Acabnews Bologna

“Quando i carnefici recitano il ruolo delle vittime”

Ieri, durante la manifestazione degli studenti medi, le lamentele davanti alle telecamere di un poliziotto. Il Tpo diffonde una lettera di Martina, la ragazza ferita da un agente (ora sotto processo) davanti alla Banca d’Italia.

16 Febbraio 2013 - 14:55

Quando i carnefici recitano il ruolo delle vittime

Riflessioni sul video-sfogo di un responsabile del settimo

Apro Repubblica e ascolto lo sfogo di un poliziotto a capo del reparto antisommossa di Bologna, stanco perché “manifestare è giusto ma ci vogliono rispetto ed educazione”.

Pensando ai reparti mobili, in particolare al VII di Bologna , non riesco a capacitarmi dell´ingenuità e della sfrontatezza di questo video, che quasi mi viene da sorridere.

Non so, onestamente, se la mia reazione dipenda dall’incontro ravvicinato avuto con il reparto in questione o dall’urticaria verso la retorica giornalistica dei celerini-brave-persone-sottopagate, che contrasta con le immagini delle facce piene di sangue di compagni e amici in giro per l´Italia, oltre che con i denti lasciati in piazza Cavour.

Prima di mettersi nei panni di un capo squadra, prima che il Questore si complimenti con i suoi ragazzi perché sono stati in grado di mantenere la calma – almeno per questa volta sono riusciti a non sfracassare teste, prima di far balzare alle cronache il competente lavoratore dello stato vessato dai lanci di uova, forse sarebbe necessaria un´operazione di verità: proviamo a contestualizzare ed inserire in un quadro più ampio i soggetti dei quali stiamo parlando?

Parliamo di un reparto che da tempo si contraddistingue per atti violenti e ingiustificati: talvolta sono stati condannati (penso ai quattro agenti che a Piazza Manin arrestarono illegalmente due ragazzi spagnoli); più spesso le azioni criminali compiute contro persone indifese non trovano giustizia nelle aule dei tribunali ( tristemente eclatante il caso del tifoso bresciano Paolo Scaroni).

Sono le cronache a rivelarci come funziona la polizia italiana quando si tratta di difendere e fare quadrato per la protezione di qualche agente o magari dirigente: subito ci si mobilita innalzando muri di silenzio, corrompendo le prove, trasferendo i poliziotti, ostacolando le indagini. E se poi, in ultima battuta, si scampasse alle maglie della legge, potrebbe anche scattare una bella promozione che faccia risplendere una carriera encomiabile.

Ed ecco che fa notizia il video di un poliziotto che si presenta senza casco davanti ai colleghi ancora bardati con manganelli alla mano, riconoscibile per una volta, a dichiarare quanto sia difficile il proprio lavoro: quello di chi si posiziona davanti a banche o stazioni, occupa i territori, chiude l´accesso ai palazzi del potere; quello di chi si trova davanti cortei di studenti o precari, di uomini e donne stanchi di abbassare la testa e restare in silenzio, magari protetti da caschi e scudi di gomma, che manifestano senza educazione, dimenticando incresciosamente di chiedere il permesso davanti alle manganellate e ai gas lacrimogeni.

Soprattutto sembra che sia una dote extra-ordinaria e da lodare quella di chi, ogni tanto, riesce a tenere sotto controllo i propri uomini durante operazioni di piazza: siamo passati a far divenire eccezionalità ciò che dovrebbe costituire la norma. Forse dovremmo interrogarci anche su questo: abbiamo assistito a così tante eccezioni negative in piazza da far sembrare un poliziotto che non carica un corteo e riesce a mantenere “i nervi saldi” come uno scoop da prima pagina? E ancora, chi entra a far parte di corpi di polizia dello stato, con particolare riferimento ai reparti mobili, è preparato a gestire situazioni di tensione senza lasciarsi andare ad aggressioni? Sembra quasi apparecchiarsi dinanzi a noi la giustificazione ai prossimi denti rotti: “E’ vero un agente ha colpito violentemente una ragazza in faccia, però non ne potevamo più, dopo tutte quelle uova”.

Un responsabile, piuttosto che sfogarsi davanti alle telecamere per un lancio di uova assegnandosi per una giorno il ruolo della vittima, dovrebbe occuparsi di debellare all’interno del proprio reparto il cameratismo omertoso dei sottoposti. Oppure preferisce diventarne complice, nascondendo e dimenticando tutte le violenze commesse?

Questo video si inserisce ad hoc all’interno di un problema bolognese che continua a passare sotto silenzio: abbiamo in città un reparto mobile pericoloso, che riesce quasi sempre ad uscire indenne da inchieste e processi, che si nasconde e si beffa dei reati che compie, pervicacemente convinto di restare impunito.

Tutto questo non lo dice un´attivista in passato ferita, ma emerge da dichiarazioni e fatti: perché se indagare un reparto al cui interno qualcuno ha provocato lesioni gravissime è ritenuta un´intimidazione nei confronti della Questura; se cercare di far uscire il nome dell’agente in questione è un esercizio vano perché non ci sono abbastanza foto; se è acclarato che è stato un poliziotto, ma sarebbe meglio arrendersi per non sparare nel mucchio; se tutto questo è vero ed è stato detto, a Bologna si dovrebbe quanto meno aprire un dibattito.

Un dibattito sui numeri identificativi o su qualunque altro strumento di riconoscimento mi sembra un passaggio indispensabile non solo per le persone che scendono in piazza a manifestare, ma per tutti i cittadini troppo spesso vittime di abusi di polizia. Può presentarsi come atto necessario verso quelle persone che non avranno mai giustizia a causa di una foto troppo sgranata o un video manomesso. Può essere un grimaldello utile per spazzare via la spaventosa convinzione dell´impunità e della resa coatta di fronte ad alcuni apparati statali.

E forse anche i giornalisti intellettualmente onesti di questa città potrebbero metterci la faccia.

Martina Fabbri