Storia e memoria

Quindici anni fa quattro poliziotti uccisero Federico Aldrovandi

Aveva diciotto anni, era stato a ballare a Bologna. Gli agenti furono condannati sette anni dopo in via definitiva, ma tornarono presto in servizio. Zeroincondotta ha raccolto in uno Speciale gli articoli tramite i quali, per 12 anni, ha seguito la vicenda nei suoi aspetti giudiziari e non solo.

25 Settembre 2020 - 15:47

Ferrara, via dell’Ippodromo. All’alba del 25 settembre 2005 muore a seguito di un controllo di polizia Federico Aldrovandi, 18 anni. Era stato a ballare a Bologna, gli amici lo avevano riaccompagnato ma aveva preferito fare l’ultimo pezzo di strada a piedi.

Dopo due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori dell’ordine, parte nel 2007, proprio mentre questo giornale online iniziava le pubblicazioni, il processo a quattro agenti. Probabilmente non sarebbe mai successo senza la lettera pubblicata su un blog dalla madre Patrizia Moretti e la cassa di risonanza di media indipendenti come Radio Onda d’Urto e Indymedia.

A novembre 2008 il “colpo di scena”, una foto agli atti del processo  mostra inequivocabilmente come la causa di morte sia un ematoma cardiaco provocato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi. Il 6 luglio 2009 gli agenti vengono condannati a 3 anni e mezzo per eccesso colposo in omicidio colposo. Per il giudice è stato “ucciso senza una ragione”. In quei giorni esce “La zona del silenzio”, la graphic novel (da cui è tratta l’immagine in questa pagina) con cui Checchino Antonini e Alessio Spataro racconta per immagini la storia fino a quel punto. Seguirà, il 2 settembre 2010, il documentario “È stato morto un ragazzo” di Filippo Vendemmiati, oggi disponibile gratuitamente su OpenDdb.

Il 9 ottobre 2010 il Viminale risarcisce alla famiglia due milioni di euro, una cifra che nel 2015 la Corte dei conti disporrà che venga pagata per il 30% dai poliziotti, salvo poi ridurre alcuni mesi dopo drasticamente gli importi a poche decine di migliaia di euro. L’10 giugno 2011 si chiude il processo d’appello con la conferma delle condanne. Durissima la requisitoria della pg: “In quattro contro un’inerme, una situazione abnorme”. Gli agenti fanno ricorso in Cassazione che il 21 giugno 2012 rigetta, le condanne sono definitive (ma c’è l’indulto). Il procuratore generale parla di “Schegge impazzite in preda al delirio”.

Nel 2014 i quattro poliziotti tornano in servizio: il 15 febbraio manifestano in cinquemila: “Via la divisa”. Ad aprile al congresso del Sindacato Autonomo di Polizia standing ovation per gli agenti condannati. A giugno 2014 una condanna definitiva nel secondo filone processuale, quello per i depistaggi delle prime indagini: otto mesi per il poliziotto che nascose i registri del 113, prescrizione invece per il collega che chiuse le registrazione. Dal 2007 al 2019 Zeroincondotta segue da vicino la vicenda, nei suoi aspetti giudiziari ma anche in quelli umani: questo speciale raccoglie tutti gli articoli raccolti nel corso degli anni.