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Opinioni / Zona universitaria, “solo dal basso si può immaginare un cambiamento”

Il Cua interviene sul “patto della cultura” annunciato da Comune e ateneo per via Zamboni, piazza Verdi e dintorni.

19 Gennaio 2016 - 14:53

Piazza VerdiCi risiamo. Dopo mesi di apparente silenzio si torna a parlare di piazza Verdi e via Zamboni. Si torna a parlare di Zona Universitaria. Non che questo ci dispiaccia, anzi! E’ forse, però, il caso di inquadrare meglio le dichiarazioni di università e comune apparse in questi giorni sui giornali locali riguardanti un “patto della cultura” per la zona in questione.

Si va dall’illuminazione dei portici all’annuncio di un calendario di eventi culturali tra piazza Scaravilli, via Zamboni e piazza Verdi. Potremmo aprire un lungo capitolo sui fallimenti delle istituzioni nel costruire in questi anni una Piazza Verdi, e più in generale una Zona Universitaria differente. Da un lato ordinanze e divieti, dall’altro un laboratorio di urbanistica partecipata rovinosamente fallito che è riuscito soltanto a sperperare centinaia di migliaia di euro pubblici nel mettere qualche pianta e qualche cubo di granito per sedersi. Mentre per quanto riguarda bisogni primari, come ad esempio bagni pubblici, si è dovuto attendere decine di anni prima che arrivassero (ed è dagli anni ’60 che gli studenti chiedevano bagni pubblici in piazza Verdi) per di più frutto di una donazione privata.

Nelle dichiarazioni di questi giorni l’Alma Mater vanta il successo delle aperture serali dei suoi spazi e ne annuncia la continuazione. A riguardo, però, non una sola parola sul fatto che le aperture serali siano il frutto di anni di lotte portate avanti dagli studenti e dalle studentesse che con perseveranza quelle aperture serali le hanno rivendicate e praticate, e che tutt’ora molto spesso rischiano di essere messe in discussione.

Che università e Comune si interessino a fasi alterne della Zona Universitaria, in oltre dieci anni che viviamo e attraversiamo questo territorio, lo abbiamo capito. E ancora una volta ci sembra che quando questo interesse venga fuori si provi soltanto a calare progetti dall’alto sopra la testa degli studenti e delle studentesse.

Certo, non siamo così ingenui. Cogliamo benissimo il cambio di passo e di retorica, ma vogliamo vedere bene cosa si nasconde tra le righe. Ci chiediamo ad esempio chi siano le associazioni studentesche che il delegato del rettore Bazzocchi sostiene di voler coinvolgere. Perché se si tratta delle stesse che stanno dietro alla rappresentanza studentesca, quella votata da una percentuale insignificante di studenti, quella che per l’ennesimo autunno non abbiamo mai incontrato, mentre in tanti e tante ci battevamo per il diritto allo studio contro il nuovo calcolo Isee, pensiamo che di certo non si possa parlare di coinvolgimento studentesco. Lotta, quella contro il nuovo calcolo Isee che, pur nelle insufficienze dei provvedimenti, è riuscita a spostare milioni di euro a beneficio di chi era stato escluso dalla borsa di studio.

Che Piazza Verdi sia densa di contraddizioni, problemi e comportamenti inaccettabili lo sappiamo. Ma rappresenta anche un importante potenziale sociale. Sono anni che lo diciamo: per affrontare questioni come lo spaccio, gli atteggiamenti nichilistici, le mancanze di rispetto della collettività, ognuno deve provare a fare la sua parte. Ma per poterlo fare una cosa bisogna capirla una volta per tutte: per molte di queste questioni è solo dal basso, a partire da chi quotidianamente vive e tiene a questi luoghi, che si può immaginare un cambiamento, una soluzione.

Sempre più spesso questo tema viene affrontato con stupido ideologismo. Non c’è modo peggiore! Noi lo ribadiamo ancora: se non si è capaci di accettare che solo lasciando spazio alle forme autonome ed indipendenti di aggregazione sociale è possibile iniziare a trovare soluzioni ai problemi, vuol dire che non si vuole veramente risolverli. E per farlo non si può non parlare delle condizioni sociali ed economiche di chi questo posto lo vive e lo attraversa. A riguardo sicuramente non ci suonano bene le dichiarazioni dell’assessore Lepore che annuncia una via Petroni dal “ volto diverso, più dedicato alla residenza e ad una tipologia esercizi commerciali di qualità”. E non certo perché siamo affezionati al cibo spazzatura. Ma perché crediamo possa essere un’operazione di gentrification che rischia, con la nascita di attività di lusso, soltanto di negare l’attraversamento al soggetto studentesco e più in generale a quel precariato giovanile che economicamente continua ad arrancare. Non si può distruggere il diritto allo studio, avviare processi di impoverimento attraverso le politiche di austerità, avere la mensa universitaria più cara d’Italia e poi pensare che possiamo permetterci il lusso di pagare 5 euro una birra. Sarebbe soltanto un’operazione per allontanarci dalla nostra zona universitaria. Ma è qua che quotidianamente viviamo e che continueremo a vivere!

Eppure parlando di zona universitaria non possiamo soltanto fare l’elenco dei problemi. Sarebbe fare il gioco dei soliti idioti di turno. In questi anni tante sono state le esperienze che dal basso sono nate e hanno valorizzato questo territorio. Esperienze maturate dentro l’università e nel territorio circostante.

Pensiamo ai tanti laboratori che ancora oggi trovano continuità e vengono attraversati da centinaia di studenti. Giusto per elencarne qualcuno: il laboratorio contro-urbano che tanto si interroga sulla zona universitaria e che ha visto la presenza e il sostegno di tanti docenti. O ancora : il Laboratorio artistico ed il Laboratorio di cinema, esperienze di ricerca autonoma e dibattito politico attorno al linguaggio artistico e alle sue potenzialità sociali. Che dire poi di progetti altrettanto ibridi e sperimentali, a metà tra la discussione seminariale e l’aperta critica ai meccanismi di produzione e riproduzione di immaginario come “Letteratura e critica sociale”, anche qui con il contributo di importanti docenti?. Ci ricordiamo Piazza Letteraria? Sei ore di reading, musica e performances dello scorso 4 giugno, e poi i numerosi spettacoli teatrali, che hanno attirato gli sguardi e l’interesse di riviste culturali, librerie e case editrici indipendenti.

Il Batti il Tuo Tempo Festival che ormai da anni, in primavera, si presenta con una programmazione politica, culturale e musicale di alto livello. Se quel quadrato di mondo non è soltanto cubi e cemento, strumento agli speculatori e alla polizia per riempirsi le tasche o stringere le maglie del controllo e disciplinamento, se Piazza Verdi è viva e se ne parla, ancora casa per migliaia di studenti e studentesse è soltanto grazie alle iniziative autonome che qui trovano spazio.

Non può che farci piacere perciò che si torni a parlare di piazza Verdi e della Zona Universitaria, ma bisogna provare a cambiare radicalmente l’approccio. Aprire, ma allo stesso tempo continuare, una fase di sperimentazione è la questione fondamentale. Far emergere con forza, a partire dai soggetti che vivono questa zona, le potenzialità sociali che ci sono è l’unico antidoto al nichilismo. Antidoto che di certo non è rappresentato dalla militarizzazione, che non solo ha dimostrato di non risolvere i problemi ma anzi di acuirli.

Bisogna assumere il fallimento delle istituzioni in tutti questi anni e lasciare spazio alla sperimentazione di altre forme. Noi dalla nostra continueremo a mettere in campo una molteplicità di iniziative. Ancora una volta noi ci siamo e ci saremo. A partire dal confronto e dal conflitto. Perché solo da questi pensiamo si possa cambiare radicalmente passo e immaginare una zona universitaria all’altezza dei bisogni e dei desideri di chi la vive, senza strumentali distinzioni tra studenti e residenti.

Collettivo Universitario Autonomo