Attualità

M.O.: la Guerra dell’acqua

Pubblicato martedì 27 ottobre, uno studio di Amnesty International rileva come la disparità nell’accesso all’acqua nella regione medio-orientale rimanga una delle cause maggiori della situazione di sottomissione del popolo Palestinese.

29 Ottobre 2009 - 19:42

Secondo il rapporto della ONG, Israele ha un controllo pressochè totale delle falde acquifere, in particolare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.
In Cisgiordania, circa l’80% dell’acqua proveniente dalle fonti di montagna, unica risorsa idrica della regione, viene utilizza dalla Stato Ebraico, lasciando solo il 20% ai Palestinesi.
“Sebbene disponga di altre fonti di approvvigionamento, Israele usa di fatto quasi tutta l’acqua disponibile del fiume Giordano” – dice Amnesty.
La situazione per i Palestinesi è aggravata dalla costante riduzione del bacino del Giordano, sfruttato, oltre che da Israele, anche da Siria, Libano e Giordania; l’utilizzo intensivo del fiume allo stesso tempo porta alla sua contaminazione, rendendo pericolose per la salute le restanti acque non trattate.

Nel rapporto viene calcolato che il consumo pro capite per i Palestinesi è di appena 70 litri al giorno (quando l’OMS fissa a 100 litri la soglia raccomandata), mentre raggiunge i 300 litri pro capite al giorno per gli Israeliani.
In alcune zone rurali, la media palestinese ri ridurrebbe fino a 20 litri pro capite giornalieri.

Donatella Rovera, autrice del rapporto, aggiunge che tra i 180.000 e i 200.000 Palestinesi vivono da quarant’anni in comunità in cui ancora oggi non vi è accesso all’acqua corrente: “in violazione del diritto internazionale, i coloni israeliani ricorrono all’irrigazione intensiva per le proprie colture”.
In questo modo “i circa 450.000 coloni israeliani utilizzano, se non di più, almeno altrettanta acqua che l’insieme della popolazione palestinese, stimata oggi sui 2,3 milioni di persone” – continua il rapporto.

Una buona parte del rapporto è dedicata alla situazione di Gaza, dove la carenza d’acqua è a livelli critici dopo l’ultimo attacco dell’esercito israeliano.
L’unico approvvigionamento idrico della Striscia è costituito ormai dalle acque costiere, poichè Israele non ne permette il traferimento dalla Cisgiordania.
Ma le acque della costa di Gaza, oltre ad essere contaminate al 90% ed essendo pertanto fonte di malattie e epidemie, sono state rese inaccesibili dal blocco marittimo che Israele ha imposto dall’ultimo attacco alla Striscia; fatto portato al clamore della cronaca internazionale per l’arresto del giornalista e attivista Vittorio Arrigoni, arrivato a bordo di un cargo umanitario e ripartito molte settimane dopo il previsto grazie alle pressioni internazionali sulle autorità israeliane che ne avevano imposto il fermo in porto.

Le Autorità Israeliane hanno reagito al rapporto in modo tecnico, contestando le cifre fornite da Amnesty, ma non mettendo in questione in alcun modo la realtà del fenomeno.
In particolare, la Water Autority israeliana ha tenuto a correggere i dati sul consumo pro-capite giornaliero, “svelando” che esso consiste in “408 litri al giorno” per gli Israeliani (mentre Amnesty parla di 300) e in “almeno 200 litri” per i Palestinesi, rivendicando anche il fatto che il consumo israeliano sia diminuito del 70% dal 1967, mentre quello dei Palestinesi è cresciuto in portata da 85 a 105 m³.

La Guerra dell’acqua resta ancora uno dei principali mezzi per il mantenimento del controllo israeliano sui Territori Occupati, oltre che leva diplomatica da usare nei prossimi (eventuali) accordi di Pace.

d.g.