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Lesioni e malattie professionali per i lavoratori, inchiesta sul magazzino della Coop

Avviso di fine indagine per Centrale Adriatica, 11 suoi dirigenti e sei medici. Coinvolta anche l’attuale amministratrice delegata di Fico Eataly World. L’accusa è di aver omesso di valutare adeguatamente il rischio da sovraccarico biomeccanico.

04 Aprile 2017 - 10:22

Hanno lavorato per anni nello stabilimento di Anzola dell’Emilia di Centrale Adriatica, la cooperativa che gestisce la logistica per i punti vendita Coop, sviluppando tendinopatie e lesioni lacerative dei tendini, ernie, sindromi del tunnel carpale, artrosi. Sono alcune delle patologie, riscontrate da un folto gruppo di magazzinieri, su cui si basa un’inchiesta della Procura di Bologna che ha portato alla notifica di un avviso di fine indagine (a cui solitamente segue una richiesta di rinvio a giudizio) a carico di 11 dirigenti, sei medici e Centrale Adriatica in quanto società. Tra i manager, il nome più in vista è quello di Tiziana Primori, dirigente di alto livello del mondo Coop e attuale amministratrice delegata di Fico Eataly World: rientra nell’inchiesta per essere stata
vicepresidente e componente del Comitato esecutivo di Centrale Adriatica dal 2009 al 2013. Proprio il magazzino di Anzola, negli anni scorsi, è stato teatro di prolungate e dure vertenze da parte dei facchini.

Nell’atto firmato dalla Procura di Bologna si parla di negligenza, imprudenza ed imperizia con la contestazione di reati riguardanti diversi episodi di lesioni colpose gravi, aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica, con conseguenti malattie professionali. In relazione a questi reati, in base al Codice sulla responsabilità amministrativa delle società, l’avviso di fine indagine è stato indirizzato anche alla Centrale Adriatica.

Figurano come persone offese 57 magazzinieri  (39 donne e 17 uomini) della cooperativa, precendetemente dipendenti del Consorzio interregionale cooperative di consumo (Cicc), incorporato in Centrale Adriatica dal 2008. Le prime diagnosi finite sotto la lente dei magistrati risalgono al 1995 e in molti casi i lavoratori coinvolti si sono anche sottoposti ad interventi chirurgici. Secondo l’accusa, la coop ha omesso di valutare adeguatamente il rischio da sovraccarico biomeccanico a cui erano esposti i lavoratori addetti alle attività di “picking” (cioè di prelievo dal magazzino) e di movimentazione delle merci. Inoltre, gli indagati sono accusati di non aver adottato misure preventive, protettive ed organizzative idonee a impedire o anche solo ridurre la portata del rischio da sovraccarico. Sarebbe mancata anche un’adeguata sorveglianza sanitaria. In questo modo, i magazzinieri hanno svolto quotidianamente e per anni un’attività di movimentazione manuale dei carichi con modalità tali da provocare le malattie professionali. Inoltre, anche dopo il manifestarsi delle malattie, la coop ha fatto sì che le persone interessate continuassero a lavorare in maniera pressochè identica. Secondo la Procura, queste condotte sono state messe in atto nell’interesse di Centrale Adriatica, che dunque viene chiamata in causa per la responsabilità amministrativa, visto che la coop avrebbe ottenuto una riduzione dei costi di lavorazione: in particolare, si sarebbero registrati risparmi di spesa sulla formazione dei lavoratori, sulla sorveglianza sanitaria, sugli interventi organizzativi e tecnici, sugli investimenti per aggiornare le misure di prevenzione, generando maggiori utili rispetto a quelli realizzabili attraverso il rispetto della normativa antinfortunistica. A detta degli inquirenti, solo a partire dal giugno 2014 sono state adottate alcune procedure di movimentazione ritenute migliorative: attività che non implicano un impegno economico specifico e che secondo la Procura potevano e dovevano essere adottate in tempi notevolmente antecedenti.

Infine, c’è il capitolo riguardante i sei medici aziendali. A fronte di oltre un centinaio di denunce di malattia professionale presentate dai lavoratori, sono accusati di aver omesso di trasmetterle contribuendo così a non far emergere il rischio da sovraccarico. Da parte dei medici, poi, non è risultata un’effettiva partecipazione e collaborazione (come richiede la legge) alle attività necessarie a predisporre le misure a tutela della salute e relative alla formazione e informazione dei lavoratori.

Dopo la diffusione della notizia sugli avvisi di fine indagine, Centrale Adriatica ha dichiarato che il processo sarà l’occasione per dimostrare la “correttezza del proprio operato di quello di tutte le persone coinvolte”, assicurando di “avere a cuore la salute dei propri lavoratori e di applicare in modo stringente le normative e i regolamenti vigenti”. Secondo l’azienda, inoltre, nello stabilimento di Anzola c’è un’anomalia riguardante un’incidenza di malattie professionali superiore alla media rispetto agli altri magazzini targati Centrale Adriatica.