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Legge Salvini, per gli operatori “situazione drammatica”

L’8 marzo sarà sciopero e i i lavoratori del settore andranno a bussare alle porte di Legacoop e Regione. Adl Cobas: “Contro le politiche razziste, xenofobe e sessiste di questo Governo e per dare dignità al lavoro nel sociale”.

03 Marzo 2019 - 14:15

Operatori sociali pronti allo sciopero, a livello regionale, “contro le politiche razziste, xenofobe e sessiste di questo governo e per dare dignità al lavoro nel sociale”. Per quelli che lavorano nel settore dell’accoglienza, in particolare, “la situazione è molto drammatica”, ma sono molteplici le difficoltà denunciate e le rivendicazioni avanzate da questi lavoratori. In vista dell’8 marzo, è l’Adl Cobas a fornire un quadro della situazione. “Adl Cobas e i collettivi di lavoratrici/ori del sociale della regione Emilia-Romagna aderiscono attivamente allo sciopero globale femminista dell’8 marzo, promosso da Non Una Di Meno, lanciando uno sciopero regionale con presidio sotto Legacoop e Regione in mattinata, in costante collegamento con ‘Sciopero femminista globale: 8 marzo a Bologna’ in piazza Maggiore lanciato da Nudm Bologna, per poi partecipare alle iniziative delle città dell’Emilia Romagna nel pomeriggio. Crediamo che portare questa specifica vertenza nella giornata di Nudm, che vuole essere uno sciopero politico, dal lavoro, dallo sfruttamento e dal lavoro riproduttivo, sia doveroso, vista anche la particolarità della vertenza che riguarda i lavoratori e le lavoratrici del terzo settore. Si parla di chi opera nei servizi pubblici (sempre più esternalizzati) nell’ambito dell’educazione, del sanitario e dell’integrazione. Lavoratrici e lavoratori regolati da un Ccnl in attesa di rinnovo da ormai 7 anni, bloccato quindi sia dal lato economico e, soprattutto, dal lato dell’organizzazione del lavoro: invece di tutelare e sostenere chi opera in questo settore, creando quindi più attenzione e maggiore qualità per chi ne trae beneficio, ci si trova davanti un tentativo di smantellamento e di continuo ricatto della categoria”.

Scrive ancora l’Adl – che ha organizzato pullman da Parma, Reggio Emilia e Rimini – insieme alle altre sigle coinvolte, come Eduki-Collettivo educatrici educatori Reggio Emilia e Rete educatori/educatrici Rimini: “L’8 marzo saremo sotto la sede di LegaCoop a Bologna per denunciare che questo Ccnl è ormai obsoleto, dove gli straordinari non vengono pagati tramite l’uso selvaggio della banca-ore, dove non vi è un riconoscimento della maternità al 100% e dove la flessibilità fa da padrona a discapito delle lavoratrici/ori. I tavoli di rinnovo, in atto ormai da più di un anno, sono portati avanti dai sindacati confederali, e a lavoratrici/ori non è dato sapere quale sia la piattaforma sulla quale si basa la trattativa, per questo in occasione dello sciopero esporremo la piattaforma che insieme a Renos (Rete nazionale operatori sociali, ndr) e Adl Cobas e Sial Cobas da settembre stiamo portando avanti, attraverso assemblee con lavoratrici e lavoratori che hanno deciso di non stare a guardare ma di migliorare le proprie condizioni di lavoro. Ma crediamo che il nostro interlocutore non possa essere solo Legacoop. Ci deve essere anche una presa di posizione netta e chiara da parte delle istituzioni, e per questo saremo anche sotto la sede della Regione Emilia Romagna, per parlare di altri due grandi tematiche che riguardano il settore: la legge ex-Iori e le/gli operatrici/ori dell’accoglienza che con la legge 132 si ritroveranno senza occupazione. La legge Ex-Iori richiede la qualifica di educatrice/ore per operare in determinati servizi, e crediamo in percorsi che diano maggiori strumenti per aumentare la qualità dei servizi stessi, ma allo stesso tempo riteniamo inaccettabile che dopo anni di esperienza per poter mantenere il posto di lavoro si venga obbligati a sostenere costi che vanno dai 600 euro ai 1800 euro a carico esclusivo di lavoratrici/ori e che le ore di formazione siano quasi tutte extra lavoro. In questo modo gli unici a trarne benefici consistenti sono le università che fanno cassa rilasciando i 60 cfu necessari per acquisire il titolo. La Regione può attivarsi, reperendo risorse economiche anche tramite i fondi sociali europei per la formazione, togliendo l’aggravio economico che non tutti le lavoratrici/ori del settore possono permettersi. Inoltre chiediamo un impegno della Regione a garantire i posti di lavoro a quelle lavoratrici/ori che non riescono, nei 3 anni di tempo dati dalla legge, ad accedere ai crediti formativi e si trovano espulsi dal settore nel passaggio dei nuovi appalti dove viene richiesto il titolo”.

Continua il comunicato: “Per chi opera invece nel settore dell’accoglienza la situazione è molto drammatica. A seguito della trasformazione in legge del ‘Decreto Sicurezza’, che già ha moltissime ricadute negative sui territori, si parla di migliaia di posti di lavoro che andranno a scomparire. Infatti nei nuovi capitolati vengono ridotti i costi e le ore dell’operatrice/ore all’interno dei Cas vengono dimezzate, se non ridotte al minimo come per gli accompagnamenti sanitari e di assistenza legale. In più i posti all’interno del sistema dell’accoglienza per gli stessi richiedenti asilo verranno tagliati, e di conseguenza migliaia di persone verranno espulse dai percorsi di integrazione, spingendole di fatto nella clandestinità, e alimentando le baraccopoli di senza diritti che vediamo aumentare in ogni città, facendo la fortuna dei caporali e delle organizzazioni mafiose che cosi hanno abbondanza di schiavi da poter sfruttare. Riteniamo indispensabile una presa di posizione della Regione nell’attivarsi in tempi rapidi per un tavolo istituzionale insieme con operatrici/ori dell’accoglienza, e le centrali cooperative per individuare risorse che possano far continuare progettualità in autonomia rispetto al Governo, per ridurre drasticamente la perdita di posti di lavoro e proseguire con progetti di integrazione verso i beneficiari, limitando così ricadute sul territorio. L’8 marzo si sciopera per questo e perchè crediamo e lottiamo per una società in cui ci siano reali diritti universali, il cui rispetto non debba dipendere dal genere, dal reddito o dal luogo di nascita. Perchè i lavori di cura, assistenza e di educazione vedono una grande prevalenza di lavoratrici donne, e l’ampliamento e il rispetto dei diritti e la lotta a qualsiasi forma di violenza (fisica, culturale e strutturale) di genere, si realizza anche attraverso il miglioramento delle condizioni professionali e della professionalità delle lavoratrici. Perchè bisogna dare un segnale chiaro a questo governo e alla società civile tutta, sulla nostra contrarietà al d.d.l. Pillon. Perchè non si chiedono privilegi ma diritti. Diritti e possibilità di autodeterminazione, per tutti”.