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“No intesa Italia-Libia”, vernice sulla vetrina Eni

Ya Basta Bologna: “Un accordo il cui contenuto è chiaro quanto drammatico” per “detenere, bloccare e respingere le donne e gli uomini migranti che fuggono dalla Libia per raggiungere l’Europa” e nell’operato della multinazionale dell’energia “si manifesta totale complicità”.

02 Febbraio 2020 - 14:52

Blitz questa mattina al negozio di Eni gas e Luce di via Ugo Bassi. Coperti dal fumo dei fumogeni, un gruppo di attivisti ha colorato di vernice rossa la vetrina in protesta contro il rinovo, oggi, del memorandum d’intesa con la Libia, stipulato dal Governo Gentiloni nel 2017. Dietro lo striscione “Non saremo vostri complici”, con bandiere e felpe di Mediterranea, si sono poi mossi in corteo fino a piazza del Nettuno.

Scrive Ya Basta Bologna: “Un accordo il cui contenuto è chiaro quanto drammatico: detenere, bloccare e respingere le donne e gli uomini migranti che fuggono dalla Libia per raggiungere l’Europa. La Libia non è un ‘porto sicuro’, ma un paese in guerra ove le stesse autorità istruite e finanziate dall’Italia fungono, in realtà, da trafficanti, carcerieri e torturatori. E’ un paese in cui i ‘centri di accoglienza’ commissionati da parte dell’Europa sono, di fatto, prigioni e centri di inimmaginabili violenze. La mistificazione e la sistematizzazione di quanto accade in Libia rappresenta un’operazione complessa e crudele possibile grazie all’azione di diversi attori e dei loro interessi. Tra i responsabili di tutto ciò, infatti, ci sono aziende come Eni, che da oltre cinquant’anni si rende responsabile di devastazioni ambientali per mezzo delle proprie attività estrattive energetiche in Libia, in Nigeria e in altri paesi africani. Conduce politiche che generano diseguaglianze e conflitti, e che obbligano le persone a migrare”.

“Non solo – prosegue il post del collettivo – Eni è responsabile della fuga delle persone dal proprio Paese di origine quanto della loro detenzione in Libia, come nel caso dell’Asso 28, nave italiana che nel luglio 2018 ha riportato a Tripoli 101 migranti soccorsi in prossimità di una delle piattaforme off shore del colosso energetico. Secondo le ricostruzioni, il cargo ha seguito le disposizioni di Eni per quanto riguarda il respingimento delle persone nell’inferno da cui fuggivano. E ancora, Eni risulta aver assunto a protezione dei propri compounds di Mellitah, gli uomini di Ahmad Oumar al-Dabbash, che l’ONU, il 7 giugno 2018 ,ha riconosciuto essere uno tra i sei più importanti trafficanti di esseri umani e contrabbandieri libici”.

Si legge in conclusione: “Nell’operato di Eni, dunque, si manifesta la totale complicità con quelle autorità che oggi si stanno rendendo responsabili di gravissime violazioni dei diritti umani. Dietro gli interessi che l’azienda persegue ci sono i corpi delle decine di migliaia di persone morte nei centri di tortura piuttosto che nel fondo del Mar Mediterraneo e dei quali, in molti casi, non si saprà mai niente. Per questo motivo è necessario ora più che mai prendere posizione, aggredire tutti coloro che in un modo o nell’altro consentono che quanto accade continui a verificarsi. Chiediamo l’immediata cancellazione del Memorandum d’intesa con la Libia, l’evacuazione in massa di tutte le persone rimaste prigioniere nel paese attraverso canali umanitari sicuri e l’introduzione di strumenti sicuri per consentire la libertà di movimento di tutte e tutti”.