Acabnews Bologna

Quarant’anni fa la strage di Ustica: “Basta depistaggi, le istituzioni facciano di più”

“La verità deve essere completata con l’individuazione degli autori materiali”, chiedono i parenti delle vittime. Fico, in città per la commemorazione, promette “importanti verità” a breve. Intanto i familiari delle vittime dell’attentato del 2 agosto denunciano “speculazioni e sciacallaggi” finalizzati a diffondere presunte piste alternative alla matrice neofascista.

27 Giugno 2020 - 16:29

Oggi cade il 40esimo anniversario della strage di Ustica: il 29 giugno del 1980 il Dc9 della compagnia Itavia in volo da Bologna a Palermo precipitò in mare insieme a 81 persone tra passeggeri ed equipaggio. “Respingendo le vergognose campagne di falsità e depistaggi messe in atto dai nostalgici della bomba a bordo, ribadiamo che la verità è quella che ci ha consegnato il giudice Priore e poniamoci come irrinunciabile obiettivo, per la dignità stessa di questo Paese, di avere la totale spiegazione di quanto è avvenuto”. Perchè “c’era la guerra quella notte nei nostri cieli. Il Dc9 è stato abbattuto. Questa è la verità. Una verità che deve essere completata con l’individuazione degli autori materiali della strage: chi nel cielo quella sera ha compiuto l’azione mortale”. Queste le parole della presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime, Daria Bonfietti, durante la commemorazione che si è svolta oggi in Comune. Ha partecipato il presidente della Camera, Roberto Fico, che ha dichiarato: a breve su Ustica “ci saranno novità importanti”, perchè anche il Senato e il Governo “faranno passi avanti” sulla desecretazione degli atti.

“Questa vicenda potrà finire anche con la verità sull’ultimo pezzo, cioè chi è stato ad abbattere il Dc9, solo se le istituzioni faranno la loro parte imponendo al Governo del nostro Paese una richiesta forte e vera per farsi rispondere” dagli altri Stati coinvolti, ha detto inoltre Bonfietti in questi giorni. In più, c’è il punto “importantissimo” della direttiva Renzi sulla desecretazione degli atti: la sua applicazione “è un po’ scarsa, nel senso che specialmente l’ultimo Governo non ha rinominato il sottosegretario che dovrebbe seguire questa desecretazione continua”. Questo mentre “molto spesso si trovano versioni e considerazioni davvero offensive per l’intelligenza e la dignità della nostra battaglia”, lamenta Bonfietti. Eppure “sappiamo per certo quello che successe quella notte, perche’ ce lo consegna la sentenza-ordinanza del giudice Priore, ma sappiamo anche molto di più: quella notte si vedeva, coloro che potevano vedevano quello che stava succedendo e quindi il giorno dopo o i giorni successivi questa verità poteva essere consegnata ai parenti e agli italiani tutti. Questa è la grande menzogna, vergognosa, che è potuta accadere nel nostro Paese”. L’Italia dovrebbe attivarsi di più “a livello politico e diplomatico per farci raccontare dai francesi, che ci hanno sempre raccontato menzogne, e dagli americani cosa ci facevano quella notte nei nostri cieli”, è l’appello dei familiari, che chiedono alle istituzioni “un impegno maggiore, anche a livello internazionale, per la ricerca della piena verità”.

Una delle ultime novità riguarda la frase “Guarda, cos’è?”, cioè le ultime parole di uno dei piloti del Dc9, rese pubbliche da un’inchiesta di RaiNews24 dopo la ripulitura delle registrazioni di bordo, da cui finora era emerso solo “Gua…”. Le parole recuperate confermano che il Dc è stato abbattuto, per l’Associazione dei parenti, “perche’ per la magistratura gia’ quel ‘Gua…’ voleva dire che c’era qualcosa che uno dei due piloti stava vedendo, non un’altra giustificazione o spiegazione”. Insomma le nuove sillabe aggiungono “solo la conclusione di quella meraviglia, era evidente che chi dice questa frase vuole dire quello che dicono tutti, giudici compresi, cioè che la persona stava vedendo transitare qualcosa attraverso lo spazio molto limitato che possono avere i piloti dai finestrini”.

Tra poche settimane, poi, ricorrerà il 40esimo anniversario anche di un’altra strage che ha insanguinato la storia di Bologna: quella alla stazione del 2 agosto 1980. “Hanno paura: hanno paura del processo sui mandanti che sarà la pietra tombale su una serie di piste alternative e allora si aggrappano a questi mezzucci per confondere l’opionione pubblica”, ha dichiarato qualche giorno fa l’Associazione dei familiari delle vittime: il riferimento è ad alcuni volantini diffusi in città, con tanto di foto dei resti di pelle rimasti dopo lo scoppio della bomba alla stazione di Bologna, per rilanciare la tesi di una 86esima vittima e dunque di una verità diversa rispetto alla matrice neofascista riconosciuta in via definitiva dai processi. Secondo gli autori dei volantini, il lembo di pelle apparterrebbe a una presunta attentratice che aveva con sè l’ordigno, il quale sarebbe esploso accidentalmente uccidendola. Si tratta del lembo facciale riesumato nella bara di Maria Fresu che con la figlia Angela morì il 2 agosto 1980 a Bologna. Lembo facciale che non appartiene a Fresu, come ha stabilito un test del dna, ma del quale non è nemmeno stata dimostrata l’appartenenza a un’ipotetica 86esima vittima. I volantini rappresentano quindi “una volgare speculazione, uno sciacallaggio”, reagiscono i familiari delle vittime.