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Messico / “Vivos se los llevaron, vivos los queremos!” [foto+video]

Grandi manifestazioni giovedì per i 43 desaparecidos di Ayotzinapa, venti arresti. Un articolo di Roberta Granelli, comunicato, scatti e riprese di Collettivo Italia Messico, Solidaria43 e Giulia Iacolutti.

25 Novembre 2014 - 11:07

140923 - GiuliaIacolutti_messico_0578Messico, Ayotzinapa: la responsabilità è dello Stato
di Roberta Granelli

Fue el Estado!” Ripetono i manifestanti, i collettivi, le organizzazioni, “Fue el Estado!” è il grido che accomuna tutte le persone che il 20 novembre, sono scese ancora in piazza per manifestare l’indignazione, la rabbia, per chiedere giustizia ad uno Stato che non solo non difende i propri cittadini e cittadine ma che usa sistematicamente la violenza contro di essi. Il 26 settembre scorso un gruppo di ragazzi provenienti dalla scuola Normal Rural “Raul Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Stato di Guerrero, sono stati fatti sparire mentre raccoglievano fondi per partecipare alla manifestazione del 2 di ottobre a Città del Messico. In un confronto diretto con la polizia locale sei di loro sono morti (alcuni dei corpi sono stati ritrovati con brutali segni di tortura), diciassette sono stati feriti e quarantatre sono scomparsi.
Il 7 novembre il Procuratore della Repubblica Jose Murillo Karam ha dato l’annuncio che i ragazzi desaparecidos sarebbero stati consegnati dalle forze di polizia locali al gruppo dei narcotrafficanti “Guerreros Unidos” per farli sparire; questi li avrebbero uccisi e ne avrebbero bruciati i corpi per poi seppellirli in una delle numerose fosse disseminate sulle montagne della zona. Lo stesso Procuratore peró non ha mai affermato che i resti trovati nelle fosse appartenessero ai ragazzi scomparsi, slegando ogni responsabilità statale dai fatti avvenuti: “Iguala non è lo Stato”.  La vicenda, per le istituzioni, si è conclusa con l’arresto del sindaco di Iguala, José Luis Abarca, della moglie María de los Ángeles Pineda e dei tre sicari rei confessi, nessun altro responsabile né indagato.
Le affermazioni che invece provengono dai genitori dei ragazzi scomparsi e dalla societá civile sono opposte: la responsabilità è dello Stato, il legame tra le istituzioni ed i narcos è evidente. I famigliari non accetteranno i risultati delle indagini fino a quando non ci saranno prove certe che i resti siano quelli dei loro figli, fino a quel momento la richiesta rimane la restituzione con vita dei quarantatre desaparecidos.
Come afferma il Generale Gallardo in un’intervista rilasciata a Federico Mastrogiovanni per il periodico Variopinto[1] il rapimento “È stata una manovra militare […] Non è stata omissione, l’Esercito è complice”.
Le Escuelas Normales Rurales sono istituti che sorgono negli anni venti a seguito della Rivoluzione messicana e che si sviluppano su cinque assi tematici di cui uno è quello politico. I loro studenti hanno un forte legame con il territorio, appartengono alla classe campesina e saranno i futuri maestri delle comunità indigene. Lo studio e la vita in collettività e condivisione hanno permesso che gli studenti sviluppino una forte coscienza della loro condizione di emarginazione e al contempo che lottino per la loro autodeterminazione. Per questi motivi gli alunni e le alunne di queste scuole sono da sempre sotto attacco governativo, non è la prima volta che la repressione li/e colpisce, anche attraverso la sospensione di finanziamenti.
La pratica della desaparición forzada applicata contro i ragazzi è uno strumento che viene utilizzato in maniera sistematica dal governo messicano per far scomparire tanto le persone politicamente scomode quanto semplici appartenenti alla società civile, come monito. In Messico, ad oggi, non mancano solo i quarantatre normalistas, si contano circa 30 mila persone scomparse.
Alle manifestazioni di questi ultimi due mesi circa, alla rabbia e alle rivendicazioni delle famiglie dei quarantatre studenti si sono uniti: i gruppi femministi ed lgbti per ricordare come anche i femminicidi e le sistematiche sparizioni di donne e bambine siano un crimine di Stato; i gruppi in difesa della terra e contro gli espropri come quello di San Salvador Atenco; i vari collettivi e associazioni studentesche ed universitarie per il diritto all’istruzione pubblica, gratuita e di qualità.
E’ importante sottolineare come il Messico non sia uno Stato fallito ma che, per attuare le proprie politiche neoliberiste, elimina, desaparece (fa scomparire) e reprime chiunque si opponga ad esse, mantenendo uno stretto legame con il crimine organizzato.
¡Vivos se los llevaron vivos los queremos!

> Le fotografie © Giulia Iacolutti:

https://www.flickr.com/photos/zicphoto/sets/72157647129883973/show/

> Il video di Solidaria43 e Collettivo Italia Messico

> Il comunicato di Solidaria43 e Collettivo Italia Messico

“Vivos se los llevaron, vivos los queremos!
Manifestazione del 20 novembre a Città del Messico”

Il 20 Novembre 2014, si è concluso in una manifestazione oceanica a Città del Messico il giro delle 3 carovane dei familiari dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa (scomparsi il 26 settembre). Le tre carovane hanno percorso il paese a Nord, Centro e Sud, sensibilizzando e incontrando altre realtà in lotta, fra cui l’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) in Chiapas.

Durante la mattinata un gruppo di circa 600 manifestanti ha tentato di bloccare gli accessi all’aeroporto internazionale Benito Juarez del Distrito Federal. Gli scontri con i 1500 elementi di polizia schierati in assetto antisommossa, non si sono fatti attendere. La polizia ha accerchiato il corteo, togliendo ai manifestanti ogni possibilità di fuga. Grazie all’intervento di una associazione per i diritti umani i dimostranti sono stati poi scortati fino a piazza Tlatelolco, da dove partiva una delle manifestazioni del pomeriggio. Sedici di loro, tuttavia, sono stati tratti in arresto.

Alle 5 del pomeriggio i manifestanti hanno cominciato a concentrarsi in tre diversi punti della città, per formare tre cortei guidati dalle carovane dei familiari e compagni dei 43 normalistas. Il movimento studentesco si è dato appuntamento a Piazza delle tre culture di Tlatelolco, già tristemente nota per il massacro del 2 Ottobre del 1968. Al Ángel de la Independencia si sono radunate a migliaia le associazioni della società civile tra cui i vari movimenti femministi contro il femminicidio di Stato e il movimento LGBTI, ma anche rappresentanze dei vari movimenti indigeni, spezzoni delle Normali Rurali e gruppi dalla resistenza di Atenco che hanno manifestato a cavallo brandendo Machetes, simbolo della resistenza contadina. Il terzo corteo è invece partito dal Monumento de la Revolución ed è da segnalare la presenza e la solidarietà dei gruppi di EZLN aderenti alla Sexta.

I tre cortei, che hanno marciato riempiendo tre avenidas principali della città, hanno iniziato a confluire nella grandissima piazza de la Costitución (Zócalo) riempiendola a flusso continuo per ben 4 ore; una parte consistente del corteo non era ancora riuscita a raggiungere la piazza quando la polizia ha eseguito l’ordine di sgombero violento.

Nella piazza gremita del Zócalo, alle 19.30 circa, gli studenti della UNAM (Universidad Nacional Autonoma de México) hanno dato fuoco ad un effige del presidente Peña Nieto al grido “Dimissioni, Assassino”. Dal palco hanno parlato i familiari delle vittime di Ayotzinapa e di tutte le altre stragi commesse dal NarcoEstado riempiendo la piazza di una vibrante coinvolgimento

Circa alle 21 alcuni spezzoni del corteo hanno nuovamente assaltato la porta del Palazzo Nazionale, come lo scorso 8 Novembre, inizialmente sguarnito di forze dell’ordine. La situazione si è fatta tesa quando, in perfetta coerenza con l’annuncio di Peña Nieto di voler reprimere il movimento, i granaderos (polizia antisommossa) hanno fatto irruzione nella piazza entrando dalle vie laterali e uscendo dal palazzo a protezione dello stesso. Dopo il lancio di alcuni fumogeni e l’utilizzo di idranti, la polizia ha attaccato violentemente i manifestanti, sgomberando lo Zócalo con un impeto e una ferocia inaudita, schiacciando gli ultimi rimasti in piazza contro gli edifici di fronte al Palazzo Nazionale, continuando a manganellarli. Il bilancio è di circa 20 arrestati (anche se le cifre esatte sono difficili da reperire) e un numero imprecisato di feriti, che non si dichiarano per paura di persecuzioni. Durante il corteo sono state usate tecnologie repressive come droni in grado di scattare 10.000 foto al minuto e proiettili di gomma.

Denunciamo questo atto repressivo come culmine delle violenze degli ultimi giorni. Molti compagni del movimento sono stati minacciati di violenza fisica e desaparición, sono stati eseguiti arresti dentro l’universitá e la polizia in borghese ha sparato di fronte alla facoltà di filosofia contro i compagni dello spazio occupato, ferendone due. Altri sono stati processati e celermente condannati alla detenzione, ci possiamo aspettare che gli arresti di ieri portino a processi e condanne ugualmente sommarie.

Segnaliamo l’altra faccia della repressione, quella mediatica, che mira, come sempre, a dividere il movimento tra buoni e cattivi. Le dichiarazioni del Presidente Peña Nieto sono sconcertanti: fa infatti riferimento alla difesa da parte dello Stato del sacrosanto diritto a manifestare “preso in ostaggio dai violenti”. Queste sono state accompagnate dalle dichiarazioni del Segretario per la Sicurezza Pubblica del Distretto Federale, Jesús Rodríguez Almeida, secondo il quale le forze dell’ordine hanno dovuto difendersi dagli attacchi diretti alla loro vita da elementi che odiano “insensatamente” le istituzioni dello stato.

Gli attacchi repressivi dello Stato messicano non fermano il movimento. Durante le assemblee preparatorie al corteo hanno preso la parola alcuni compagni normalistas della carovana del Sud i quali hanno confessato che quando sono partiti con le carovane pensavano di incontrare nel paese un movimento in via di scioglimento. Ciò che hanno incontrato e quello che abbiamo visto tutti alla manifestazione di ieri è invece un movimento in costruzione, sempre più indignato e sempre più arrabbiato, in cui si stanno incontrando e articolando molte istanze e rivendicazioni contro il NarcoStato, consapevole che i desaparecidos e le vittime dei vari governi messicani collusi con il crimine organizzato non sono solo quarantatre, e che la strategia del terrore in atto è parte del progetto neoliberale ora rappresentato dalle riforme strutturali in campo.

La sfida da affrontare adesso per il movimento è trovare un’articolazione che permetta di tenere unite le sue varie anime, tra cui la tristemente classica distinzione tra chi vuole manifestare nel rispetto totale delle leggi e chi è per attuare anche azioni dirette e contundenti.

Vogliamo gridare a piena voce che il caso di Ayotzinapa, e tutti gli altri massacri degli ultimi anni, non sono opera di qualche mela marcia tra le forze dell’ordine, di gruppi paramilitari fuori controllo o di uno Stato fallito. Si tratta, invece, come nel caso della brutale repressione di questi mesi, di pratiche di potere perfettamente normali e consuete, ufficialmente legali o criminali, utilizzate sia in maniera diretta che indiretta dallo Stato nella difesa degli interessi dell’ordine capitalista e come contrasto alle resistenze popolari. Ribadiamo che le pratiche di repressione, massacro, rapimenti e intimidazioni sono dispositivi che partecipano a una stessa strategia ora applicata alla realizzazione delle riforme neoliberali definite dal Pacto por México.

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