Acabnews Bologna

L’officina degli sfollati [foto]

Abbiamo visitato il capannone di via del Milliario, dove il Comune ha posteggiato le famiglie che hanno perso la casa nel rogo di via Cesare Battisti.

02 Luglio 2013 - 10:58

A chiamarci è stata Angela, una signora bolognese che, fino a qualche anno fa, riponeva molto fiducia sulla sensibilità sociale dell’amministrazione comunale. In questi giorni, suo malgrado, ha toccato con mano lo stato in cui vivono le famiglie sfollate dopo l’incendio in via Cesare Battisti. Non si capacita del disinteresse e dell’indifferenza con cui gli amministratori pubblici della nostra città affrontano il problema di quei poveracci che nel rogo della settimana scorsa hanno perso tutto: soldi, documenti, vestiti, mobili e tanti ricordi di vite non semplici già da prima.

Conosceva i componenti di una delle famiglie rimaste senza casa. Il padre, egiziano, la moglie rumena e i tre figli. L’uomo, di nome Rami, il giorno dell’incendio, si è prodigato nel mettere in salvo il maggior numero di persone possibili ed è ancora molto scosso dal drammatico episodio. Il nucleo famigliare, prima di essere alloggiato con le altre famiglie in un capannone di via del Milliario, le ha lasciato in custodia un piccolo cane, perché nella struttura non si possono tenere animali.

Angela ha cominciato, così, a frequentare la “Officina Sociale” dell’ASP Poveri Vergognosi, utilizzata fino a poco tempo fa per ospitare profughi dell’emergenza Nord Africa. Si è resa conto di come fosse inadeguata per ospitare donne, bambini e uomini in una situazione di forte promiscuità.

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E’ rimasta allibita dalle parole dell’assessora al Welfare Amelia Frascaroli: «Non è che essendosi verificato un incidente del genere si acquisiscono diritti»… «non sarebbe giusto coprire noi, con risorse pubbliche, una situazione che ha responsabilità private»… «non abbiamo case da mettere a disposizione».

Ha così constatato direttamente come quelle persone che avevano perso tutto fossero state messe di malavoglia dal Comune di Bologna in un luogo assolutamente inadatto. Ha visto la solitudine quasi assoluta in cui si sono trovate. Funzionari e assistenti sociali sono spariti, solo alcuni volontari, una volta al giorno, portano un pentolone di pasta. Del resto, quella è l’unica cosa che mangiano nell’arco della giornata, anche perché è vietato cucinarsi qualcosa. D’altronde uno spazio per cuocere le vivande non c’è, così come non ci sono le attrezzature necessarie.

Angela, domenica scorsa, ha comprato nove polli arrosto e ha fatto una spesa di 100 euro al supermercato, ma una persona che ha lo stipendio da lavoratrice dipendente non si può accollare la sussistenza di una trentina di persone, prive di ogni mezzo per tirare avanti.

Poi, quando ha sentito che, dal prossimo giovedì, i bambini più piccoli (c’è n’è anche uno di cinque mesi) e le loro mamme verranno fatti uscire dall’albergo popolare di via del Pallone e portati in via del Milliario, le è salita tutta la rabbia che aveva in corpo, schifata dal menefreghismo di Palazzo d’Accursio.
Di quello stabile di via Cesare Battisti e delle sue condizioni di precarietà e insicurezza il Comune ne era a conoscenza fin dal 1986. C’erano state numerose verifiche della Polizia Municipale, segnalazioni alla magistratura, erano stati emessi anche dei provvedimenti amministrativi da parte degli uffici comunali.
Perché il padrone di quei tuguri, un tale Carlo Giovetti, ha potuto continuare ad affittare, spesso in nero, alloggi non a norma, dove non venivano rispettate le norme minime di sicurezza, soprattutto per gli impianti elettrici? Tutto questo è successo in pieno centro a Bologna, a poche decine di metri dalla Questura, a cento passi da piazza Maggiore, dove c’è il Comune, che, per una situazione del genere, ha le sue responsabilità e non se ne può lavare le mani come vorrebbe fare la Frascaroli. Del resto, diverse delle famiglie erano in graduatoria Erp, anche con punteggi alti, e aspettavano da tempo l’assegnazione della casa popolare.

Per queste ragioni, Angela ci ha chiamato e ci ha fatto da guida nella visita al capannone di via del Milliario. Siamo arrivati verso le cinque del pomeriggio, c’erano solo donne e un bambino. Gli uomini erano al lavoro. Il posto era tenuto con dignità. Nei cinque box privi di porte sono state attaccate delle coperte, per avere un po’ di intimità. Alcuni tavoli da “festa della birra”, con le relative panche, riempiono un immaginario “spazio mensa” privo di alimenti. E’ il luogo della socialità dove si sta a far niente nelle ore in cui non si dorme. Una signora molto anziana ci fa vedere un polso gonfio ed emaciato, probabilmente rotto. Soffre in silenzio, guardandoci in volto, con stampato sulle labbra un sorriso tristissimo. Le donne più giovani sono quelle più combattive ed incazzate. Non capiscono il perché di un simile trattamento. Ci chiedono di far qualcosa per aiutarle. Ci fanno vedere che, allo stesso numero civico del capannone, dal 28/2 al 28/4, ci sono alcune palazzine con diversi alloggi vuoti. E loro devono vivere in quelle condizioni, non dignitose per degli esseri umani.

In questi anni abbiamo sentito parlare, molto spesso e a sproposito, di degrado. Ma il vero degrado di Bologna è quello che abbiamo descritto in queste righe. Sono i Carlo Giovetti e i Marzaduri (il mister residence della Bolognina), sono gli spacciatori di tuguri ad affitto in nero che si sono arricchiti per decenni con la compiacenza dei poteri pubblici della città. Sono le case vuote (pubbliche e private) che sono aumentate insieme ai tanti che la casa non ce l’hanno o l’hanno persa perché non ce la facevano a pagarla, per via della crisi e della precarietà. Il degrado è l’arroganza e l’insensibilità di una classe politica che ha trasformato la guerra alla povertà in guerra ai poveri, con politiche sociali tese a scoraggiare le persone
 in difficoltà, con una maggiore rigidità nell’accesso ai servizi e i tagli indiscriminati.

Il degrado è il processo di regressione che, anche a Bologna, ha fatto perdere le ragioni fondamentali del legame civile e il disastro sociale che questo ha provocato.