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Opinioni / Turchia, “libertà di espressione: domani andrà peggio?”

Dopo il commissariamento del quotidiano Zaman “nella Turchia di Erdoğan che un giornale venga chiuso, un giornalista d’opposizione arrestato o licenziato è diventato ormai così consueto da non destare più particolare attenzione”.

23 Marzo 2016 - 17:35

di Alberto Tetta

Disegno di Gianluca Costantini
Disegno di Gianluca Costantini

Libertà di espressione. Domani andrà peggio? 

Il commissariamento del quotidiano Zaman è solo l’ultima di una lunga serie di attacchi del governo ai media non allineati in Turchia, nel silenzio complice di Usa e Europa.

Le immagini delle cariche davanti alla sede del giornale che è stato per anni una delle più importanti voci a favore del Partito della giustizia e dello sviluppo di Erdoğan contro centinaia di lettori che cercavano di difenderlo e la foto sulle prime pagine dei pochi giornali d’opposizione rimasti di una donna velata con il viso coperto di sangue, dopo una manganellata di un poliziotto, mi ha spinto a frugare un po’ nella memoria.

Nella Turchia dell’era Erdoğan che un giornale venga chiuso, un giornalista d’opposizione arrestato o licenziato in tronco, dopo una delle tante invettive ad personam del presidente, è diventato ormai così consueto da non destare più nell’opinione pubblica particolare attenzione.

Tra sanguinosi attentati a cadenza ormai mensile, repressione sistematica da parte della polizia delle manifestazioni di piazza, crisi diplomatiche con grandi potenze mondiali e una violentissima guerra contro gli autonomisti curdi del Pkk nel sud est del Paese, il commissariamento di Zaman, uno dei più importanti quotidiani turchi, per molti è solo una notizia tra le tante. Non per me.

Come un flash è apparso netto un ricordo. Era l’estate del 2009 per le strade di Istanbul era impossibile non imbattersi in uno dei mega cartelloni pubblicitari che affermavano con orgoglio: “Con un milione di lettori siamo il giornale più letto in Turchia”. Le pubblicità di Zaman, con la clessidra simbolo del giornale su sfondo blu scuro, ricoprivano interamente autobus a due piani. Allora il quotidiano Zaman era all’apice della sua popolarità. Firme famose, intellettuali di alto livello, più di 40 pagine a colori. Da lì a pochi mesi avrebbe aperto anche Today’s Zaman, la versione inglese del giornale stampato in collaborazione con il Times. Tempi d’oro insomma.

Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti sul Bosforo e Zaman ha cambiato radicalmente linea editoriale. Il quotidiano della potente confraternita religiosa del predicatore musulmano Fethullah Gülen, ex sostenitore del governo diventato dal 2013 in poi la bestia nera di Erdoğan dopo uno strappo interno al campo islamista di cui non sono ancora ben chiare le vere ragioni, è diventato l’arma di una guerra senza esclusione di colpi contro il governo. Da qui la decisione di Erdoğan di farlo chiudere, o meglio commissariare con la forza.

In un paese dove da un mese all’altro complessi equilibri di potere cambiano radicalmente un gruppo editoriale che prima del 2013 ha difeso a spada tratta, se non orchestrato, l’arresto di giornalisti critici verso Erdoğan come Ahmet Şık e Nedim Şener, ha poi indossato la coccarda della libertà di espressione costruendosi un’immagine di vittima. Ma questa è un’altra storia.

In nome della guerra contro l’ex-amico Fethullah Gülen, Zaman, il suo gruppo editoriale e la sua confraternita che aveva ormai assunto il controllo di polizia e magistratura, Erdoğan e l’esecutivo guidato dal suo partito negli ultimi tre anni hanno assunto il controllo quasi esclusivo di polizia, magistratura, servizi segreti, media e persino dell’esercito piazzando fedelissimi del presidente in tutti i principali gangli dello stato. Oggi le voci e le istituzioni in grado di controbilanciare il potere di Erdoğan si contano sulle dita di una mano.

A fare le spese di questa deriva autoritaria sono i giornalisti turchi come il direttore di Cumhuriyet Can Dündar, rilasciato in attesa di giudizio il 26 febbraio, e quelli curdi. Una delle più importanti televisioni indipendenti vicine al movimento curdo, Imc-tv è stata oscurata, ironia della sorte, proprio il giorno della liberazione di Dündar, e tutte le altre voci di dissenso che con determinazione e incredibile coraggio continuano a chiedere maggiore democrazia e diritti. Il presidente turco, però sa che può agire indisturbato. Bruxelles è troppo occupata a stringere un accordo con Ankara per blindare i confini della Fortezza Europa per dare peso a queste cose e gli Stati uniti non possono fare a meno dell’appoggio turco nella “guerra contro lo Stato islamico” in Siria per andare oltre le dichiarazioni di rito.