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Residenze anziani, “serve commissione d’inchiesta”

La chiede la Rete regionale verità e giustizia per operatori e pazienti, che tornerà venerdì a manifestare sotto la Regione. Non una di meno sui contagi tra lavoratori Bartolini e al Cas: “Frutto dello stretto legame tra le catene dello sfruttamento e quelle del razzismo istituzionale e sociale”.

07 Luglio 2020 - 18:00

“In questi mesi abbiamo voluto portare alla luce quanto è accaduto all’interno delle CRA (case residenza per anziani, ndr) denunciando pubblicamente il muro di silenzio che è stato costruito nella nostra regione intorno ai decessi e ai contagi avvenuti nelle strutture socio-sanitarie. Gli eventi che si sono verificati in questi mesi di emergenza sanitaria hanno messo in evidenza il fallimento di un modello socio sanitario basato sul taglio delle risorse e sulla privatizzazione dei servizi a scapito della salute e della sicurezza di utenti e lavoratori”. Lo scrive Usb, che chiede l’istituzione di “una commissione di inchiesta che veda protagonisti i familiari e le parti sociali e che venga istituito un tavolo permanente per ridiscutere il sistema degli accreditamenti e mettere al centro il diritto alla salute universale e i diritti dei lavoratori”. Lo scrive in un comunicato diffuso da Usb la Rete regionale verità e giustizia per operatori e pazienti, costituitasi a maggio e che aveva manifestato sotto la Regione lo scorso 9 giugno: tornerà a farlo questo venerdì alle 15 contestualmente a un incontro ottenuto con l’assessore alla Sanità.

Intanto, Non una di meno interviene sul focolaio alla Bartolini e sui contagi al Cas Mattei: “Il direttore sanitario della città metropolitana Pandolfi, assicura che all’interno del centro di via Mattei ci sono spazi ‘che garantiscono un buon isolamento’. Evidentemente, si ostina a ignorare le molteplici denunce delle condizioni sanitarie e delle camere sovraffollate in cui i migranti sono costretti a vivere in attesa dei dinieghi che però non impediscono alle aziende di metterli a lavoro quotidianamente con contratti a chiamata. Una situazione pesante già prima dello scoppio della pandemia e che ora si mostra in tutta la sua violenza, mettendo a rischio la vita e la salute delle e dei migranti. Così come a Mondragone, nel casertano, il focolaio ha colpito braccianti, per lo più migranti, che vivono in edifici fatiscenti e sono costretti a lavorare a ogni condizione, mentre la regolarizzazione funzione come un’ipoteca sulla vita delle lavoratrici e dei lavoratori migranti”.

Prosegue il testo: “Da anni Nudm lotta con le e i migranti, perché sappiamo che la violenza razzista e patriarcale sono legate. Di fronte alla violenza acuita dalla pandemia e dalla crisi rifiutiamo la retorica razzista dei politicanti e media nazionali. Sappiamo, invece, che lo scoppio di questi focolai non è casuale, ma è frutto dello stretto legame tra le catene dello sfruttamento e quelle del razzismo istituzionale e sociale. Questi casi dimostrano come la linea dello sfruttamento continua a produrre la linea del contagio. I nuovi casi di Covid, infatti, esplodono tra chi ha svolto, durante e dopo il lockdown, i cosiddetti lavori essenziali senza alcuna pausa e con salari miseri. Moltissimi di questi lavori sono stati svolti da donne che hanno sanificato ambienti pubblici e privati, hanno lavorato alle casse dei supermercati e lungo le corsie degli ospedali, sono state chiamate eroi e angeli, ma alcune di loro non hanno più un tetto sulla testa adesso o aspettano un permesso di soggiorno che le ricatta ancora di più. Le lavoratrici, soprattutto se migranti, sono state le prime a perdere il lavoro per supplire a un welfare inesistente i cui sussidi statali sono ridicoli. Ma mentre si riparte, c’è chi non si è mai fermat*: anzi sono state quelle le braccia essenziali affinché la produzione continuasse anche a prezzo della propria salute”.

Si legge in conclusione: “Davanti a tutto questo non rimaniamo in silenzio! Continueremo a lottare perché rifiutiamo la nuova normalità che si sta delineando, dove la divisione sessuale rimane intatta e il lavoro riproduttivo, anche quando diviene centrale, non è ancora riconosciuto e pagato. Per questo vogliamo, ora più che mai, salari più alti e tutele, un reddito di autodeterminazione slegato da lavoro e famiglia e un permesso di soggiorno incondizionato e immediato. Per questo lo sciopero femminista è ancora il nostro terreno di lotta.  Perché se ci fermiamo noi si ferma il mondo!”.