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Riders, firmata la carta dei diritti ma i colossi disertano

“Ora disincentivi e sanzioni”, rilancia Rub, ma esulta per “primo accordo in Europa”. Negli scorsi giorni, inoltre, scioperi nell’industria “contro gli omicidi sul lavoro” e all’aeroporto. Tamburi e fischietti dei lavoratori tornano a risuonare in Fiera.

01 Giugno 2018 - 10:30

La buona notizia è che a almeno un quarto dei 500 ciclofattorini al lavoro in città sono finalmente riconosciuti una serie di diritti fondamentali, tra cui copertura assicurativa, equo compenso, la possibilità di darsi indisponibili per brevi periodi senza ripercussioni. Sono quelli dell’azienda che controlla le piattaforme Sgnam e MyMenu, che ieri ha firmato in Comune la “Carta dei diritti dei lavoratori digitali nel contesto urbano”. E tutti gli altri? I colossi del settore (Deliveroo, Glovo, Foodora, JustEat) hanno mancato l’appuntamento, e continueranno dunque a lasciare i propri lavoratori nella totale assenza di tutele. Il sindaco Merola ha invitato a boicottare le aziende che non hanno voluto sottoscrivere il patto, criticate duramente anche da Riders Union Bologna (Rub): “Servono elementi disincentivanti e sanzionatori perché queste piattaforme non operino più a Bologna.  Questa carta è la soglia minima di decenza, chiediamo di non finanziare più quelle imprese che per i loro profitti sono disposti a calpestare i diritti dei lavoratori”.

Resta l’importanza del varo del “primo accordo in Europa” sul lavoro digitale, come sottolinea il collettivo in un comunicato diffuso in serata: “Se siamo qui tutt* a celebrare un risultato frutto di un lavoro collettivo assieme alle istituzioni, è grazie a chi di noi in questi mesi ha messo in gioco le proprie vite rischiando anche di perdere il lavoro. E’ solo grazie alle lotte dei lavoratori che possiamo essere in grado di svelare l’enorme fetta di sfruttamento che si nasconde dietro le vetrine dell’economia smart. La nostra vicenda, infatti, nasce ben prima delle app e delle piattaforme. Se oggi sono milioni in tutta europa a dover sopravvivere passando da lavoretto in lavoretto è perchè negli anni si è legittimata, culturalmente ancora prima che legalmente, l’idea che tutto sia legittimo pur di far soldi, incluso non pagare i propri lavoratori, mentre si è smantellato un welfare che non solo garantiva sopravvivenza a chi non aveva un lavoro, ma consentiva a chi lavorava di avere accesso a una vita degna. La nostra ribellione, dunque, non è mai stata solo nei confronti di aziende che fanno ricchezza senza restituire nulla, ma è soprattutto il rifiuto di un’idea di società assuefatta alla logica che sia inevitabile ridurre la vita delle persone a una merce”.

Prosegue Riders Union: “Una giornata importante non solo per i rider e per la città di Bologna, che ha dimostrato di saper ancora scegliere di stare dalla parte degli sfruttati, ma per tutti coloro che in questi anni sono stati costretti nella solitudine a dire di si a paghe da fame per lavori rischiosi. A cui è stata tolta la dignità del lavoro, che sono stati costretti a sopravvivere in un mondo sempre più disumano, subendo quotidianamente ingiustizie e soprusi. Non siamo solo noi ad avere a che fare con dei padroni-macchina, a essere messi sotto pressione da un sistema di valutazione, a dover lavorare senza un brandello di diritto, neanche quello a una paga sicura. Lo sfruttamento denunciato dai riders è soltanto la punta di un iceberg di uno sfruttamento prodotto da 35 anni di riforme fatte da governi di ogni colore. Il primo maggio abbiamo sfilato per le strade della città dietro uno slogan: non per noi ma per tutti. Vogliamo ribadirlo”

“Vogliamo mandare un messaggio forte e chiaro – si legge poi – a tutti coloro che non si sono rassegnati alle miserie del presente: si può fare, ci si può organizzare, si può lottare e si possono ottenere condizioni di lavoro migliori. Eppure, l’importanza di questa Carta non sta tanto nella sua volontà di restituire dignità a un lavoro che oggi non ce l’ha attraverso paghe e condizioni di lavoro decenti. La sua indicazione più preziosa sta nella costruzione di un presidio democratico laddove esso è stato sempre negato. In questi anni di neoliberismo e di austerity, infatti, non sono soltanto stati negati salari decenti, non sono soltanto stati legalizzati i comportamenti antisociali delle aziende fino a giungere alle piattaforme che non pagano salari, non pagano contributi e sottraggono risorse dalla redistribuzione fiscale, ma è stato negato persino il ‘diritto ai diritti’, per usare la celebre formula di Hannah Arendt. La più grande delle bugie di questi anni è che lavoratori e imprese sono allo stesso livello, che l’economia funziona meglio senza i sindacati e le organizzazioni autonome dei lavoratori. Senza diritti non si ha un’economia migliore, si ha semplicemente un’economia più ingiusta e una società più disuguale, i cui effetti e conseguenze sono oggi di fronte agli occhi di tutti. Ma non ci basta. Se oggi siamo qui a celebrare una battaglia vinta, domani saremo di nuovo in strada per vincere la nostra guerra: la guerra contro un modo di fare impresa dannoso per la società. Rub metterà in campo tutte le sue forze per fare in modo che a questa Carta, che per noi rappresenta soltanto una soglia minima di decenza da garantire a chi lavora nella città di Bologna. Devono seguire accordi aziendali in grado di migliorare concretamente le condizioni di lavoro dei e delle rider. La sua attuazione non è per noi un dato sufficiente, ma faremo in modo che tutte le piattaforme operanti sul territorio cittadino si impegnino a rispettare i principi di questa carta e quanto stabilito dall’art. 41 della costituzione secondo cui: ‘l’iniziativa privata non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana’.

In conclusione, “facciamo inoltre un appello alla città, che in questi mesi ha dimostrato solidarietà alla nostra battaglia, a non finanziare più quelle imprese che pur di far soldi sono disposte a calpestare i diritti delle persone che lavorano. Quella che chiediamo non è solo solidarietà, ma consapevolezza. La consapevolezza che non può mai dirsi libera e democratica una società in cui chi lavora non è libero di lottare per una vita degna”.

Negli scorsi giorni, intanto, altre vertenze hanno visto passaggi significativi. Ieri è andato in scena lo sciopero generale (ultime quattro ore per ogni turno) proclamato dall’Usb sul tema delle cosiddette morti bianche: “La catena, che sembra inarrestabile, di omicidi sul lavoro pretende una mobilitazione straordinaria sui temi della salute e della sicurezza. È una vera e propria guerra non dichiarata quella che attraversa i luoghi di lavoro. Una guerra scatenata da imprese e governi contro le lavoratrici e i lavoratori con il solo e unico obbiettivo di massimizzare i profitti. La precarietà, i bassi salari, la disoccupazione e l’aumento dello sfruttamento del lavoro umano sono le uniche cause dei morti. La cancellazione del sistema di diritti e tutele del lavoro ci ha consegnato un sistema violento che considera le persone variabili dipendenti dell’impresa e del mercato. Per tutte queste ragioni serve una campagna straordinaria per imporre al governo ed alle imprese un cambio radicale delle politiche che in questi anni hanno dato potere assoluto e impunibilità al padronato. Per queste ragioni serve un grande sciopero generale delle lavoratrici e dei lavoratori dell’industria”.

Usb ha inoltre proclamato, sempre nella giornata di ieri uno sciopero di ventiquattro ore dei lavoratori assunti negli appalti di pulizia che operano all’aeroporto Marconi dalle società Pulitori e Affini e Miorelli Service  – con i lavoratori in presidio – dopo quello proclamato lo scorso 11 maggio. Come racconta il sindacato di base “in mattinata si è svolto nei locali dell’Aeroporto un presidio di questi lavoratori che ancora una volta ha denunciato con forza il peggioramento delle condizioni di lavoro, in particolare la gestione arbitraria e discrezionale dei turni di lavoro, l’abolizione del buono pasto, l’utilizzo degli straordinari per ricattare i lavoratori part-time, retribuzioni sempre più basse a fronte dell’elevato carico di lavoro. Grave è l’atteggiamento delle due società di pulizia e della dirigenza di Aeroporto che di fronte alle numerose richieste di incontro avanzate per discutere e risolvere le problematiche presenti negli appalti, non hanno dato alcuna risposta e continuano a rimanere inerti di fronte all’attacco dei diritti e della dignità dei lavoratori. Le condizioni a cui sono sottoposti i lavoratori delle pulizie non sono l’eccezione all’interno di Aeroporto: questa mattina infatti, hanno scioperato anche i lavoratori del check in, del controllo bagagli e il personale di pista assunti dalla società GH che stanno portando avanti una battaglia contro il taglio dei salario del 30% determinato dalla disdetta unilaterale dell’accordo integrativo. Questo mostra qual è il modello di lavoro che si vuole imporre alle centinaia di lavoratori che sono assunti all’interno dell’Aeroporto Marconi, una società a partecipazione pubblica che, oltre al traffico di passeggeri, ha considerevolmente aumentato i suoi utili negli ultimi anni: un modello, frutto anche delle politiche di privatizzazione dei servizi pubblici, basato sullo sfruttamento e la ricattabilità della manodopera, sulla riduzione del costo del lavoro ed il conseguente taglio dei diritti e del salario, nell’interesse dei profitti delle aziende private. E’ per questo motivo che abbiamo richiesto l’apertura di un tavolo urgente alla Città Metropolitana di Bologna che oltre a essere socio di Aeroporto Marconi, insieme al Comune di Bologna, in qualità di istituzione politica del nostro territorio dovrebbe assumere la responsabilità di quanto sta accadendo, nell’interesse dei cittadini e dei lavoratori.”

Mercoledì, infine, i tamburi e i fischietti dei lavoratori della Fiera sono tornati a farsi sentire sotto le finestre dei dirigenti: il presidio rumoroso è andato in scena mentre negli uffici si svolgeva la presentazione del bilancio della società e del progetto di scorporo o spin-off dell’expo. L’idea (già benedetta dal sindaco Virginio Merola, che parla di “un’operazione molto lungimirante” che rafforzerà la società di via Michelino nella prospettiva sia di un “eventuale ingresso in Borsa” sia della possibile “alleanza con Milano”) è quella di creare una holding che controllerà al 100% due società gemelle (Bologna Fiere Real Estate e Bologna Fiere New): una per gestire il patrimonio immobiliare e le controllate a loro volta collegate ai muri del quartiere, l’altra che si occupa delle manifestazioni e alla quale fanno capo i marchi in portafoglio (a cominciare da Cosmoprof) e le partecipazioni nei poli espositivi di Ferrara e Modena. La seconda pagherà l’affitto alla prima, che così coprirà i costi del restyling e della manutenzione. Il consiglio di amministrazione ha approvato il progetto ma lo ha subordinato ad una verifica da parte degli azionisti pubblici. “Bologna Fiere gioca una partita che riguarda l’internazionalizzazione. A Bologna rimangono le mura, ma i marchi vanno in giro dove possono guadagnare, visto che non si fanno manifestazioni in perdita”, afferma l’Sgb. “Questo è il primo tassello di un processo, per cui magari Bologna Fiere non si chiamerà nemmeno piu’ cosi’ e porterà in giro i marchi, dove si generano profitti. Cosa rimane a Bologna, se qui si genera poco profitto?”, chiede il sindacato. “I lavoratori in un passaggio di società sono i primi soggetti messi davanti alla precarizzazione. Visto che non riusciamo a licenziarli, licenziamo la Fiera. Dopodichè Bologna rimane più povera, oggi abbiamo un ridimensionamento anche del sistema regionale a favore di Milano. Noi sollecitiamo la tutela dei lavoratori, ma anche una riflessione complessiva su quale valore dare ai soldi pubblici”.