francese Eurosem. L’export italiano si impone come secondo partner commerciale della Turchia, dietro solo alla Germania.

(articolo pubblicato originariamente sulla pagina Facebook del documentario Binxêt – Sotto il confine)