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Invece di tenere i bambini fuori dal carcere, alla Dozza apre un nido

Inaugurazione il 9 luglio. Ma per il garante dei detenuti è una decisione “anacronistica”, perchè invece in base a una legge del 2011 la preferenza va data alle case famiglie protette. Che i bimbi vivano in carcere “non lo possiamo tollerare”, afferma la garante per l’infanzia. Intanto, nel 2021 già quattro i casi in Emilia-Romagna.

01 Luglio 2021 - 14:15

A Bologna il problema dei bambini costretti a vivere in carcere insieme alle madri detenute è ben lontano dall’essere superato: anzi, nel reparto femminile della Dozza il 9 luglio sarà inaugurato un nido, per ospitare di volta in volta fino a due donne coi loro figli. “La progettazione ha tenuto conto della destinazione ed è stata indirizzata a creare un ambiente per quanto possibile confortevole”, sostiene la direzione del penitenziario. Peccato che si tratti di una soluzione “anacronistica”. A dirlo è il garante regionale delle persone private della libertà personale, Marcello Marighelli. “Non è stata una sorpresa: il nido nei reparti femminili è una misura prevista dal 1975. La scelta di realizzarlo oggi appare tardiva se non anacronistica. La legge 62 del 2011 già riconosceva la fondamentale importanza della casa famiglia protetta, snodo fondamentale per garantire un riferimento abitativo alle madri con provvedimento di custodia cautelare o esecuzione della pena con i propri bambini”, ha dichiarato il garante, aggiungendo che “la preferenza va data alle case famiglie protette, per la tutela degli interessi dei minori. Una camera detentiva è incompatibile con la vita di un bambino. Abbiamo espresso perplessità in varie occasioni: peraltro, in quell’edificio c’è anche una piccola articolazione che riguarda la salute mentale. La situazione rischia di diventare ancora più complessa. Purtroppo c’è ancora una prassi dell’amministrazione penitenziaria che mette al centro dell’esecuzione penale il carcere e non il territorio”.

Ha affermato ancora Marighelli: “Troppo spesso mi è capitato di vedere come le autrici di reato, in realtà, fossero in primis vittime”. E per il garante va poi ricordato che “la casa famiglia protetta si deve realizzare in convenzione tra amministrazioni locali e amministrazione penitenziaria. Onestamente, non mi pare che le amministrazioni locali abbiano sollecitato molto. E dunque mi interrogo: che valore ha, allora, quella legge? Nessuna legge sociale funziona, se il territorio non è accogliente, empatico e propositivo”. La legge di bilancio 2021 prevede 4,5 milioni di euro per accogliere i genitori detenuti con bambini in case famiglia protette e in case alloggio, ma è ancora tutto fermo: “Abbiamo scritto al ministero, entro il 28 febbraio avrebbero dovuto comunicare la ripartizione dei fondi tra le Regioni. Non sappiamo nulla: è mortificante”, ha detto Marighelli.

Non è tutto, perchè anche la garante regionale per l’infanzia e l’adolescenza, Clede Maria Garavini, critica l’apertura del nido: “I bambini non possono stare all’interno di un carcere, non possono vivere in quegli spazi e con quel funzionamento. Non lo possiamo tollerare. L’apertura di un nido appare come un lenitivo a una situazione che richiede ben altro. Noi sottolineiamo la necessità assoluta di procedere verso l’apertura di una struttura con un progetto qualificato, un solido impianto educativo, la possibilità di vivere la quotidianità nella sua dimensione più ricca. Gli spazi possono pure essere abbelliti, ma i bambini devono vivere in altre condizioni”. Per Garavini “è innegabile: i diritti sanciti dalla convenzione Onu non sono rispettati. Abbiamo precisi riferimenti legislativi frutto di ricerche, analisi, studi: mettiamoli a frutto. Sì, abbiamo tanta normativa che però rimane lettera morta. Il decreto Severino dell’8 marzo 2013 precisa già i Requisiti delle case famiglia protette e chiede di evitare, in toto, l’ingresso di bambini nelle strutture penitenziarie. Tutto enunciato, nella pratica non si fa nulla”.

Nel 2019 sono stati 15 i bambini entrati nelle carceri emiliano-romagnole (soprattutto Bologna e Ferrara), nel 2020 sono stati 11 e quest’anno già quattro.