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Opinioni / “Guardate oltre i vostri tornelli mentali”

Una studentessa replica ai firmatari di “una petizione dissociante”. Cua: la raccolta di adesioni online è “uno stratagemma menzognero”. E stamattina appuntamento al 36 per “sistemare la biblioteca dopo i danni causati dalla polizia”.

13 Febbraio 2017 - 08:03

“Sono una studentessa come tant* altr*, non milito, penso criticamente e non mi accontento. Mi sono ritrovata con il computer acceso per studiare, quando in realtà c’è qualcosa di più importante, anche per me che nel sistema accademico ci sguazzo ogni giorno. Perché leggendo, nei vari quotidiani e nella sfera social, i commenti di altr* studentesse e studenti come me, non può che montarmi una rabbia immane”. Inizia così una lettera arrivata a Zeroincondotta all’indomani della terza manifestazione contro i tornelli alla biblioteca di Discipline umanistiche, mentre sui media ‘mainstream’ rimbalzano commenti e interviste che additano la mobilitazione degli scorsi giorni come violenta e minoritaria. E’ la seconda riflessione di questo tipo che riceviamo e pubblichiamo sul tema, dopo quella di sabato.

Continua la lettera: “Vengo da giornate intense, a Bologna e non solo. Non dimentico del ragazzo che si è suicidato qualche giorno fa, non dimentico la sua lettera (il riferimento è a un 30enne precario che si è tolto la vita a Udine scrivendo di ‘non poter combattere solo per sopravvivere’ e chiamando in causa il ministro Poletti, ndr), non dimentico i motivi che l’hanno spinto alla scelta (assolutamente inequivocabile) di abbandonare questo mondo che non ci offre niente. Poi mi fermo, e penso che a qualcun* questo mondo sta bene.Oltrepassando la questione dei tornelli (sono un muro, che se ne dica o meno, espressione di quel che sta succedendo a livello globale, modo come un altro di stigmatizzare ed escludere), io vorrei appellarmi a tutta la popolazione studentesca, bolognese e non solo, per cercare di accendere una luce di ragionevolezza. Tutt* ci sentiamo confus*, tutt* siamo in un mondo senza appigli oggettivi, tutt* stiamo qui, nella gettatezza apatica della situazione, tutt* siamo nella stessa barca. Ma c’è chi da questa barca vuole uscire e chi, invece, continua ad omologarsi a un sistema normalizzante, esclusivo, competitivo. Parlo di chi ha firmato una petizione dissociante, di chi al 36 veramente non è mai entrato e però mette parola, di chi non era lì quando è piombata la celere in antisommossa, di chi non aveva l’ansia nello stomaco e la paura a sfregiarne il volto”.

“In un mondo-piattaforma – prosegue l’autrice del testo – in cui vi siete sentiti di mettere in piedi astrazioni puramente teoriche su eventi di una sfera che non vi ha mai toccato, l’avete fatto comunque. In questa piattaforma sociale, in questo luogo mediatico in cui esistono le petizioni on-line, le letterine a Tpi, il populismo estremo… Voi avete scelto di stare al di là, perché non vi tocca, perché l’individualismo (modus operandi di cui si alimenta il capitalismo, senza voler essere anacronistica) vi ha portati all’estremo della vostra stessa esistenza. Io vorrei appellarmi alla vostra coscienza, se ne avete ancora una: davvero volete vivere in questa giungla di follia e dispersione, in cui il potere si è impossessato di ogni gesto vitale? Si è impossessato dei nostri corpi, della nostra mente, della nostra dimensione sociale concreta. Ci stanno togliendo tutto, perché a quanto pare a qualcun* sta bene! Non vi dico che non dobbiate studiare, anzi. Dovete farlo, ma in modo critico, scagliandovi contro chi il diritto allo studio ce lo sta levando, cioè l’Università, cioè la questura, cioè il comune, coloro che hanno mandato un reparto di polizia in assetto anti-sommossa dentro una biblioteca che era veramente autogestita”.

Racconta ancora la studentessa: “La prima cosa che si è detta, dopo l’apertura delle porte del 36, è stata di rispettare quello spazio che (e non semplicemente ‘in cui’) viviamo ogni giorno, di rispettarne i libri, di rispettarne le strutture. E due ore dopo tutto è andato in frantumi, tutto si è dissolto. E non parlo solo dei nostri banchi e delle nostre sedie, che con una violenza inaudita sono stati toccati dalla polizia. Parlo di noi, come studenti e studentesse che lì passano le giornate, che lì abbiamo creato un ambiente che non credo sia possibile replicare in nessun’altra biblioteca di Bologna. E non venite a dirmi che la biblioteca esiste con il solo scopo di studiare, perché un luogo in cui s’incontrano quotidianamente centinaia di persone non può e non deve ridursi solo a una scusa per passare gli esami, dovrebbe essere altro. Non disumanizzatevi, non alienatevi solamente nello studio! Noi non siamo solo questo, noi non siamo solo esami passati, siamo prima di tutto persone che stanno perdendo l’empatia nei confronti degli altri. Vestiamo gli stessi panni, solo che forse ve lo siete scordati. Non comportatevi come se foste delle mere quantità interscambiabili, guardate oltre i vostri tornelli mentali. C’è chi si sta caricando di serie conseguenze anche per voi e per il prossimo, perché chi ha coscienza lo fa per tutti, che sia richiesto o meno! Io mi appello a voi per farvi rientrare nel noi collettivo, nel noi unitario, non dobbiamo essere dissociat* e antogonist* nella stessa realtà, che è identitaria, unitaria, non astratta. Viviamo in una situazione analoga, e tutt* dovremmo impossessarci della realtà per modificarla, perché non può starci bene!”

“Non facciamo di noi solo delle quantità effimere – si legge in conclusione – Non lo siamo, non possiamo esserlo. Non vogliamo essere dei corpi docili, dovremmo batterci tutt* insieme per andare contro le dinamiche competitive in cui ci troviamo ogni singolo giorno in questo mondo di merda che ci vuole così: senza sensibilità, ciech* e sord* verso la realtà sociale che ci circonda. Non potete voler zittire le persone che si stanno battendo, ma almeno abbiate la coscienza di sensibilizzarvi, solo dopo potrete parlare di chi sta cercando di farci uscire dal controllo stretto in cui siamo fossilizzati. Pensate: l’uguaglianza concreta esiste a questo mondo? Non è forse un’astrazione giuridica? Una base teorica che ci deve dare il contentino per tenerci a bada? Riflettete, leggete, studiate, però alzate un attimo il volto dal libro, perché, guardandovi intorno, vi rendereste forse conto che la celere che entra in una biblioteca in cui i ragazzi stanno studiando, altro non è che l’espressione di controllo più palese ed esplicita di un moto che è già in atto da anni. Un moto che ci vuole quiete. Non dobbiamo permetterglielo, dobbiamo scrivere questa storia da individui sociali, non da numeri. Dobbiamo essere tempesta, non deserto. Non raffreddiamoci, cerchiamo di applicare tutto ciò che studiamo alla concretezza, senza appigliarci a questioni teoriche che non ci salvano, ma anzi ci attanagliano e ci rendono oggetti tra gli altri. Facciamoci spazio in un mondo che non ci vuole più, riappropriamoci degli spazi (fisici e mentali, di diritto se tanto vi sta a cuore) che ci hanno tolto e che continuano a toglierci quotidianamente”.

Sullo stesso tema è tornato ieri a intervenire anche il Collettivo Universitario Autonomo: “A quanto pare, in queste ore, abbiamo imparato un’altra cosa: se parla uno studente o una studentessa a parlare sono i collettivi, ma se parla una note esponente del Pd a parlare sono gli studenti”, è l’incipit del comunicato, dove si fa notare che una “sedicente studentessa” le cui parole hano “fatto il giro del web” accreditandosi come “portvaoce della versione più accreditata dagli studenti in merito alla situazione al 36”, sia in realtà una componente “della segreteria regionale del Partito Democratico, nel ruolo di, guarda un po!, responsabile alla legalità!”.

Sulla petizione, il collettivo scrive che nonostante possa “firmare chiunque e a nome di più persone contemporaneamente” a quanto si legge in giro lì paia “insidiarsi il germe della verità, della grande condanna dei giovani scesi in strada. Peccato si tratti dell’ennesimo specchio per le allodole, dell’ennesimo fasullo e menzognero stratagemma per screditare chi di ragione ne ha da vendere. Gli studenti che attraversano realmente l’università, non gli sciacalli del Pd, di Comunione e Liberazione o dellla Lega Nord, stanno evidentemente con chi ha subito questa infame aggressione”. Oltre alle voci raccolte da un servizio di Radio Città del Capo, il Cua riporta le parole di una ex studentessa dell’Alma Mater oggi in Inghilterra: “Qui dove lavoro io, in Inghilterra, in biblioteca si accede esclusivamente con il badge. E sapete perché? Perché l’università è stata completamente privatizzata pure se formalmente pubblica, con un innalzamento delle tasse a £9,000 annue per un corso triennale. Qui, dell’università pubblica non è rimasto nulla”.

Nel comunicato, si dà conto anche delle parole pubblicate su un blog dall’ex docente dell’ateneo bolognese Alberto Tarozzi, che ricorda che negli ultimi quaranta anni: “la polizia mai è intervenuta all’interno dei locali dell’Università militarmente, nemmeno mentre qualcuno occupava, nemmeno quando nei dintorni c’erano episodi di lotta armata.  Mai locali universitari, per nessuna ragione, avevano visto episodi di scontro fisico determinato dall’irruzione delle forze dell’ordine!”.

Il Cua, infine, dà appuntamento per questa mattina alle 9 “davanti al 36 per ripulire e sistemare la nostra biblioteca dopo i danni causati dall’irruzione della Polizia – molti dei quali fatti a sfregio. Per chi ne avesse ancora dentro, sarà anche l’occasione per riprenderci libri, appunti, pc, zaini e altro materiale didattico ancora sequestrato in sala studio”.