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Quelli che… buttiamo via la chiave / Parte I

Approfondimento realizzato da Zeroincondotta dopo le rivolte che in piena emergenza coronavirus sono scoppiate nelle carceri di tutta Italia, compresa la Dozza di Bologna. In questa prima parte: l’introduzione allo speciale e il capitolo dedicato al legame tra l’emergenza sanitaria e l’esplosione delle proteste.

23 Marzo 2020 - 13:32

La diffusione drammatica del coronavirus ha investito anche le carceri italiane, sono esplose rivolte sono morti 13 detenuti. L’emergenza sanitaria sortisce l’effetto di rafforzare lo stato d’eccezione, a spese dei più deboli, repressione e contenimento sono ancora la ricetta. L’urgenza di una campagna per l’amnistia, l’indulto e per misure alternative alla detenzione.

Quella che segue è la prima parte dello speciale realizzato da Zeroincondotta.

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Quelli che…

La prima domanda che ci si dovrebbe porre per comprendere i perché delle rivolte di marzo avvenute nelle carceri italiane è se tutto questo sarebbe avvenuto senza la pandemia del coronavirus?

C’era una vecchia canzone di Enzo Jannacci che si intitolava “Quelli che…”, veniva utilizzata in tante occasioni e per diversi contesti. A un certo punto, nella traccia del disco del grande Enzo, si sentiva “Quelli che… sono giovani e stanno in galera e non sanno perché… oh yeh… Quelli che… stanno fuori e lo sanno benissimo… oh yeh”. Noi abbiamo voluto usare lo schema dello scomparso cantautore milanese, riteniamo sia efficace anche per capire le cause della rivolta generalizzata avvenuta dietro alle sbarre qualche giorno prima delle idi di marzo.

Quelli che… facciamoli marcire in carcere e buttiamo via la chiave, come dicono Salvini e la Meloni… oh yeh…

Quelli che… si sentono manettari e “Travaglio è il nostro idolo”, soprattutto quando afferma “Non c’è nulla di scandaloso se un presunto innocente è in carcere”… oh yeh…

Quelli che… finita la stagione di Di Pietro, è iniziata quella dei Cinque Stelle e si è tornati al forcaiolismo a tutto campo… oh yeh…

Quelli che… un tempo erano “Fofò”, dj abbastanza scarso, e oggi fanno il Bonafede, ministro della Giustizia… perché “lo Stato non indietreggia neppure di un centimetro di fronte all’illegalità” che si combatte con questa ricetta: più arresti, pene più alte, abolizione della prescrizione e annullamento sostanziale della presunzione di innocenza… oh yeh…

Quelli che… come i Dem, escludono qualsiasi cedimento e dichiarano una chiusura netta a discorsi su indulti o amnistie, “perché nessuno vuole liberare nessuno, tantomeno i rivoltosi”… oh yeh…

Quelli che… negli ultimi vent’anni hanno assistito a una progressiva flessione del numero e della gravità dei reati, e contemporaneamente hanno lavorato per aumentare il numero delle persone arrestate, perché la percezione della paura persiste nella società… oh yeh…

Quelli che… hanno prodotto leggi dove l’uso del carcere è indicato come strumento di governo sociale, sfornando provvedimenti per ridurre i benefici, i premi, le scarcerazioni anticipate, producendo un allungamento delle pene per i detenuti condannati in via definitiva, dando mano libera ai Pm e alla loro logica inquisitoria… oh yeh…

Quelli che sbavano per Piercamillo Davigo (ex Pm, ex capo dell’Anm, attualmente consigliere del Csm), per il quale il sovraffollamento nelle prigioni non esiste, ed è troppo benevola la norma che prevede che ogni detenuto abbia diritto a tre metri quadrati di spazio… oh yeh…

Quelli che… ha ragione l’autorevolissimo ex magistrato di “Mani pulite” quando dice che ne basterebbero due, o forse uno e mezzo o forse solo lo spazio per la branda… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se, nel 1991 i detenuti erano erano 31.000, nel 1998 erano 48.000, nel 2015 erano 52.000, nel 2017 erano 55.000 e, alla fine di febbraio del 2020, sono 61.230… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se a maggio del 2019 il tasso di affollamento delle carceri in Europa era del 93% mentre nel nostro Paese, a fine febbraio 2020, era di oltre il 120%… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se nel 2013 l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per trattamenti inumani e degradanti legati al sovraffollamento carcerario… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se il numero dei detenuti in custodia cautelare si aggira sulle 20.000  unità, cioè il 33/34% del totale… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se di questi circa il 40% risulta innocente, il che significa che, oggi, nelle prigioni italiane ci sono quasi 10.000 persone che vedranno la loro innocenza riconosciuta dopo aver trascorso in cella un periodo più o meno lungo della propria vita… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se l’Italia è uno dei paesi europei con la più alta percentuale di detenuti tossicodipendenti (oltre il 35%), a causa di una legislazione sulle droghe tra le più repressive e che rappresenta una delle principali cause di ingresso e permanenza in carcere… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se su 61.000 detenuti più di 4.000 hanno tra i 60 e i 69 anni e quasi un migliaio hanno oltre 70 anni… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se molti di questi detenuti anziani sono malati con patologie gravi e lo strumento della sospensione della pena per “condizioni di salute incompatibili col regime di detenzione” non viene quasi mai applicato… oh yeh…

Quelli che… chi se ne frega se i carcerati sono costretti a passare la maggior parte del tempo della loro detenzione senza fare nulla, se non compilare per ogni cosa la fatidica “domandina”… oh yeh… Quelli che… per dare una risposta all’istanza inoltrata dal detenuto scritta su quel pezzo di carta ci possono mettere giorni, settimane e a volte pure mesi… oh yeh…

Tutto passa da quel pezzo di carta… per venire autorizzati allo svolgimento di un’attività o per rappresentare qualcosa al direttore, al magistrato, oppure al dottore, all’educatore, all’assistente sociale, all’ispettore di reparto, o ancora quando si vogliono acquistare prodotti nella lista del sopravvitto, o si vuole telefonare, o rivolgersi alla matricola, o vedere un volontario, o parlare con un prete, o recuperare un oggetto al casellario.

Tutto passa da quella dannata “domandina” che spesso viene pure smarrita, così come la vita di quelli che un tempo venivano chiamati i “dannati della terra”.

 

I nodi che vengono al pettine

Basta conoscere in maniera elementare la realtà delle carceri italiane per rendersi conto come siano luoghi di vera e propria sofferenza fisica e psichica e per avere la consapevolezza che le tremende condizioni di detenzione che si vivono quotidianamente avrebbero portato, prima o poi, a un’esplosione di rabbia.

Negli spazi ristretti e insalubri dove sono rinchiusi i detenuti, in eccesso rispetto ai parametri minimi di vivibilità, dove la tossicodipendenza è presente ad alti livelli, hanno potuto mettere radici patologie gravi come l’Aids, la Tbc e l’epatite.

L’emergenza del coronavirus si è sommata alle vecchie e incancrenite emergenze radicate nelle carceri da decenni e ha aggravato la già drammatica situazione.

La paura per casi di contagio (quella che abbiamo tutti) ha diffuso uno stato di agitazione e di pericolo, la consapevolezza che le misure di protezione nei reparti di custodia non si potevano attuare ha creato panico di fronte alle prime febbri influenzali. L’annullamento dei colloqui con i propri cari è stata un’altra botta, la sospensione dei permessi che molti attendevano da tempo ha fatto il resto. E prima ancora erano stati chiusi tutti i progetti culturali e di socialità gestiti dai volontari che entravano negli istituti ed erano stati annullati i colloqui con gli avvocati (salvo casi di eccezionalità).

Erano misure che da fuori, razionalmente, possono sembrare motivate, ma questi provvedimenti sono stati comunicati, nella maggior parte dei casi, con delle semplici notifiche.

Un detenuto che si trova in una galera sovraffollata e si sente dire per radio o per televisione che a causa del coronavirus bisogna tenere una distanza di sicurezza di almeno un metro o che sono vietati gli affollamenti e lui tutto il giorno è costretto a stare attaccato a una totalità di persone spesso debilitate da un passato di tossicodipendenza e da altre gravi patologie e, quando alcune di queste hanno la febbre o si ammalano, è normale che possa andare in paranoia. Se a te che hai già una vita povera di relazioni ti comunicano che sono sospese le visite parenti, ma in cambio aumenteranno le autorizzazioni a telefonare, anche via Skype, o si potrà usufruire più spesso del servizio mail, e poi ti accorgi che “per motivi tecnici” queste cose non si riescono a fare, è normale che ti senti preso in giro.

Quando ti dicono che questi provvedimenti più restrittivi vengono attuati per il tuo bene, per tenere il più possibile fuori dagli istituti le cause di contagio e, ogni giorno vedi gli operatori e gli agenti entrare e uscire senza avere in dotazione nemmeno le mascherine, è chiaro che aumenta la confusione e la paura che, in tempi di coronavirus, ti vogliono escludere ancora di più dal resto del mondo. E, in questo contesto, diventa un’ossessione quello che potrebbe succedere nel caso in cui ci fossero casi d’infezione dentro, pensi a quanti ci potrebbero lasciare le penne e alla velocità con cui il virus si potrebbe espandere. Dover riempire le giornate con il nulla e l’angoscia… C’è da andare sul serio fuori di testa.

E così parte la protesta a Modena e, a macchia d’olio, si espande in decine di carceri in Italia. In poco tempo diventa rivolta, come da decenni non si vedeva. Dopo tanti anni di calma apparente nelle prigioni è tornata a divampare la rabbia.

Al contrario di quelli che parlano di un piano messo in ordine dalla criminalità organizzata, perché si ostinano a non voler afferrare le ragioni di chi si è ribellato, quello che è avvenuto negli istituti di pena è stata una rivolta spontanea, caotica, indefinita. Sopra i tetti o alle finestre sono stati appesi dei lenzuoli che inneggiavano all’indulto e alla libertà, ma non si è esplicitato un movimento compatto, tantomeno guidato da una supposta strategia o con dietro dei “burattinai” a muovere i fili.

Inoltre, la tesi di comodo del “piano preordinato” fa a pugni con la stessa “narrazione ufficiale” che, oltre a essere scarsa, si è incentrata esclusivamente sul fatto che una delle prime cose fatte dai detenuti rivoltosi è stata quella di dare l’assalto ai locali delle infermerie, per impossessarsi di metadone e psicofarmaci. Una parte di loro li avrebbe “divorati” in modo eccessivo e spropositato finendo in overdose, principale causa di morte dei carcerati che in quelle giornate hanno perso la vita. E questa “crisi di astinenza” generalizzata che avrebbe portato tanti a precipitarsi per arraffare medicinali e analgesici sconfessa inequivocabilmente l’idea complottista che dietro le rivolte ci sia stata una regia a livello nazionale. Anche perché, se fosse così, dopo le proteste scoppiate di recente nei penitenziari francesi o nelle prigioni brasiliane, per il blocco dei colloqui e delle visite causa coronavirus, si dovrebbe prefigurare una regia internazionale.

Le notizie frammentate e spesso contraddittorie che sono state fatte filtrare non hanno aiutato a ricostruire la complessità della situazione e, in tempi di continuativo allarme sociale e di confusione da panico epidemico, le notizie arrivate sulle rivolte, anziché essere viste come avvisaglie di qualcosa che riguarda tutti, sono state scambiate per un’altra forma pericolosa di epidemia, che rischia di sommarsi a quella già scoppiata nel Paese.

(continua)