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Lavoratrice o volontaria? Caccia al personale tra prima e seconda ondata

Nuova testimonianza nell’ambito dell’inchiesta autogestita sul servizio sanitario bolognese nella seconda fase pandemica. Una studentessa di Infermieristica, che ha risposto al bando della Protezione civile per l’individuazione di personale di supporto per le strutture sanitarie territoriali in particolare sul contact-tracing: “Per sette mesi non si è fatto nulla, poi la proposta di contratti ridicoli”.

07 Dicembre 2020 - 15:37

Riceviamo e pubblichiamo una nuova testimonianza, questa volta da parte di una studentessa di Infermieristica, nell’ambito dell’inchiesta autogestita sul servizio sanitario bolognese nella seconda fase della pandemia da Covid che Zic.it sta portando avanti insieme all’Assemblea per la Salute del Territorio.

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Lavoratrice o volontaria?

Dal 24 al 26 ottobre 2020 la Protezione civile ha aperto un bando per l’individuazione di 2.000 unità di personale disponibile a prestare attività di supporto nelle strutture sanitarie territoriali, in particolare per sostenere le attività di contact-tracing durante l’epidemia.

Il bando, aperto anche agli studenti e alle studentesse iscritte al terzo anno del corso di Infermieristica, prevedeva un contratto della durata di massimo quattro mesi (con scadenza il 31 gennaio 2021).

Inizialmente entusiasta dell’opportunità lavorativa che mi si presentava davanti in un momento socio-economico (oltre che sanitario) così complesso, decisi di partecipare.

Nei momenti immediatamente successivi, però, realizzai come la stessa opportunità mi fosse stata presentata a marzo 2020 sotto forma di un progetto di volontariato nel supporto all’Unità di Malattie infettive presso il Policlinico Sant’Orsola, a cui avevo partecipato. Durante la cosiddetta “prima ondata”, in seguito alla sospensione dei tirocini formativi, era stata data infatti la possibilità agli studenti e alle studentesse di Medicina di fornire supporto alle aziende sanitarie attraverso differenti progetti.

Nello specifico il progetto al quale avevo aderito si occupava di fornire supporto nella gestione dati, notifiche e informazioni dei pazienti risultati positivi al Covid-19 e sospetti tali. Concretamente l’attività era quella di garantire un continuo aggiornamento dei database di tamponi e imaging, di pazienti e operatori sanitari, fornendo assistenza telefonica e monitoraggio a coloro che si trovavano in isolamento domiciliare.

Nel momento di iscrivermi al bando di ottobre, con il passare dei giorni mi risultava sempre più paradossale osservare come la carenza di personale a supporto di questo tipo di attività fosse evidente alle aziende già a marzo e come, nel corso dei sette mesi successivi si fosse fatto poco e nulla.

Si trattava di una problematica evidente e persistente nel corso dei mesi, che cercava di essere risolta con un bando-lampo nel mese di ottobre e una ridicola proposta di contratto, invece che con una sistematica e strutturale assunzione di personale sanitario e amministrativo.

Il contratto proposto da questo bando, inoltre, prevedeva per noi studentesse una remunerazione quasi dimezzata rispetto a quella garantita a un’infermiera professionale (15 euro/ora anziché 26). A pochi mesi dalla laurea, nonostante gli sforzi effettuati e i rischi assunti, questa proposta veniva delineata con un sostanziale disconoscimento nei nostri confronti.

Di fronte alle 49.000 candidature e alle necessità evidenti di assunzione di personale in campo sanitario, mi chiedo come sia possibile avere questa considerazione dell’accesso al mondo del lavoro che continua ad offrire contratti precari, co.co.co e a partita Iva in un settore che è pubblico ma si comporta come un privato.

Lettera firmata