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Scudi e spray, shopping del Comune per i vigili

Intanto “il decoro colpisce ancora”, come dimostra un intervento della Municipale contro un senzatetto in via Zamboni. Continuano le critiche sui Daspo e Merola dice: “Ci sono quelli che non vogliono farsi aiutare, si chiamano Rom”.

25 Novembre 2017 - 19:13

Tempo di shopping, in Comune, per rinforzare (nel vero senso della parola) gli agenti della Polizia municipale: in arrivo giubbotti anti-taglio e perfino scudi (ma solo per i Tso, dice il comando), telecamere individuali e spray urticante. In parte, gli ordini di acquisto sono già partiti e i nuovi dispositivi dovrebbero entrare in scena a partire dal prossimo anno. Per quanto riguarda le microcamere, intanto arriveranno “alcuni pezzi in prova”, spiega il comando, per capire “se sono efficaci e che tipo di problemi possono portare” perchè “non è come dare semplicemente una telecamera a un operatore” e ci sono “regole da seguire, anche legate alla privacy e alla comunicazione con la Prefettura”. E lo spray? “Stiamo andando avanti e abbiamo già incontrato un paio di aziende”, riferisce il comando: “Abbiamo già un’idea precisa su quale specifico prodotto” acquistare, continua il comandante, ma prima bisognerà terminare le “verifiche”sia sulla sicurezza dello strumento che sulle “garanzie dal punto di vista delle responsabilità, in caso di suo utilizzo”. E ci vorrà comunque un certo tempo per “formare il personale”. In aggiunta a tutto questo, il Comune stanzierà altre risorse per aumentare ulteriormente le telecamere di videosorveglianza presenti in città.

Intanto, a proposito di Vigili, dopo i Daspo urbani contro un gruppo di senzatetto in viale Masini “il decoro ha colpito ancora”, come segnala Detjon Begaj, attivista di Làbas e consigliere al quartiere Santo Stefano per Coalizione civica. L’episodio risale a ieri sera: “I vigili fanno alzare un senzatetto (di almeno sessant’anni di eta) dal suo materassino per mandarlo via. Mi avvicino e comincio a discutere con il vigile. Gli chiedo se stanno applicando un altro daspo urbano. Mi risponde ‘no, ma anche se fosse?’. Si rivolge poi al malcapitato e gli dice ‘comunque c’è il dormitorio Beltrame dove puoi dormire stanotte’. Chissà se l’ha detto solamente perché sono andato io a rompergli scatole. In ogni caso non capiva nulla e non riusciva nemmeno a parlare. Faccio quindi notare ai vigili, come se non ne fossero consapevoli, che era del tutto evidente che in quelle condizioni non avrebbe mai raggiunto il dormitorio Beltrame (dove non puoi nemmeno accedere senza che lo dispongano i servizi sociali!). Ho chiesto ai vigili di aiutarlo. Mi hanno risposto ‘noi non possiamo. Aiutalo tu se ci tieni’. Ovviamente il poveretto si è portato via il materassino e dormirà in un altro luogo invisibile agli occhi del ‘decoro urbano’. Benvenuti a Bologna, una città che sta morendo”.

Le polemiche sul Daspo sono proseguite anche ieri ed è continuata la pioggia di critiche sul Comune, anche da parte di pezzi della stessa maggioranza del sindaco Virginio Merola. Il quale ha reagito col solito stile: “Dire che che c’è la repressione contro i poveri è una balla senza fine che fa parte di un estremismo impavido”. Eppure, lo stesso Merola intanto ammette: “E’ una soluzione il Daspo? Assolutamente no, andranno da altre parti. Ma intanto rispondiamo a quelli che sono mesi che non ne possono più di questa situazione, com’è normale che sia. Tutto qui. Ne vogliamo fare una battaglia ideologica?”. Il sindaco, poi, se l’è presa esplicitamente con i Rom: a Bologna “ci sono quelli che non vogliono farsi aiutare, com’è noto, che si chiamano Rom e che su questo mantengono una posizione. Io la rispetto, ma loro devono rispettare la nostra città”. Lo spettro di Sergio Gaetano Cofferati, insomma, continua serenamente ad aggirarsi nelle stanze di Palazzo D’Accursio.

Sempre sul Daspo, scrive ∫connessioni Precarie: “Alla fine del ‘700 Jeremy Bentham pianificava una rivoluzione che avrebbe dovuto eliminare il rischio di ogni rivoluzione. Per il «genio della stupidità borghese», come lo ha definito Marx, si trattava di internare gli indigenti nelle «case d’industria» per garantire la sicurezza della proprietà. Osservando tutti i giorni la miseria di mendicanti e straccioni, i lavoratori poveri avrebbero potuto vedervi il proprio destino sempre possibile e sospettare che quella miseria non fosse il risultato della colpa individuale di non lavorare abbastanza, ma dalla proprietà come istituzione. Lontano dagli occhi, lontano dalle tasche dei padroni e dalle casse dello Stato. Di Bentham, Minniti condivide senz’altro la stupidità borghese, ma certo non il genio. Il primo non avrebbe mai previsto una sanzione inesigibile come quella di 100 euro comminata ai dieci destinatari dei primi «Daspo urbani» bolognesi, allontanati dai portici di viale Masini dove trascorrevano la notte. È vero però che lo scopo del Comune di Bologna, che ha applicato la misura di «sicurezza urbana» con un impeto democratico spietato e stupidamente borghese, non è certamente l’incasso, né tanto meno favorire il transito pedonale in città. L’obiettivo è semmai di governare l’insicurezza cancellando i segni della possibile e temuta caduta in povertà di un numero crescente di uomini e donne. Decentrando il potere repressivo ai sindaci, la legge Minniti si rivela per quel che è: un risarcimento populista dei loro poveri bilanci. Mentre altri esponenti dello stesso Partito democratico esercitano la loro buona coscienza definendo queste misure come disumane, il Daspo bolognese segna l’entrata a regime di un democratico governo dell’insicurezza che non esprime il delirio di qualche sindaco della periferia leghista o fascista e non ha più nemmeno bisogno di appellarsi all’emergenza. I democratici rappresentanti ufficiali della paura si scagliano contro le esistenze di alcuni individui che sono per definizione una minoranza. Poiché l’internamento è plausibile solo per i migranti senza permesso di soggiorno e sarebbe d’altra parte troppo costoso ‒ come mostrano i «piani freddo» sempre improvvisati e insufficienti anche solo per soddisfare la logica emergenziale che li guida ‒ il Daspo offre alle amministrazioni locali la comoda soluzione dell’espulsione. Secondo il modello calcistico al quale si ispira, dopo il primo cartellino giallo chi abusa illecitamente dello spazio pubblico per dormire può vedersi consegnato in ogni momento il cartellino rosso di un foglio di via. A chi ancora pensa che i migranti siano una sorta di corpo estraneo della società, che nella migliore delle ipotesi va accolto benevolmente, l’efficiente Minniti mostra con chiarezza l’errore. Sulla loro pelle si è esercita apertamente un governo che punta a espellere chi non ha sufficiente capitale umano per gestire individualmente i rischi della propria esistenza ed è perciò condannato a essere inservibile. Non siamo perciò di fronte all’estetica di una città vetrina, dato che di notte le vetrine sono spente e i consumatori dormono. Visto che la povertà non è una condizione marginale e neppure eccezionale, è utile e necessario additare i poveri e i migranti come minaccia alla sicurezza, cioè come concorrenti sleali alle briciole del welfare. E, dal momento che non c’è più nemmeno un’industria in cui occuparli in maniera coatta, i poveri devono tornare da dove sono venuti. A ciascuno il suo povero è il motto del ministro Minniti. Il punto è soltanto capire quando precarie, migranti e operai si stancheranno di essere minacciati dalla povertà. E succederà. Si era sbagliato Bentham, figuriamoci se può avere ragione un Minniti qualsiasi”.