Attualità

”Peripherique”, storie di resistenza
dai margini delle città [video]

Pubblichiamo due interviste raccolte al Laboratorio Crash! durante la tre giorni di incontri sulle periferie: al “Comité Justice pour Adama” dalle banlieu di Parigi e ad alcuni ricercatori delle università di Rio de Janeiro.

23 Novembre 2018 - 10:58

Si è tenuta lo scorso fine settimana al Laboratorio Crash di Bologna una serie di incontri dal titolo “Peripherique”, momento di confronto e dibattito attraversato da attivisti e abitanti del quartiere Corticella, a partire dalle periferie e dalle forme di conflittualità che in quei luoghi si innescano, prendendo in esame da un lato le forme di sfruttamento e di controllo che i poteri istituzionali instaurano con esse, dall’altro le forme di resistenza che proprio dalle periferie nascono e si sviluppano. In particolare abbiamo intervistato alcuni attivisti provenienti da Francia e Brasile che hanno preso parte all’incontro “Parigi, Rio de Janeiro, Napoli. Periferie, lotte popolari e violenze poliziesche”.

La prima persona ad aver raccontato la sua esperienza è Sonia, del Comité Justice pour Adama, educatrice specializzata, che a partire dal 2016 ha dato vita insieme ad altri a un progetto nella banlieu nord di Parigi con i giovani che vivono in condizioni difficili e di marginalità: “Una notte del luglio 2016 è arrivata la notizia della morte di Adama Traoré, ucciso dalla polizia francese dopo che lo aveva fermato. Il giorno dopo la morte di Adama, si è formato il comitato, composto inizialmente dai familiari e amici di Adama, anche grazie all’incontro col Mib (Movimento migrazione banlieu), già attivo sui temi delle violenze della polizia verso i giovani delle periferie. Il comitato ha assunto fin da subito una connotazione politica forte, grazie al contributo di altri militanti e attivisti che già operavano nelle banlieu parigine. Il ruolo molto importante nel comitato è giocato da ragazzi neri e arabi, che subiscono quotidianamente i controlli e le violenze della polizia, che li ferma continuamente. Prima della nascita del comitato quando un ragazzo moriva a causa dell’intervento della polizia, c’era un ristretto numero di militanti che si attivava. In questo caso invece si è riuscito ad allargare a tutti i fratelli neri e arabi, a partire dal primo impegno delle famiglia”.

All’intervento di Sonia è seguito quello di Youcef, attivista anch’egli da tempo impegnato  nelle periferie parigine: “Il caso di Adama è uno fra i numerosi di quelli che quotidianamente colpiscono le minoranze nere e arabe, che sono sempre oggetto delle violenze della polizia. C’è una gestione coloniale dei quartieri periferici di Parigi, e una di queste modalità coloniali di gestione dei quartieri popolari e periferici sta proprio nell’uccisione di un certo numero di giovani. Tutto è costruito per controllare il più possibile questi quartieri, in cui lo Stato è assente dal punto di vista dei servizi, ma è molto visibile attraverso la presenza della polizia. La politica istituzionale parla di territori da riconquistare, quando parlano delle banlieu. Fortissima è la criminalizzazione dell’islam: quando c’è una mobilitazione delle persone che vivono questi quartieri si utilizza la loro cultura per criminalizzarli e diabolizzarli. Tutti i cliché coloniali vengono mobilitati per mettere fuori gioco chi si impegna da nero o arabo in questi quartieri, per impedire loro di mettere in questione l’ordine sociale della repubblica francese, e in ultima analisi per impedire loro di essere cittadini come gli altri, e per impedire alla spinte insurrezionali dei quartieri di esplodere. La finalità politica della violenza poliziesca è il controllo di questi territori. Nessun attore istituzionale vuole farsi carico della questione razziale in Francia. I partiti politici hanno coi quartieri popolari un rapporto esclusivamente elettorale: al momento delle elezioni si pongono il solo problema di raccogliere voti, niente altro. Da due anni il comitato per Adama svolge un lavoro di alleanze coi movimenti di sinistra, sostenendo mobilitazioni studentesche e sindacali e aspettandoci il sostegno degli altri soggetti sui temi antirazzisti. La nostra prospettiva è internazionalista e radicale, per cambiare questo sistema capitalista e razzista”.

> Il video dell’intervista agli attivisti del Comité Justice pour Adama (l’articolo prosegue sotto):

Al racconto degli attivisti francesi è seguito quello dei brasiliani Ana Paula e Humberto rispettivamente professoressa alla Università Cattolica di Rio de Janeiro e ricercatore presso l’Università Federale di Rio de Janeiro. I due hanno raccontato la situazione brasiliana in questa difficile fase politica e sociale che ha portato all’elezione del candidato di estrema destra Jair Bolsonaro a presidente del paese: “Dopo l’elezione del candidato di estrema destra Bolsonaro, la prospettiva sembra la peggiore possibile. Da un lato fatichiamo a spiegarci cosa sia successo. Fino a settembre nessuno si aspettava che Bolsonaro avrebbe vinto. In particolare nei confronti delle Università c’è una minaccia verso il potenziale critico che al loro interno si esprime: è stato detto espressamente dal nuovo governo cosa ritengono debba essere discusso e cosa no. Si prepara una forma di persecuzione verso quello che per il nuovo governo è ritenuto un avanzo di marxismo. A ciò si affianca la crescita di un’opinione diffusa che rivendica un “anti-intellettualismo” come nuovo orizzonte del sapere: è ammesso solo un approccio scientifico e non critico ai campi del sapere, sempre che si possa definire scientifico. La polizia è già stata mandata a interrompere dibattiti sul fascismo che si tenevano all’interno di alcune Università del sud del Brasile. Al tempo stesso nelle scuole superiori è già stata approvata (prima del nuovo governo) la riforma che mette ai margini l’insegnamento delle materie umanistiche, inoltre si è sviluppato un movimento di destra che prende il nome di “Escola sem partido”, che prende di mira gli insegnanti che provano a discutere con gli studenti di politica e di educazione sessuale. Inoltre vogliono introdurre delle forme di ‘voucher’, attraverso i quali lo Stato darà una quota in denaro alle famiglie per l’iscrizione dei figli alle scuole private, spianando così la strada alla privatizzazione. Altro provvedimento che pare vorranno adottare sarà la trasformazione di una parte dell’insegnamento in lezioni a distanza, che aprirà ad attori privati che entreranno in questo mercato, che sarà rivolto principalmente ai poveri, che saranno ancora sempre e più legati alle proprie condizioni di partenza familiari, mentre le èlite continueranno a studiare”.

Rispetto alle periferie, nucleo tematico degli incontri che si tenevano a Crash, e in particolare sull’avanzamento di discorsi securitari che propongono la militarizzazione dei quartieri disagiati e marginalizzati delle città come risposta ai problemi sociali: “Il discorso che ha preso piede in una larga parte della popolazione è purtroppo che ‘l’unico bandito buono è quello morto’, quindi si configura come un forte attacco ai diritti umani. Chi sta in prigione non deve avere diritti, e in particolare ci sono progetti di legge che vogliono abbassare l’età per essere considerati alla stregua degli adulti quando si commette un reato all’età di quattordici anni, alimentando così il discorso contro la protezione dei più giovani e poveri, come a dire: quando commetti un crimine hai perso ogni forma di innocenza. Ovviamente a questo discorso non è affiancata alcuna visione sistemica di ciò che produce la criminalità: per chi sostiene questo discorso è come se essa apparisse naturalmente nella società. Non c’è nessuna indagine sociologica. Inoltre, sta prendendo piede l’idea che chi abita nelle favelas deve essere protetto dai criminali, e se per caso questo qualcuno viene ferito o ucciso durante un’operazione di polizia, la colpa è sua perché ha accettato di vivere in luoghi in cui c’è criminalità. C’è inoltre un pericoloso avanzamento di settori dell’esercito nella politica. La militarizzazione delle città sta andando di pari passo con la militarizzazione della politica. Le persone fuori dalle periferie si scandalizzano sempre meno per gli atti di violenza che accadono nei luoghi della marginalità. Sembra che il motto di questo tempo stia diventando che ‘i diritti umani sono per gli umani giusti’, per gli altri niente. E purtroppo questo discorso sta funzionando non solo con la classe media, ma anche con le fasce popolari”.