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Salgono a 3.600 le firme contro il polo della logistica ad Altedo

La posizione degli ambientalisti che si oppongono al progetto dopo l’ultima udienza conoscitiva in Città metropolitana: “Si continua imperterriti verso una percezione distorta del nuovo insediamento nella campagna bolognese, oltre che a procedere con le forzature di pianificazione e la rimozione del vincolo paesaggistico cedendo alle pressioni del mondo economico”.

06 Marzo 2021 - 12:06

Sono salite quasi a quota 3.650 le firme raccolte in calce alla petizione online promossa da diverse realtà ambientalise per opporsi al progetto la realizzazione di un nuovo hub della logistica ad Altedo. Tre di queste associazioni (Legambiente, Wwf e Primo Moroni – Nuova Casa del Popolo ‘La Casona’) intanto prendono posizione sull’andamento di un’udienza conoscitiva che si è recentemente svolta in Città metropolitana: “Si continua imperterriti verso una percezione distorta del nuovo insediamento nella campagna bolognese, oltre che a procedere con le forzature di pianificazione e la rimozione del vincolo paesaggistico cedendo alle pressioni del mondo economico”. Inoltre, secondo le associazioni, “è veramente sfacciata la posizione delle categorie agricole, disposte a perdere un pezzo importantissimo di campagna per avvantaggiare i propri interessi. Un punto di vista che ci auguriamo non sia sposato da tutto il mondo dei rappresentanti dell’agricoltura. È inverosimile argomentare sostenendo che quei terreni possano essere ‘spesi perché non più “produttivi e stanchi’, come sostenuto dalla Sis (Società Italiana Sementi). Quindi dopo avere sfruttato le campagne con pratiche di agricoltura intensiva e aver favorito l’insediamento di infestanti resistenti possiamo giustificare l’impermeabilizzazione del suolo?. Lo sconcerto arriva in particolare dai vertici di Coldiretti Bologna, che sminuisce il valore agricolo di queste aree in quanto presenti ‘tra il casello autostradale e le zone industriali’ e dove ‘la biodiversità è esaurita’. Quindi vale la pena industrializzare completamente l’area?”, scrivono le associazioni: “E’ estremamente difficile giustificare queste dichiarazioni da chi rappresenta il centro della ‘Food Valley’ dell’Emilia-Romagna”.

Le associazioni denunciano, inoltre, “una visione distorta dell’idea di sviluppo dell’area. Infatti, per quanto riguarda le prospettive di occupazione di suolo sul territorio la maggior parte dei nuovi insediamenti (rispetto gli obiettivi definiti dalla legge urbanistica regionale) saranno destinati alla logistica, dimenticando gravemente tutta la parte legata alla piccola e media impresa. Si parla infatti di 300/400 ettari ulteriori all’estensione dell’Interporto con l’insediamento di quattro Hub complessivi sul territorio, in corrispondenza di quattro caselli autostradali come elemento qualificante, in assenza di linee guida regionali sulla gestione della grande logistica, ma interessato dagli accordi territoriali. Pare surreale vincolare un pezzo così importante del territorio – che coprirebbe più del 50% di quel 3% di suolo agricolo consumabile al 2050 – al mondo della logistica, alimentando inoltre il traffico su gomma”, continuano le associazioni. “Durante l’udienza è stato detto chiaramente che il trasporto merci su gomma continuerà fino a quando il mezzo ferroviario non sarà economicamente competitivo, cioè mai se non si fanno investimenti in quella direzione. È possibile che dalla realizzazione dell’Interporto di Bentivoglio, la logistica e la politica tutta non sia stata in grado di mettere a punto soluzioni alternative, innovative e che vadano verso una reale sostenibilità del settore?­ Ad oggi i dati dicono che l’inquinamento da polveri sottili nel nostro Paese causa di circa 50.000 morti precoci all’anno, soprattutto nel territorio della Pianura Padana, e queste politiche di sviluppo aumenteranno in maniera esponenziale la tendenza. Da ciò emerge quanto sia fallimentare la politica di continuare a togliere risorse ai comuni: per fare opere pubbliche (piantumazioni, piste ciclabili, rotonde, ecc.) sono costretti a svendere parti di territorio ad investitori esterni che, non trovando più ‘convenienza’, abbandoneranno le terre cementificate lasciando tutti i problemi da risolvere agli enti pubblici. Non è stata pronunciata una parola sulla cementificazione del suolo, non una parola sull’inquinamento, non una parola in difesa della biodiversità e delle possibili conseguenze negative sull’ambiente. Parole d’ordine degli obiettivi dell’Agenda 2030 che costituisce il nucleo vitale dello sviluppo europeo”.

Infine, le associazioni denunciano “la mala informazione riscontrabile a livello di atti pubblici da parte dell’Unione dei Comuni delle Terre di Pianura, che continuano a definire i terreni interessati dalla nuova urbanizzazione come ‘incolti’, quando è evidente che così non è. Il terreno incolto non è abbandonato! In questo caso, addirittura si parla di campi appositamente seminati per ‘arricchire’ il terreno e mantenerne la fertilità. È necessario rendersi conto che quella campagna una volta consumata sarà insostituibile, a danno delle future generazioni, della biodiversità e della stessa agricoltura. Le scelte di oggi definiranno il tipo di sviluppo di domani, che l’Europa ci chiede di rivolgere alla lotta alla crisi climatica e alla conservazione della biodiversità”.