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Le transfemministe precedono i ‘pro-life’, respinta la preghiera antiabortista

Mujeres Libres: “Degli antiscelta non ne possiamo più, non vogliamo vederli fuori dagli ospedali e soprattutto dentro: al Sant’Orsola obiettori 7 medici su 10, siamo stufə e arrabbiatissimə!”. Non una di meno replica a Adinolfi, Pillon e Meloni sulla performance antiomolesbobitransofobica di sabato. Domani corteo nel giorno dell’uscita della Turchia dalla convenzione di Istanbul.

30 Giugno 2021 - 17:23

“Oggi, davanti all’ospedale S.Orsola, in tantissimə ci siamo ripresə lo spazio che ogni mercoledì mattina un gruppo di preganti della AS Papa Giovanni XXIII occupa per recitare macabre preghiere contro l’autodeterminazione di chi sceglie di abortire”. Lo segnala in un post in rete il collettivo Mujeres Libres. Le transfemministe, di primissima mattina, hanno infatti preceduto gli anti-abortisti laddove settimanalmente si riuniscono, seguendoli quando hanno provato a spostarsi lungo via Massarenti e indirizzando loro incessanti cori, finché i secondi, dopo alcuni minuti, hanno deciso di andarsene. Prosegue il testo: “Alla loro colpevolizzazione abbiamo risposto con le nostre rivendicazioni e le testimonianze delle nostre esperienze di riappropiazione dei nostri corpi. Degli antiscelta non ne possiamo più, non vogliamo vederli fuori dagli ospedali e soprattutto dentro. Al Sant’Orsola, nella sedicente fantastica sanità emiliana, 7 medici su 10 sono obiettori. Siamo stufə e arrabbiatissimə: basta obiezione! Ma quale stato, ma quale Dio: sul mio corpo decido io!”.

Durante l’iniziativa, messa in atto nell’ambito della “settimana transfemminista” verso il Rivolta pride, le Mujeres Libres hanno letto un lungo comunicato che ripercorre le precedenti contestazioni e la campagna per un aborto libero e sicuro: “Ogni mercoledì mattina, dalle 7:00 alle 7:30, proprio qui, in questo luogo, potete trovare appeso uno striscione contro l’aborto e un gruppetto di persone, quasi tutti uomini, impegnate nella recita del rosario. Chi sono? Sono gli anti-scelta dell’associazione Papa Giovanni XXIII che, di fronte ad una struttura sanitaria pubblica, alzano il loro dito moralizzatore contro tutte le donne e le persone gestanti che decidono di scegliere se portare avanti o meno una gravidanza. No, non stanno solo pregando! La loro presenza, le loro preghiere, il loro striscione hanno un forte impatto sulle donne che hanno la sfortuna di incrociarli. Perchè non lasciano dubbi, per loro non esiste un diritto alla scelta, per loro le donne sono vittime, peccatrici da salvare, che devono diventare madri in nome di una millantata sacralità di una vita che non è nemmeno stata data. Giá nel 2014 ci siamo accorte di questa violenza psicologica giudicante perpetrata tranquillamente in un luogo pubblico e laico, proprio davanti all’ingresso di ginecologia, dove passano le donne che fanno scelgono l’ivg e il personale medico che lo pratica. Per questo decidemmo di richiamare l’attenzione con dei presidi svolti in contemporanea ai no-choice,con la controinformazione femminista e con l interruzione del consiglio comunale per portare la questione all’ordine del giorno. Nessuna risposta da parte dell’amministrazione, se nn un semplice ‘non possiamo impedire alla gente di pregare’. Non ci stupiamo di questa risposta, tuttavia con le nostre azioni siamo riuscite a ottenere che i preganti no-choice si spostassero dall ingresso antistante a ginecologia dove passano le donne, al retro , in un punto più distante, dove incontrare il loro inquietante sguardo giudicante è molto meno immediato: infatti è importante che nessuna donna li incontri nel percorso della loro scelta e per questo è un bene monitorarli e segnalarli”.

“La Papa Giovanni XXIII – si legge poi – è una delle numerose organizzazioni che compongono il movimento antiscelta, sedicente ‘provita’, che fa parte di una rete internazionale molto potente, molto ricca e con numerosi agganci politici. Questo movimento ha nell’opposizione alla pratica dell’aborto la sua ragione di essere. Nel portare avanti la loro battaglia non si fanno scrupolo a diffondere false informazioni: sul loro sito internet affermano che ‘le pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo […] hanno un effetto abortivo’ e che la pillola abortiva RU486 ‘ha forti controindicazioni per la salute fisica e psichica della donna’. Noi che ci siamo informate, che siamo sostenute da ginecologhe e ostetriche compagne, ben sappiamo come queste informazioni sono false e non hanno fondamento scientifico, ma non tutte sono attiviste femministe! Non tutte si leggono articoli scientifici sulla pillola RU486! Ad ogni donna deve essere garantito l’accesso ad un’adeguata informazione sanitaria in materia di aborto, salute sessuale e riproduttiva, un’informazione che sia scientificamente fondanta e libera da convinzioni religiose”. Il testo integrale è pubblicato sul blog del collettivo.

Al Sant’Orsola c’erano anche le attiviste di Non una di meno, che in rete replicano inoltre alle parole di alcuni esponenti di destra a seguito della performance antiomolesbobitransofobica di sabato scorso: “Apprendiamo dal Giornale, ovvero da uno dei principali organi della stampa reazionaria, razzista e sensazionalista di questo paese, che il lancio della settimana transfemminista e transnazionale a Bologna è stato considerato da Mario Adinolfi, fondatore del Popolo della Famiglia, come un atto di violenza. Al suo sdegno si sono uniti il senatore leghista Simone Pillon e Giorgia Meloni, e insieme hanno composto l’accusa corale di ‘istigazione alla violenza’. Secondo Adinolfi, calpestare e ricoprire di vernice fuxia le immagini stampate di chi oggi, in Italia e nel mondo, si oppone alla libertà delle donne e delle persone LGBT*QIA+ manda un chiaro messaggio: ‘Chiunque dissenta, per qualsiasi ragione, deve sparire nel sangue rappresentato dalla vernice rossastra’. Secondo noi è invece molto chiaro che questo deliberato daltonismo politico, che confonde il fuxia con il ‘rossastro sangue’, serve a rovesciare le parti e delegittimare la battaglia in favore del ddl Zan e di #moltopiudizan. Questa piccola combriccola di innocenti vorrebbe farci credere di non riconoscere la differenza tra una performance di protesta e la violenza reale, quella che colpisce le donne e le persone LGBT*QIA+ che vengono ammazzate, stuprate, molestate, sfruttate tutti i giorni. Vorrebbero convincerci che siamo sullo stesso piano noi, che con un secchio di vernice esprimiamo simbolicamente la pretesa collettiva di non essere oppresse, e coloro che ogni giorno usano il proprio potere, la propria influenza e la propria autorità per legittimare la nostra oppressione. Un’oppressione così pesante da portare alcunx a vedere nel suicidio l’unica via di uscita, come ci racconta anche la cronaca di questi giorni. Di fronte a questa reazione senza misura, noi vediamo soltanto la meschinità di chi si sente sotto assedio, di chi vede l’ordine patriarcale che predica e professa minacciato dalla libertà che noi donne e persone LGBT*QIA+ pratichiamo in Italia e nel mondo senza chiedere il permesso a padri e mariti, alla Chiesa o allo Stato. Al Giornale, ad Adinolfi, a Pillon, a Meloni e ai molti commentatori da tastiera che nella nostra azione hanno visto il segno apocalittico del regno del male che avanza (è successo veramente!) noi risponderemo nelle piazze della settimana transfemminista e transnazionale, a Bologna e non solo a Bologna. Fuxia è il colore della rabbia che proviamo contro la società che ci opprime, dell’amore che condividiamo con chi questa società oppressiva la vuole ribaltare”.

La rete transfemminista ricorda infine l’appuntamento di domani “primo di luglio, la data ufficiale di uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul“, quando in contemporanea con molte altre città del mondo si terrà un corteo “per denunciare la violenza strutturale maschile e di genere contro le donne, che solo in Italia ha fatto più di 48 vittime dall’inizio dell’anno compresa la giovanissima Chiara Gualzetti“. L’appuntamento è alle 18 in piazza dell’Unità e la manifestazione, che prevede “momenti performativi” terminerà in piazza Maggiore: “Scendere in piazza il primo luglio significa riaffermare la nostra determinazione a combattere la violenza maschile e di genere  in tutte le sue forme, dentro e fuori casa, sui posti di lavoro, nelle sue manifestazioni razziste! In occasione del primo luglio riprendiamo lo spazio pubblico per rendere chiaro che la nostra lotta continuerà, tanto più oggi che con il PNRR viene programmata la ricostruzione patriarcale della società post-pandemica!”.