Culture

“Leggi forte”: scrittrici e scrittori che hanno sempre scelto da che parte stare

In occasione di “Contrattacco – Festival di letteratura sociale” (da domani a domenica a Vag61), opuscolo prodotto dal CentroDoc Lorusso-Giuliani (“I parlamentari europei che hanno votato la risoluzione che equipara nazismo e comunismo di libri ne hanno letti pochi”) insieme alla mostra “La falce e martello sui muri”.

14 Novembre 2019 - 16:28

“I fascisti i libri li bruciavano, tanti comunisti e tante comuniste i libri li hanno scritti… i parlamentari europei che hanno votato la risoluzione che equipara nazismo e comunismo di libri ne hanno letti pochi, soprattutto di storia”. Con questa premessa il Centro di documentazione dei movimenti “Francesco Lorusso – Carlo Giuliani” di Bologna ha prodotto un opuscoletto, dal titolo “Leggi forte”, dedicato alle scrittrici e agli scrittori “che hanno sempre scelto da che parte stare”: scarica il pdf. La pubblicazione avviene in occasione della seconda edizione di “Contrattacco – Festival di letteratura sociale”, che si svolgerà a Vag61 da domani a domenica. Il festival, organizzato da Vag61 e Edizioni, propone “tre giorni di nuovi inizi. Tre giorni di libri, anteprime, incontri, progetti, di incursioni teatrali e musicali, di cucina sociale e di socialità ben cucinata. Tre giorni per parlare di libertà, razzismo, antifascismo, punk, femminismo, di diavolo e altre cose innominabili. Di sinistra, destra, di sovranismo e populismo, decoro, gentrificazione. Di apocalisse e di ambiente, di rivolta e libri. Di pane e rose. Passeranno al Contrattacco: Marie Moise, Marta Panighel, Mujeres Libres, Sabrina Marchetti, Antar Mohamed, Filo Sottile, Selene Pascarella, Girolamo De Michele, Wu Ming 1, Mauro Vanetti, Wolf Bukowski, Sarah Gainsforth, Valerio Monteventi, Dj Ilic, Giulio Calella, Gaia Benzi, Lorenzo Zamponi, Andrea Ghelfi, Venice Climate Camp, Maysa Moroni, Giuliano Santoro, Cox18, Cande Marzinotto…”.

A questa iniziativa il CentroDoc contribuisce anche con l’allestimento della mostra “La falce e martello sui muri”, pensata come reportage sui “vecchi graffiti di lotta del fotografo Giorgio Bergami, prima che l’antico simbolo del movimento dei lavoratori venisse catalogato come una delle tante tag del cosiddetto ‘vandalismo grafico'”. Si parte da “una storia di altri tempi”, scrive il CentroDoc presentando la mostra: “Non sappiamo in quanti di voi abbiano avuto la fortuna di avere un nonno comunista, chi in questa circostanza si è imbattuto, si ricorderà come il si divertisse a prendere il nipotino o la nipotina sulle ginocchia per poi raccontare una storia, a dir la verità, un po’ strana. Era la storia di una giovane bracciante che, ogni giorno, sotto il sole rovente, si spezzava la schiena tagliando una volta l’erba, una volta il grano. Nello stesso paese abitava un ragazzone alto e grosso che faceva il fabbro. Con il martello ci sapeva fare e lo batteva sempre sull’incudine, piegando il ferro con abilità. Un giorno si ritrovarono in strada, con loro c’erano altri operai e altri contadini. Tutti insieme decisero di dire basta a chi si stava riempendo le tasche sul loro lavoro. Quei due ragazzi si scoprirono, per caso, alla testa di tutti gli altri. In mano avevano la falce e il martello, i loro arnesi da lavoro. Senza saperlo divennero il simbolo degli sfruttati e degli oppressi. Al martello diedero l’incarico di percuotere gli oppressori e di mettere in soggezione la fatica umana. La falce, invece, divenne lo strumento per tagliare le radici del vecchio mondo e aprire nuovi orizzonti. L’incrocio di questi due attrezzi divenne il simbolo dell’unità del proletariato. Portava con sé il peso di tante storie di oppressione e di sfruttamento, ma era un segno potente, carico di futuro”.

Prima del 1917, “i socialisti italiani ricorrevano ad altri simboli. Agitavano la bandiera rossa e, all’interno di questa, ricamavano nel più curioso disordine i soli nascenti, le vanghe, i martelli, i rastrelli, le falci, le spighe di grano, i compassi, le fiaccole e le spade, ma mai la falce e il martello incrociati nel modo in cui ora siamo abituati a vederli. Tutto ciò è dimostrato da giornali, almanacchi, manifesti, raccolte di bandiere. Da anni stiamo cercando invano una falce e martello incrociati anteriori al 1918. C’è qualcuno capace di trovarli?”, continua la presentazione. “E la rivoluzione industriale? Così come Maometto, in vita sua, non vide né disegnò mai una mezzaluna su un drappo, allo stesso modo Karl Marx non ebbe mai la possibilità di dare un’occhiata al simbolo comunista per antonomasia, la falce e il martello. Probabilmente l’avrebbe trovato fuori luogo. Una falce, un martello, nel pieno della seconda rivoluzione industriale? Nell’era della fabbrica, dell’ingranaggio, all’alba elettrificata della catena di montaggio? A noi Carlone piace immaginarlo mentre straccia i bozzetti: ‘Non va, non va. Ci vuole qualcosa di più industriale, siamo nell’Ottocento, perdio'”. Ma la storia è storia, scrive ancora il CentroDoc: “Il colore rosso si era già visto in Russia nel XVII secolo, durante le sommosse contadine, ed era riapparso in Francia in occasione dei moti operai di Lione nel 1834; il notissimo simbolo della falce e martello rappresentava il lavoro dei proletari, dei contadini e degli operai, la stella a cinque punte simboleggiava le cinque parti del mondo unite nel comunismo. E come fare per il comunismo libertario? Il vero problema è che il simbolo della falce e martello nella storia del Novecento è stato ampiamente abusato. Purtroppo i soldati che sparavano contro i marinai di Kronstadt avevano le bandiere con la falce e martello. Era una grande falce e martello quella che presenziava ai processi di Mosca del ‘36. Ed è sotto questo stesso simbolo che la Cina sfrutta gli operai non meno del più spietato Paese liberista. La falce e martello, occorre dircelo, non sempre ha mantenuto la promessa di simboleggiare un avvenire di riscatto sociale e di eguaglianza. Quindi, forse è per questo che, al posto di quella del simbolo di Stato, abbiamo sempre preferito quella ‘abusiva’, tracciata con la vernice su ogni tipo di muro, a volte un po’ scrausa e sgraziata, probabilmente di scarso valore estetico, ma sicuramente senza uguali per il suo valore umano”.