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In marcia fuori dall’Hub: “Ecco come si vive all’interno”

Sabato solidali e migranti in marcia nelle strade della zona dell’ex Cie di via Mattei per parlare delle condizioni di “sovraffollamento, cibo pessimo, carenze sanitarie” e molto altro.

15 Maggio 2018 - 10:20

“Marcia nelle strade del quartiere di via Mattei sede di un Centro per immigrati denominato Hub (nome in uso per indicare centri di raccolta delle merci, sic!)”. Comincia così il resoconto, che riceviamo e pubblichiamo, di un’iniziativa che si è svolta sabato: “Ci siamo incontrati con chi è costretto nell’Hub di via Mattei a Bologna, in attesa di ricevere la ‘grazia’ di restare in questo paese. Dopo alcune iniziative nei mesi scorsi, due presidi davanti alla struttura, diverse assemblee e un pomeriggio di merenda e musica in un parchetto nelle vicinanze, ieri (sabato, ndr) ci siamo incamminati insieme tra le vie del quartiere con striscioni e cartelli. Dall’impianto sono stati lanciati molti interventi per spiegare, a chi ha voluto ascoltare, cosa è costretto a subire chi viene ‘accolto’ in Italia in questo genere di centri. C’è chi è libero di viaggiare dove, come e quando vuole e chi invece, provenendo da paesi in cui il ricco mondo occidentale fa incetta di risorse, esporta guerre e affama le popolazioni, deve chiedere il permesso per muovere i propri passi. C’è chi per arrivare qui rischia la vita, e sono tante quelle perse o che lo saranno ancora. C’è quindi chi, una volta approdato sulle coste o attraversato le frontiere italiane, deve sottostare alle regole imposte dalla cosiddetta accoglienza. Di questo hanno parlato gli uomini che, con tanto coraggio, sono usciti dall’Hub sabato pomeriggio”: queste persone “sono uscite dal centro per raccontare le loro condizioni a chi vive nel loro stesso quartiere: sovraffollamento in stanze e stanzoni sporchi e bui, cibo pessimo, drammatica carenza di servizi sanitari, trattamento offensivo da parte degli operatori che quasi mai rispondono alle loro richieste basilari, assenza di programmi di apprendimento della lingua, attese infinite anche fino a un anno per accedere alla prima intervista per la richiesta di asilo. La cosiddetta accoglienza, prima o seconda che sia, sta fruttando profitti enormi per le associazioni, le cooperative, gli enti vari che si sono lanciati a man bassa in questo giro d’affari. Solo nel 2016 ha fruttato quattro miliardi di euro. Questo si è detto durante la marcia fatta insieme. I giornali locali non ne hanno nemmeno fatto accenno, per il momento non hanno vomitato il loro solito putrido veleno su un’iniziativa così intensa che ha dato voce a chi di solito proprio non ne ha e coraggio a noi solidali. La lotta proseguirà, saremo ancora insieme per eliminare frontiere e centri di reclusione”.

Dai promotori dell’iniziativa arriva anche un testo che, spiegano, è stato scritto da persone che vivono all’interno della struttura. “Un giorno, tre mesi, sei mesi passati in questo centro. Una brutta esperienza, sin dal primo giorno- è un passaggio del documento- che peggiora ogni giorno sempre di più.  I servizi all’interno del campo sono pari a zero.  Non c’è nessun corso di lingua italiana, che è il primo e fondamentale strumento di sopravvivenza in ogni paese. Non abbiamo alcuna possibilità di frequentare corsi per imparare a conoscere gli elementi essenziali del funzionamento della società che si trova al di fuori di questo campo. Questo aspetto è invece essenziale, per riuscire ad essere indipendenti da qualsiasi tipo di supporto, ad esempio nella ricerca di un lavoro, e, più in generale, per affrontare consapevolmente questa società e le nostre scelte. Non c’è un luogo nel quale possiamo svolgere attività sportiva. Alcuni di noi avevano iniziato a giocare a cricket in uno spazio aperto che si trova dietro il campo, ma poi gli operatori hanno chiuso lo spazio e vietato per tutti l’accesso a quell’area, mandando loro una lettera per dirgli che se avessero giocato nuovamente, sarebbero stati espulsi dal campo. Non possiamo utilizzare i mezzi di trasporto. Il punto non è per quale motivo le persone vogliono uscire. Il punto qui è che non abbiamo la possibilità di acquistare un biglietto dell’autobus e che se vogliamo comunque muoverci senza di questo rischiamo delle sanzioni, che rappresenteranno un problema in futuro”.