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Inchiesta / Lo scandalo del Centro Galileo: milioni di euro buttati al vento

Quattro amministrazioni comunali sono state protagoniste di una burla costata tantissimi soldi, per arrivare alla farsa finale, con l’abbattimento dell’ex centro di formazione professionale.

14 Gennaio 2011 - 00:39

galileo

Potrebbe sembrare un esercizio di “demagogia populista”, ma la decisione dell’Amministrazione comunale commissariata, attraverso il Settore Gare, di deliberare, il 14 dicembre 2010, la cifra di 200 mila e 220 euro per l’abbattimento dell’immobile dell’ex Centro Galileo di Casteldebole grida vendetta.

Solo per dirne una: il costo per la gestione del servizio per tossicodipendenti Drop In (chiuso per mancanza di fondi) era poco più della metà di quella cifra.
I laboratori informatici del Centro Diurno di via del Porto, a cui il Commissario prefettizio ha messo una croce sopra, costavano poco più di dieci mila euro all’anno.
Era una priorità l’abbattimento di quella struttura, in una scala gerarchica di esigenze sociali a cui l’amministrazione comunale non dà risposta?

L’urgenza dell’intervento, nell’atto che delibera il provvedimento di spesa, è giustificato in questo modo: “Negli ultimi tempi la situazione è considerevolmente peggiorata anche per successive presenze indebite, inopportune a causa di potenziali rischi per la sicurezza (…) L’ex Centro ha subito una serie di atti vandalici che hanno comportato la distruzione di quasi tutti gli elementi di finitura (…) Le parti strutturali risultano in precario stato di conservazione. Alcuni pilastri sono sottoposti all’azione dell’acqua piovana, che si è infiltrata nei solai”.
Per queste ragioni l’amministrazione ha scelto la demolizione dell’immobile, mantenendo la capacità edificatoria.
Dato che, con gli attuali chiari di luna, è ampliamente improbabile che sia il Comune a ricostruire in quell’area qualcosa, è molto facile che quella porzione di territorio edificabile venga inserita in un piano di alienazione.
E allora perché fare questo “favore” a un eventuale compratore e di fargli trovare l’area sgombra? Non poteva essere alienata anche con l’edificio esistente? Era necessario spendere con urgenza quei 200 mila euro?

E’ buffa questa storia dell’urgenza, perché fu portata come motivazione dello sgombero dell’ex Galileo, avvenuto il 4 agosto 2006, per ordine della Giunta Cofferati.
La struttura era stata occupata un mese prima da un gruppo di 180 rom rumeni, tra cui 60 bambini, che erano stati scacciati, in precedenza, dal campo di via Gobetti.
Si disse all’epoca che lo sgombero era stato così rapido perché dovevano partire, al più presto, i lavori per trasformare l’ex Galileo nel deposito delle pellicole della Cineteca Comunale.
Ma così, come era successo per altri casi, il progetto sfumò e l’ex centro di formazione professionale tornò il “monumento allo spreco e al degrado” degli anni precedenti.

LA STORIA DEL CENTRO GALILEO
Forse è bene raccontarla la storia del Galileo, ha tutte le caratteristiche per essere un cosiddetto “caso di scuola” su come non si deve amministrare e gestire il patrimonio pubblico.
L’inizio dell’iter per la realizzazione dell’immobile, situato in via di Casteldebole 31, iniziò nel 1984, con l’approvazione in Consiglio comunale, l’11 maggio, dell’Odg n.194
La struttura era destinata al centro professionale San Petronio, che prima aveva sede a Villa Pallavicini. I locali, dove si svolgeva l’attività formativa, erano concessi in affitto dalla fondazione religiosa proprietaria dell’edificio. A un certo punto, la fondazione manifestò il desiderio di rientrare in possesso dei locali. Nel frattempo, anche l’attività dei corsi di formazione professionale del centro San Petronio si stava espandendo e, così, il Comune decise di provvedere alla costruzione di una nuova sede.
Il costo complessivo di realizzazione dell’opera si aggirava attorno 6 miliardi e mezzo di vecchie lire. Nella delibera n. 15836/84 del 1984, era individuato in 2,5 miliardi di lire il costo per il primo lotto, a cui andava aggiunto un contributo della Regione Emilia-Romagna di pari entità. Per il secondo lotto, il Comune impegnava una cifra di 1 miliardo e 376 milioni e 625 mila lire.

PRIMO FATTO CURIOSO
A questo punto, si verificò il primo fatto curioso. Per la costruzione del centro venne individuata un’area che era situata al confine con Zola Predosa, in via Felicina, a ridosso dell’azienda Alcisa.
Poco dopo, per una ragione che non fu mai spiegata, si provvide a riprogettare l’immobile, spostandolo di circa 700-800 metri rispetto alla prima allocazione.
Questa decisione, che nessuno si prese mai la briga di chiarire, ebbe come conseguenza un costo aggiuntivo.
L’acquisto del nuovo terreno costò 187 milioni di lire.
Iniziarono quindi i lavori in via Casteldebole 31, nel corso dei quali, il Comune prese la decisione di unificare il centro San Petronio con il centro Galileo che aveva sede in via Vermiglia 11. Questo cambiamento, non considerato alle origini, ebbe un costo aggiuntivo di 600 milioni di lire per ulteriori lavori.
Nel luglio 1995, i due centri furono formalmente unificati e si diede vita al Centro Metropolitano di Formazione Professionale Galileo.

SECONDO FATTO CURIOSO
Su via Vermiglia c’è una cosa abbastanza interessante. Nel 1992, un gruppo di lavoratori del Centro mandarono un documento ai gruppi consiliari di Palazzo d’Accursio in cui si diceva: “Il 7/11/1992 è stata inaugurata la nuova sede del Centro di Formazione Professionale Galileo, in via Vermiglia 11, alla presenza di tre assessori, uno regionale, uno provinciale e uno comunale. L’inaugurazione si è tenuta a un anno di distanza dall’effettivo insediamento, avvenuto nel mese di settembre 1991, dopo che era stata lasciata la vecchia sede di piazza Galilei, per scadenza di contratto di affitto. La stessa inaugurazione è avvenuta a 5 anni dall’individuazione dello stabile di via Vermiglia, un’ex fabbrica, di proprietà di un privato, riadattata all’uso per la nuova destinazione a centro di formazione”.
Cosa sosteneva, dunque, la lettera degli operatori? Che l’insediamento era avvenuto con 5 anni di ritardo, rispetto ai tempi previsti, ma con un’affitto di via Vermiglia che veniva regolarmente pagato (800 milioni di lire all’anno). Contemporaneamente, si continuava ad utilizzare la sede in Piazza Galilei, dove, peraltro, l’affitto era stato maggiorato dagli interessi di mora per il contratto scaduto.
Quindi, il Comune di Bologna pagò all’epoca 2 miliardi e 400 milioni di lire, a fondo perduto. Che diede al proprietario dello stabile di via Vermiglia, senza trasferirvi la sede del centro. Il proprietario di via Vermiglia era il signor Bandiera, ex proprietario di “Les Copains”, che per un periodo fu anche uno dei soci di minoranza del Bologna FC.
La cosa interessante è che, mentre si faceva tutta questa operazione di trasferimento in via Vermiglia, con tempi lentissimi, si stava ultimando la costruzione del centro in via di Casteldebole.

TERZO FATTO CURIOSO
A una verifica fatta nel 1999, al Settore Patrimonio del Comune di Bologna, risultava un’altra cosa parecchio strana. Nell’inventario patrimoniale, il bene, cioè lo stabile di via di Casteldebole 31, era inventariato a zero lire, dato che mancava il collaudo dell’immobile. Pertanto, l’immobile non era ancora accatastato e mancava perciò il valore catastale. E’ bene ricordare che il fabbricato era stato utilizzato per più di 3 anni e dentro aveva ospitato fino a 2.000 corsisti. Chi si è assunto la responsabilità di fare utilizzare la struttura senza collaudo e perché?

LA SCELTA DI PRIVATIZZARE LA FORMAZIONE PROFESSIONALE DELLA GIUNTA VITALI
Come abbiamo detto, nel luglio 1995, i vecchi centri Galilei e San Petronio furono unificati, e si diede vita al Centro Metropolitano di Formazione Professionale Galileo, la cui attività si sarebbe svolta nella nuova sede di via Casteldebole 31.
In applicazione della Legge Regionale n.54 del 1995, la Regione Emilia-Romagna e la Provincia di Bologna affidarono un incarico esterno mirato alla “predisposizione di un piano strategico triennale relativo alla futura attività della nuova struttura”.
La Legge Regionale numero n.54 era quella che assegnava ai Comuni la responsabilità di individuare la forma di gestione più funzionale delle attività di formazione professionale (scegliendo tra diverse forme giuridiche: istituzione, consorzio, società per azioni a prevalente capitale pubblico). Nella stessa legge era previsto il trasferimento del personale regionale al Comune, mentre l’onere rimaneva in capo alla Regione. Veniva poi disciplinato l’utilizzo dei beni patrimoniali e l’assegnazione, da parte della Regione Emilia Romagna, di un contributo una tantum per la costituzione dei fondi di dotazione degli enti pubblici di gestione. Inoltre, la legge precisava lo strumento per definire e verificare gli impegni reciproci tra Comune, Regione e Provincia e l’accordo triennale di programma con verifiche annuali.
Sulla base della legge, il 19/11/1996 venne sottoscritto un accordo tra Comune di Bologna, Regione Emilia-Romagna e Provincia di Bologna che prevedeva una forma consortile di gestione del centro Galileo di via Casteldebole.
Nel febbraio del 1997, la Giunta comunale cominciò a prendere in esame la proposta dell’assessore competente per valutare se mantenere oppure no l’impegno del Comune di Bologna nel campo della formazione professionale, dando contestualmente mandato al settore di approfondire i temi organizzativi e gestionali.
Nel frattempo, i Comuni di Bologna, Piacenza e Cesena, nell’ambito del progetto regionale “Città Sicura”, avevano presentato la candidatura del centro Galileo come sede per la scuola regionale di polizia municipale. Questa proposta, però, non andò in porto.
Poi, il 28 ottobre 1997, a nemmeno due anni dall’apertura, arrivò la decisione della Giunta comunale di non gestire più il centro Galileo. Nella delibera si richiamava il riordino delle competenze in materia di formazione professionale, ma, soprattutto, perché sarebbero stati necessari 500 milioni di lire per il fondo di attuazione del consorzio e circa 100 milioni di lire all’anno per il contributo alla spese di gestione
Questo impegno sarebbe stato alternativo alla scelta che l’Amministrazione comunale stava intraprendendo per far nascere la Fondazione Aldini-Valeriani.
Della Fondazione Aldini parleremo più avanti, ma adesso vorremmo presentare i dati che furono fatti uscire all’epoca per confutare la tesi del Comune che sosteneva che non aveva più senso tenere aperto il centro Galileo.
Il centro nel 1995 svolgeva funzione di orientamento per le scuole di formazione professionale. Attivò 117 corsi del piano provinciale per 19 mila e 111 ore, per una spesa totale di 2 miliardi e 21 milioni di lire finanziati così: personale regionale 6 miliardi e 363 milioni 777 mila, contributi utenti 143 milioni e 290 mila lire, Provincia di Bologna e Fondo Sociale Europeo 1 miliardo e 241 milioni di lire.
Gli allievi che parteciparono ai corsi furono 2.062.
I sette corsi del Fondo Sociale Europeo, per 3.110 ore, videro una spesa totale di 808 milioni e 160 mila lire, finanziata con personale regionale per lire 122 milioni e 976 mila, contributi di utenti 19 milioni e 600 mila, Fondo Sociale Europeo 665 milioni 484 mila.
Questo per dire che il Comune di Bologna, rispetto al costo di quei corsi, non tirò fuori una lira. Le uniche spese a carico dell’amministrazione furono per 3 unità di personale e per la direttrice.

Sulla economicità del centro Galileo la Giunta di Palazzo d’Accursio fece fare anche una verifica a un’azienda specializzata. Se di quell’analisi prendiamo, per esempio, i capitoli di spesa in entrata e in uscita del 1998, si vede che alla voce entrata c’è un capitolo che prevede contributi degli allievi (le tasse di iscrizione) per 198 milioni e 590 mila lire, entrate diverse per attività inerenti alla formazione professionale attraverso fondi regionali per 2 miliardi e 157 milioni 289 mila 497 lire. Ai capitoli di uscita corrispondono 198 milioni e 590 mila lire come reimpiego dei contributi degli allievi ed entrate diverse per spese di funzionamento di gestione di 2 miliardi 127 milioni e 434 mila lire come reimpiego dei fondi regionali per la gestione del centro di formazione professionale. Appare quindi evidente che le uscite erano totalmente coperte dalle entrate, addirittura c’era un utile di 30 milioni di lire.

L’8 febbraio 1999, con la deliberazione Odg n.38, il Consiglio comuale approvava a maggioranza il piano di chiusura delle attività del Centro di formazione professionale Galileo, che era stato proposto dalla Giunta.

La domanda che viene da porsi è questa: perché di fronte alla dimostrata economicità della gestione del centro e alla partecipazione numerosa di giovani ai corsi, ci fu la scelta dell’Amministrazione comunale di cessare l’attività in via Casteldebole?
Nessuno rispose mai chiaramente a questa domanda.

SI CHIUDE IL CENTRO GALILEO SI APRE LA FONDAZIONE ALDINI-VALERIANI
La scelta di chiudere il Centro Galileo arrivò quasi in contemporanea con quella fatta dal Comune di accordarsi con Assindustria (la Confindustria bolognese) per dare vita alla Fondazione Aldini-Valeriani. Il Comune offriva il prestigioso marchio dello storico istituto tecnico (un marchio di eccellenza nel settore dell’istruzione tecnica e professionale) e metteva a disposizione una parte dell’edificio di via Bassanelli, sede della scuola comunale Aldini-Valeriani.
Assindustria portò come dote il centro di formazione professionale Ktema, pieno di debiti, con a carico 12 dipendenti e un direttore generale. L’ex direttore generale di Ktema, divenne il direttore generale della Fondazione Aldini-Valeriani; per lui venne predisposto uno statuto che gli dava un potere enorme. Per alcuni mesi, quel dirigente venne descritto come una specie di salvatore della patria, ma, appena a un anno di distanza dall’istituzione della Fondazione, venne accantonato perché, anche nella gestione del nuovo organismo, erano sorti diversi problemi. Infatti, dopo il primo anno di attività, la Fondazione Aldini-Valeriani non aveva realizzato nemmeno un corso di formazione professionale e aveva accumulato debiti per 200 milioni di lire. Fu il Comune di Bologna che li coprì, attraverso una ricapitalizzazione che divenne necessaria.
Per quanto riguarda poi la figura del direttore generale, ci fu il commisariamento, con la nomina del preside dell’Istituto comunale Aldini-Valeriani.

REVOCHE E CONTROREVOCHE: I VARI PASSAGGI DI MANO DELL’IMMOBILE DI VIA CASTELDEBOLE 31

La delibera del 1984, diceva testualmente che la concessione, da parte della Regione, del contributo di 2,5 miliardi di lire, dati per la costruzione del centro Galileo, era subordinata all’impegno, da parte del Comune, di destinare l’immobile a sede al centro di formazione professionale e a concedere lo stesso, in comodato gratuito alla Regione, nel caso in cui avesse a cessare (“per qual si voglia motivo”) la delega di funzioni amministrative al Comune, ai sensi della legge regionale n.19 del 1979. Il vincolo di destinazione e l’eventuale comodato avrebbero avuto una durata di 50 anni e sul Comune avrebbero gravato “ogni e qualunque spesa od onere relativamente all’edificio concesso in comodato”.
Pertanto, dopo la decisone dell’8 febbraio di chiudere le attività del centro Galileo, il Comune di Bologna, con la deliberazione n.609 del 27 aprile 1999, diede in comodato gratuito per 50 anni (rinnovabili) alla Regione Emilia-Romagna l’immobile situato in via Casteldebole 31, perché venisse “destinato a sede di centro di formazione professionale, con assunzione da parte del comodatario, di ogni onere e spesa per mantenere l’immobile alla destinazione prevista”.
Qui si potrebbe parlare, attraverso un metafora cinematografica, del famoso “COMMA 22”, ma forse sarebbe meglio dire che siamo di fronte a “schizofrenia istituzionale” allo stato puro.

Nel dicembre del 1999, il Comune di Bologna avviò una trattativa con la Regione Emilia Romagna per l’utilizzo, ai fini dell’accoglienza abitativa, dello stabile ex Centro di Formazione Professionale Galileo.
Secondo le ipotesi contenute in un documento dell’assessorato alle Politiche Sociali della Giunta Guazzaloca, in via Casteldebole, sarebbero state collocate 450 persone (dato che il fabbricato era di 3000 mq, sarebbero stati 6,6 mq a persona).
I soggetti interessati all’accoglienza sarebbero stati:
– persone sottoposte a sgombero (sei mesi)
– persone da rimpatriare (un mese)
– persone singole o con famiglia senza casa (sei mesi)
– persone da accogliere temporaneamente per ristrutturazione o chiusura della sede di provenienza Casa del Riposo Notturno.

Inoltre, l’immobile sarebbe stato adibito anche a sede di Associazioni di Volontariato e, in un’ala dell’edificio, sarebbero stati ricavati dei miniappartamenti per particolari situazioni di emergenza.
Bastò una raccolta di firme tra gli industrialotti e i proprietari di case della zona, promossa da un ex consigliere di quartiere di AN (passato poi a Forza Nuova e, infine, alla Lega Nord), per far recedere la Giunta di centro-destra da quella che fu descritta solo come una “ipotesi di lavoro”.

Il 5 luglio 2000, l’esecutivo di Palazzo d’Accursio approvava la delibera n.647, in cui si affermava: “Nel frattempo, sono mutate le necessità in ordine alla formazione professionale per cui il progetto iniziale, sulla base del quale la Regione aveva a suo tempo richiesto l’utilizzo dell’immobile di via Casteldebole 31 è superato”.
Nella stessa delibera si dichiarava: “Sono intercorsi numerosi incontri con gli assessori alle Politiche sociali della Regione, Provincia e Comune nei quali è stato concordato un diverso utilizzo dell’immobile, che pur salvaguardando la destinazione immobiliare del bene fosse più rispondente alle attuali necessità di formazione”.
E ancora: “Con il Prot. N.468 del 31 marzo 2000, la Regione Emilia-Romagna ha formalizzato la decisione di restituire all’Amministrazione comunale l’immobile per destinarlo a centro di formazione alla interculturalità”.
Per queste ragioni, la Giunta comunale decideva di revocare la delibera n.609 e si riservava di procedere con un provvedimento successivo alla definizione delle forme di utilizzo dell’immobile.

Il 20 maggio 2002, la Giunta Guazzaloca, dopo aver istituito un gruppo di lavoro (per studiare la fattibilità, i tempi e i costi del centro di formazione alla interculturalità), approvava la delibera n.186. In questo atto, facendo riferimento a una decisione presa nel 2001 (PG n.31122/2001) in cui si rigettava il progetto (in quanto l’onere finanziario era troppo gravoso e i tempi di realizzazione troppo lunghi), si riteneva di revocare la delibera n.647, “per consentire l’utilizzo dell’area dell’ex centro Galileo Galilei di via Casteldebole 31, da parte del competente servizio della Regione Emilia-Romagna, per attivarvi un centro di formazione professionale”.

Sembrerebbe uno scherzo, ma sono tutti atti veri.

Al di là di questo squallido teatrino, con tutti i miliardi di lire che erano stati spesi, il risultato della demenziale burletta era che uno stabile di pregio, costruito coi soldi pubblici, era stato lasciato andare in malora negli anni di abbandono.

Dell’ex Galileo non si parlò più fino all’occupazione dell’immobile del 6 luglio 2006 da parte un gruppo di 180 rom rumeni, tra cui 60 bambini, che da mesi erano scacciati da un posto all’altro della città. Avevano attivato, fin dai primi momenti, un progetto di autogestione della struttura, impegnandosi nei lavori di autorecupero.
Ma la campagna legalitaria della Giunta Cofferati non guardava in faccia nessuno, la macchina tritasassi del sindaco sceriffo (scagliata contro indifesi esseri umani) era micidiale: in meno di un mese il centro venne sgomberato, esattamente il 4 agosto 2006.
La motivazione ufficiale fu che dovevano partire, al più presto, i lavori per trasformare l’ex Galileo nel deposito delle pellicole della Cineteca Comunale. Naturalmente fu l’ennesimo progetto annunciato andato in fumo.

IL CENTRO GALILEO COME STRUTTURA SOCIALE NEL PARCO CITTA’-CAMPAGNA
Il 14 febbraio 2008, il Consiglio del Quartiere Borgo Panigale approvò un atto (Odg. N.6/2008) in cui si riteneva necessario attirare l’attenzione della Giunta Comunale “sulla necessità di valorizzare e recuperare l’importante patrimonio edilizio di proprietà pubblica esistente in quartiere. In particolare, sull’ex centro di formazione Galileo, costituito da un complesso edilizio di circa 4000 mq, costruito solo 15 anni fa ed ora in stato di completo abbandono. Le proposte che sono state ventilate nell’ultimo periodo, magazzino per le pellicole, rappresentano in sè una ulteriore testimonianza della sottovaluatazione della ricchezza che questo immobile rappresenta. Il Consiglio di Quartiere ritiene utile mantenere questa struttura ad un uso sociale. La sua ubicazione ai confini tra i Comuni di Zola Predosa, Casalecchio di Reno e Bologna ed adiacente al costituendo parco Città-Campagna, la compartimentazione che lo caratterizza e l’ampio parcheggio di cui dispone, la rende naturalmente predisposta ad ospitare un’importante struttura sociale nell’interesse della collettività”.

Il 19 febbraio 2008, la Giunta Cofferati, con la deliberazione n.35, espresse l’adesione del Comune di Bologna alla convenzione con la Regione Emilia-Romagna, per la realizzazione del progetto “Il Parco Città-Campagna”, per la valorizzazione della rete dei paesaggi nel territorio della pianura situato tra il fiume Reno e il torrente Samoggia.

I PROVVEDIMENTI SUL GALILEO PER GLI ANNI 2009/2010
Cambia lo scenario politico, subentra la Giunta Delbono.
A proposito, il buon Flavio, nella vicenda c’era già stato: il 12 aprile 1999, come assessore al Bilancio del Comune di Bologna aveva dato in comodato il Galileo alla Regione Emilia-Romagna; mentre il 31 marzo 2000, come assessore al Bilancio della Regione Emilia-Romagna aveva restituito il centro al Comune.
Come sindaco, invece, il 15 settembre 2009, con la delibera di Giunta n.215, approvava l’elaborazione del progetto, stabilito nella convenzione per il Parco Città-Campagna, in cui il Comune di Bologna si assumeva la responsabilità di uno specifico progetto di paesaggio che riguardava quattro aree, tra cui “il complesso dell’ex Galileo”.

Per le note vicende del cosiddetto “Cinzia gate”, Delbono fu costretto a dimettersi, così l’atto n.87 del 26 giugno 2010 era firmato dal Commissario Straordinario (con i poteri del Consiglio) Annamaria Cancellieri. Nel provvedimento si approvavano i contenuti dell’Accordo Territoriale per il Parco Città-Campagna (tra cui anche il progetto riguardante il complesso dell’ex Galileo – Articolo 5, attuazione del progetto pilota) e si dava mandato al legale rappresentante del Comune di Bologna di sottoscrivere l’accordo.

Passano quasi sei mesi e la Giunta commissariata si scorda di quanto ha firmato nell’Accordo Territoriale per il Parco Città-Campagna: il 14 dicembre 2010 decide di abbattere il Galileo, spendendo 200 mila euro.

Cosa hanno detto gli altri firmatari dell’Accordo? Fino ad ora nulla.
E dire che tra Regione Emilia-Romagna, Provincia di Bologna, Comuni di Casalecchio di Reno, Crespellano e Zola Predosa, qualche funzionario che ha letto la notizia dell’abbattimento del Galileo pur ci deve essere stato.
A meno che non siano tutti distratti come chi ha redatto l’atto per l’approvazione di spesa per la demolizione del Galileo (PG n.299397/2010), che nella descrizione dei tanti usi, a cui il centro fu destinato nella sua travagliata e sfortunata storia, ha messo anche un suo utilizzo come “centro provvisorio di accoglienza per cittadini extracomunitari”, cosa che non è mai avvenuta.

Tutta questa vergognosa vicenda dovrebbe, a prima vista, essere materia di inchiesta per la Corte dei Conti. Per lo meno per i quasi 5 milioni di euro (valore in lire 10 miliardi) che sono stati buttati al vento nel corso di questi anni.
Noi abbiamo fatto un’inchiesta giornalistica, l’abbiamo supportata con le “pezze d’appoggio”, se qualcuno la vorrà utilizzare, prego.
Altrimenti sarà stato un servizio utile per i nostri lettori, che avranno una ragione in più per capire da chi siamo stati governati negli ultimi quattro mandati amministrativi.