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Opinioni / “Parziali coordinate per una politica antagonista in Università”

E’ il Cua a diffondere l’approfondimento: “Necessaria un’analisi della trasformazione dell’istituzione universitaria all’interno della crisi capitalistica occidentale”, in cui “le contraddizioni si esplicitano giorno dopo giorno sempre di più”.

03 Dicembre 2018 - 12:20

“Dentro e contro l’Alma Mater: parziali coordinate per una politica antagonista in Università”. Questo il titolo di un approfondimento pubblicato recentemente dal Collettivo Universitario Autonomo. “Questo documento nasce dall’esperienza e dall’attività politica che come collettivo universitario autonomo abbiamo accumulato nel tempo e continuiamo a produrre quotidianamente all’interno dell’Alma Mater Studiorum di Bologna, e dall’esigenza da un lato di aggiornare e rendere più efficaci i nostri strumenti interpretativi e dall’altro di cogliere le spinte e le linee di tendenza che sottendono alla dinamica di ristrutturazione dell’università e alla presa di protagonismo della stessa nella trasformazione urbana tout court della città di Bologna. Da sempre abbiamo ritenuto centrale un intervento politico autonomo all’interno dell’università riconoscendo in essa il punto più alto della formazione didattico-formale nel sistema capitalistico; assumendo l’ambito della formazione in generale come centrale e funzionale al sistema stesso e, partendo da questo presupposto, pensando lo studente come operaio non salariato nel panorama di sfruttamento capitalistico, sfruttato proprio a partire dalle sue capacità intellettive. Proprio per questo non siamo qui a discutere della necessità o meno dell’esistenza di questo intervento, piuttosto riteniamo necessaria un’analisi della trasformazione dell’istituzione universitaria all’interno della crisi capitalistica occidentale, che sappia aggiornarsi partendo da ipotesi e teorie già esistenti, e possa dotarci di salde linee guida nella nostra quotidiana attività e pratica politica”.

Il primo dei paragrafi in cui è suddiviso l’intervento riguarda l'”Università nella crisi.” Secondo gli studenti “le dinamiche di crisi dell’ultimo decennio hanno agito su varie sovrastrutture del sistema capitalistico e la formazione non ne è esente. In un contesto di crescita negativa, PIL stagnante e debito pubblico crescente anche l’ambito della formazione subisce una trasformazione nelle sue funzioni e nei suoi criteri. Se la valutazione degli atenei e la concorrenza tra essi, la meritocrazia e l’aziendalizzazione delle accademie sono dinamiche già date, gli anni di crisi hanno portato un’accelerazione e una radicalizzazione in questo senso. Se il Bologna Process aveva come fine quello di creare una formazione universitaria omogenea a livello europeo, ora, per le singole accademie, diventa vitale il riuscire a rientrare dentro certi parametri. Da un lato i fondi sempre minori o concessi a progetto e dall’altro la necessità di riuscire a creare un brand attraente a livello nazionale e internazionale agiscono sull’università: essa non è più né di massa né d’elite, si ha un innalzamento del reddito degli iscritti ma anche un aumento del numero; questo è possibile mettendo in campo misure che mirano da un lato a escludere i più poveri e dall’altro ad attirare tanta parte di giovani offrendo possibilità di lavoro e formazione di qualità (aumento delle tasse per i fuori corso, innalzamento no tax area, alloggi limitati, ecc). Questo non è ovviamente un processo lineare e anzi essendo ancora in divenire risulta anche di difficile lettura generale, possiamo però dire che ci è nemico e partendo dalla nostra esperienza e dalla trasformazione dell’alma mater cercheremo, pur in modo parziale di coglierne i tanti aspetti singoli”.

Si passa poi al tema della “internazionalizzazione”. Per gli attivisti “nel documento di gestione riguardante il bilancio del 2017 larga parte è dedicata alla voce didattica e internazionalizzazione, sottolineando l’importanza che l’alma mater conferisce alla sua immagine internazionale. Nello specifico è evidenziato come gli accordi di scambio e ricerca con vari atenei esteri, i bandi erasmus e altre collaborazioni siano aumentate negli ultimi anni e come l’università si dedichi a creare un brand attraente sia per studenti che per professori internazionali. Ciò non è ovviamente dettato da una qualche spinta morale all’umanità globale ma dalla necessità da un lato di omogeneizzarsi ai criteri internazionali e dall’altro di creare e propagandare uno status internazionale funzionale ad attrarre studenti, fondi e progetti. Soprattutto quest’ultimo punto diventa cruciale per l’università nella crisi perchè se tanti fondi vengono stanziati dal MIUR, e molti di questi richiedono comunque il vaglio di un progetto presentato al ministero stesso; la seconda voce di entrata per l’università è quella delle tasse studentesche. Per l’università azienda è quindi estremamente importante avere un brand attraente e fruibile, che la presenti come meta preferita da studenti e professori internazionali e come possibile base di partenza per un’esperienza lavorativa all’estero. Questo brand non si sostanzia solamente in offerte formative ma interviene anche nel tessuto urbano cittadino con europeizzazione degli spazi studenteschi, vetrinificazione della zona universitaria, creazione di hotel di lusso per studenti ricchi”.

“Rapporti e sovvenzioni da privati”. Continua il collettivo: “Carreer day, recruiting day e job placement evidenziano un rapporto profondo tra l’ateneo e le aziende partecipanti. Quella che viene presentata come l’opportunità di mettersi in gioco e di iniziare a immaginare un futuro oltre le aule universitarie è, nei fatti, già una messa a lavoro e a profitto delle capacità e delle intelligenze degli studenti. Profitto per l’unibo, dato che le aziende partecipanti sono chiamate a pagare dai 2000 a oltre i 4000 euro per presenziare a queste giornate, e profitto potenziale per le aziende stesse, dato che possono usufruire di un enorme bacino di studenti tra cui scegliere accuratamente. I rapporti dell’Unibo con il mondo del privato non si fermano certo qui, basti pensare che essa è membro o partecipa in varie forme a un tot di aziende e società private, università come investitore quindi. Inoltre i tirocini, anch’essi presentati come possibilità di migliorare le proprie competenze e di iniziare ad avere a che fare col mondo del lavoro, sono modalità evidenti di sfruttamento della forza lavoro studentesca. Per non dimenticare che l’Unibo riceve sovvenzioni interessate da aziende private e può utilizzare alcuni dati come oggetto di scambio per avere altri fondi. Concorrenza con altri atenei: questa è già una realtà e non solamente un processo: è stato da tempo analizzata la tendenza alla creazione di una gerarchia tra le università italiane. In base a tale gerarchia, prodotta da criteri valutativi la didattica, l’offerta culturale ecc, vengono ripartiti in modo iniquo i fondi dedicati alle università creando differenze importanti. In questo contesto si può leggere da un lato la crescita del numero di iscritti nelle università del sud, mediamente con un reddito minore agli iscritti del nord. In questo contesto di concorrenza l’Unibo sfrutta il meccanismo di esclusione delle fasce meno abbienti della composizione studentesca avviandosi a diventare un’università per ceto medio alto ma mantenendo comunque un alto numero di iscritti grazie al lavoro di brandizzazione già accennato”.

Un altro paragrafo è dedicato alla “ristrutturazione amministrativa: l’avvento del rettorato Ubertini ha portato grosse novità anche per quanto riguarda la gestione amministrativa dell’ateneo. Esempio perfetto di governance neo liberista Ubertini e i suoi collaboratori seguono le linee dell’accentramento e della gestione amministrativa arrogandosi la gestione delle questioni più spinose dell’alma mater e tentando di depoliticizzarle. Attraverso una profonda burocratizzazione della vita universitaria infatti la governance ha tolto politicità alle esigenze e alle problematiche studentesche, cercando di erodere il terreno su cui costruire opposizione e conflitto. D’altro canto la dinamica di accentramento si sviluppa nella sottrazione di potere di gestione amministrativa, economica e politica alle scuola, alcune delle quali verranno cancellate, e in un rafforzamento dei dipartimenti. Con ciò si darà una grande forza decisionale centrale la quale potrà facilmente intervenire sull’autonomia dei vari dipartimenti. Inoltre sono state create o rafforzate aree amministrative direttamente rispondenti alla gestione centrale come ad esempio ASB area servizi bologna e AFORM area della didattica”. Si parla poi di “spazi studenteschi: dall’arrivo di Ubertini anche la gestione degli spazi concessi o occupati dagli studenti vive di novità importanti e interessanti. Nuovi spazi per studenti vengono pensati e creati all’esterno dell’attuale cittadella universitaria (esempio via zanolini, via san giacomo), quelli già esistenti diventano oggetto di ristrutturazione o ottimizzazione di spazi, che impone agli studenti che vi si ritrovano di uscirne per fare posto a uffici o laboratori estremamente sottoutilizzati (tecnolab). Questo processo si inserisce ed è corroborato da una gestione amministrativa che, adducendo appunto la scusa della ristrutturazione e proclamandosi aperta e attenta alle esigenze di tutti, rinchiude l’iniziativa studentesca in vincoli quali la creazione di associazioni e la partecipazione a bandi per l’assegnazione di spazi che tolgono decisionalità agli stessi studenti e permettono un controllo più profondo delle loro attività. Ciò da un lato dipinge un disegno di espulsione di una certa parte studentesca dall’area centrale della zona universitaria funzionale alla brandizzazione dell’unibo; dall’altro depoliticizza questo processo legandolo a necessità amministrative e proponendo soluzioni alternative degne delle università del nord europa”.

Altri temi importanti e di grande attualità sono quelli della “questione casa” e del “ruolo in trasformazione urbana”. Infatti “tra turismo schizzato alle stelle e iscrizioni aumentate il problema dell’alloggio a Bologna è scottante e in primo piano. Da un lato Airbnb e la trasformazione di tanti appartamenti in alloggi per turisti, dall’altro la crescita della popolazione cittadina hanno portato un aumento consistente degli affitti e addirittura la quasi impossibilità di trovare casa entro i viali. A fronte di ciò le soluzioni della governance cittadina sono quelle di creare nuovi studentati di lusso, sfrattare chi non può pagare affitti innalzatisi negli ultimi anni e sgomberare chi occupa; tra l’altro creando alcuni di questi studentati (Student Hotel) proprio nei luoghi in cui tanti e tante avevano trovato una casa. Ciò è sorprendente solo se non lo si legge all’interno della trasformazione della città di Bologna appunto diretta a turismo e a fasce studentesche più abbienti. Fanno riflettere infatti le politiche e gli investimenti sia di comune sia di università che lungi dal calmierare gli affitti o costruire nuovi studentati, sono protagonisti attivi di questa tendenza. Questo non è una realtà già data ma un processo che vive però di una grande accelerazione negli ultimi anni e oltre a escludere dal centro città e dai quartieri limitrofi coloro che non possono permettersi certi affitti, aumenterà con effetto domino anche quelli dei quartieri più periferici e creerà luoghi di socialità e incontro nuovi ed esterni al centro città. C’è quindi in atto un processo di esclusione e selezione sul reddito della popolazione bolognese. A questa questione si lega anche quella dei trasporti, infatti se tanti saranno costretti a vivere fuori dal centro di Bologna questo richiederà una riorganizzazione dei trasporti pubblici ancora inesistente, se non legata alla creazione del people mover e altri mezzi di lusso. Del processo di trasformazione della città di Bologna già si è parlato, è importante però soffermarsi sul ruolo che l’università ha in esso. Questo protagonismo si sostanzia su vari livelli: 1) partecipazione alla vetrinificazione della zona universitaria: da un lato in concerto con comune e istituzioni cittadine (vedi progetto rock e guasto village) dall’altro in autonomia l’unibo partecipa attivamente alla trasformazione della zona universitaria nella vetrina del brand alma mater. Basta guardare ai progetti in cantiere per quanto riguarda via zamboni e piazza verdi, ma anche alla riqualificazione dell’ex veneta, o alla nascita delle nuove ‘scuderie’; 2) offerte ‘turistificanti’: i progetti di apertura notturna delle facoltà, i tour in zona universitaria, lo stesso intervento ‘vetrinificante’ rispondono alla volontà di rendere attraversabile e godibile la zona universitaria da chi studente non è. Non per migliorarne la qualità della vita ma per renderla meta turistica e luogo di profitto basato sull’immaginario studentesco. 3) brandizzazione: tutto ciò rientra nel disegno brandizzante dell’universtià di bologna, che vuole dare di sé un’immagine smart e moderna, atta ad attirare studenti internazionali e investimenti. 4) Alloggi: mentre i fondi vengono investiti nella direzione sopra tratteggiata ciò che manca sono gli alloggi e perfino un piano serio per crearne. L’Unibo, inserendosi perfettamente e partecipando della trasformazione cittadina, non pensa a interventi in questo ambito perchè è soddisfatta della nascita di studentati di lusso e della crescita degli affitti”.

Gli studenti passano quindi a parlare della “questione tasse: contravvenendo ai limiti nazionali la soglia Isee per l’esenzione dal pagamento delle tasse è stata alzata a 23mila euro; le fasce di reddito per richiedere esenzioni parziali arrivano fino a 60mila euro, soglia dopo la quale si paga la tassa totale. D’altro canto però gli importi totali sono stati tutti alzati di parecchie centinaia di euro, probabilmente per avere la copertura finanziaria per attuare le politiche sopracitate; inoltre sono stati introdotti criteri di merito più stringenti: se non si raggiungono i 25cfu nell’anno accademico precedente o si va fuori corso non si può richiedere l’esenzione dalle tasse, quale che sia l’isee presentato e si è costretti a pagare l’importo totale, che nel frattempo si è alzato. Questo evidenzia che chi governa l’Unibo ha in mente un’università di studenti modello che, laureandosi senza alcun ritardo e con voti alti, possano aumentare il buon nome dell’Alma mater. Il problema è che a questo studente tipo non corrispondono i tanti e le tante che sono costretti a lavorare per pagarsi studio e affitto, lo studente lavoratore non è quindi contemplato nelle idee di università che hanno i vari Ubertini. Questa dinamica palesa il carattere classista ed escludente della meritocrazia: se ho bisogno di lavorare per pagarmi gli studi e la vita in una città diversa dalla mia non posso partecipare delle misure welfaristiche offerte dall’università a meno di sforzi importanti e di rinunciare a una vita sociale attiva, perchè ho necessità di completare gli studi in tempo altrimenti verrò punito con tasse esorbitanti”.

Pertanto, queste sono le conclusioni del documento del Cua: “Avendo tratteggiato una prima analisi dell’istituzione universitaria nella crisi ed essendoci soffermati sui temi e sulle problematiche più contingenti rispetto all’Unibo, proviamo a riflettere sul nostro ruolo all’interno di queste dinamiche e tendenze. Vale la pena soffermarsi però anche nell’analizzare la composizione che attraversa tale istituzione e i cambiamenti che la caratterizzano. Gli uomini e le donne che attraversano e vivono gli spazi universitari e le strade della zona universitaria compongono un tessuto sociale molto eterogeneo, ma allo stesso tempo tante categorie che in passato ci hanno aiutato ad analizzare la composizione studentesca, ora più che mai vengono meno. Essendo i costi dell’università e della vita più in generale sempre più elevati, sono sempre di più coloro che per mantenersi gli studi o semplicemente una vita che comprenda anche la socialità sono costretti a lavorare o a trovare una qualche possibilità di reddito, mentre coloro che possono organizzare le proprie giornate in base alle lezioni, al tempo per lo studio, agli esami, ai CFU sono soggetti che mediamente hanno un reddito elevato. È proprio a questi soggetti che l’Alma Mater sembra guardare con sempre più interesse, soggetti che possono usufruire dei servizi di lusso (come ad esempio gli studentati) offerti da città e Ateneo e che non vengano colpiti dal nodo dei bisogni che invece ha caratterizzato le lotte interne all’Unibo negli ultimi anni. Stiamo parlando di un processo in atto e non di un dato di fatto, perciò sono ancora tanti e tante coloro che vivono e attraversano le strade della zona universitaria e non solo, alla ricerca di una stanza, di un lavoretto o magari di entrambi. Le smartapp sono sempre più presenti nella vita di studenti e studentesse, a partire dalle piattaforme di food delivery (come Justeat, Foodora ecc…) per arrivare persino ad affittare la propria stanza o quella del proprio coinquilino su Airbnb per riuscire a pagare le bollette. Quindi nell’aprire dei percorsi di conflitto autonomo all’interno degli atenei non si può prescindere da un’analisi della composizione studentesca, cogliendone gli aspetti che vanno sempre più a mutare all’interno del panorama di crisi capitalistica che come già detto avanza anche nell’istituzione universitaria. Fare lotte universitarie non può limitarsi alle vertenze legate strettamente al mondo della formazione tout court, ma deve necessariamente significare essere capaci di cogliere le contraddizioni che attraversano i cambiamenti della città, nei suoi spazi pubblici e del suo diritto all’abitare e la precarizzazione del mondo del lavoro nel quale studenti e studentesse sono tra i primi sfruttati. Le lenti dell’esclusione e della selezione ci aiutano a legare questioni e dinamiche apparentemente slegate e a immaginare possibilità organizzative e antagoniste a esse. A livello di metodo infatti, come collettivo autonomo, abbiamo la prassi di partire dai bisogni e dalle problematiche reali, evidenti e contingenti per poi aggiornare la nostra teoria e rilanciare la nostra pratica in funzione di evidenziare, attaccare e allargare le contraddizioni sottostanti ai problemi individuati. Nello specifico a Bologna la trasformazione cittadina incide e crea il problema alloggi e tasse e la questione degli spazi in università, la nostra capacità dev’essere quella di riuscire a leggere come legate queste dinamiche all’interno di un processo generale; nel farlo è necessario tener presenti i concetti di selezione ed esclusione. Il processo trasformativo della città di Bologna e le dinamiche a esso legate attuano in tendenza una selezione della popolazione cittadina sulla base del reddito. La questione alloggi tratteggia già una prima dinamica selettiva: gli affitti aumentati in modo esponenziale negli ultimi anni, la creazione di studentati di lusso, nessun intervento né sugli alloggi in sé né sui trasporti, escludono la parte meno abbiente di popolazione dall’accesso alla città. La questione tasse rientra anch’essa in questo processo: agli studenti e alle studentesse più povere è negato, tramite criteri meritocratici, la possibilità di studiare. Lo studente lavoratore viene in tendenza escluso dall’Unibo, anche se, come ben si vede questo processo presenta contraddizioni profonde, basandosi tanta economia bolognese proprio sullo sfruttamento di questa categoria. La tendenza escludente e selettiva esiste anche per quanto riguarda gli spazi di dibattito e organizzazione studentesca in università, affiancandosi a quella ‘normalizzante’: i bandi che tolgono possibilità di continuità d’iniziativa, la creazione di associazioni che rende più controllabili e ricattabili gli studenti che si organizzano, la creazione e l’assegnazione di spazi esterni alla zona universitaria. E in aggiunta a questo l’utilizzo di scuse amministrative per espellere gli studenti da luoghi storici di organizzazione Via Zamboni 38, il tentativo di controllare e normalizzare luoghi di confronto e dibattito alternativo la Biblioteca di Via Zamboni 36. tutto questo sottolinea la volontà da parte della governance universitaria di espellere da un determinato luogo quella parte di composizione studentesca che sceglie di organizzarsi in modo antagonista al proprio interno. In uno scenario come quello precedentemente descritto, che sembra attraversare a 360° le vite di giovani studenti e studentesse e precari e precarie, le contraddizioni si esplicitano giorno dopo giorno sempre di più. Compito di chi si auto organizza all’interno dell’università è di essere in grado di cogliere queste contraddizioni vivendole internamente e facendole esplodere prima che la controparte si organizzi per sussumerle. Dentro e contro l’università significa questo: creare vertenzialità autonoma, portare conflitto all’interno dei luoghi fisici e non, in cui tali contraddizioni si annidano cercando così di aprire spazi di possibilità per dare forza alle frustrazioni che le condizioni di precarietà, studentesca e non solo, creano nelle vite di tutti e tutte noi”.