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Il Governo chiude i porti ai migranti: “Normalità a cui non dobbiamo più tornare”

L’emanazione ieri di un decreto interministeriale stabilisce che data l’emergenza Covid-19 i porti italiani non siano più da considerarsi “place of safety” per lo sbarco di migranti salvati da navi straniere. Ya Basta: “Decreto privo di fondamento giuridico o sanitario. Il passaporto è il primo strumento di esclusione da una vita degna e libera”.

09 Aprile 2020 - 13:59

Pubblichiamo alcune considerazioni diffuse in rete dal collettivo Ya Basta Bologna dopo l’approvazione, ieri, di un decreto interministeriale firmato dai ministri di Interno, Esteri, Infrastrutture e Sanità: il provvedimento dichiara i porti italiani non sicuri per lo sbarco di migranti che raggiungano le coste italiane su imbarcazioni battenti bandiera straniera, a causa dell’emergenza determinata dalla diffusione del Covid-19, e ne dispone in sostanza la chiusura all’accoglienza. Così Ya Basta: “La pandemia con cui facciamo i conti nella quotidianità di queste settimane rappresenta senz’altro un momento inedito per tutte e tutti noi. Per questo motivo, sono numerosissime le contraddizioni, le similitudini e le evocazioni su cui l’emergenza attuale ci impone una riflessione. Tra queste, emerge con forza e in maniera drammaticamente inevitabile la necessità di ognuna/o di noi di fare i conti sul significato di vita e di morte, due concetti che oggi ci si avvicinano come mai prima. Due concetti che non possono che trovare una forte connessione con la battaglia per la vita o la morte che si consuma alle frontiere d’Europa da parte di centinaia di migliaia di persone in fuga da un presente insostenibile”.

“I bollettini -continua il collettivo- che alle 18 di ogni giorno comunicano il numero dei decessi che si è verificato ricorda quei numeri senza volto che da troppi anni ci raccontano dei naufragi nel mar Mediterraneo. Il dolore di quelle famiglie che improvvisamente si ritrovano ad affrontare la morte di un parente ci ricorda quello di chi sopravvive alla propria migrazione, ma farà i conti tutta la vita con il pensiero di chi, seduto vicino a lui, non ce l’ha fatta. Lo sconcerto di quelle persone che si vedono negata (per cause di forza maggiore, chiaramente) la possibilità di salutare un’ultima volta le persone a loro care, rendendo così ancora più ardua l’impresa di dare un senso alla loro scomparsa, ci ricorda quello che intere famiglie provano quando vengono a sapere della scomparsa di un proprio caro, annegato tra le onde di un mare che non ne restituirà mai più il corpo. Nonostante ciò, e nonostante il peso intrinseco di una riflessione che non può che accomunarci tutte e tutti parlando di vita e di morte, ancora oggi è eretta e prepotente quella frontiera politica e sociale in grado di determinare quali sono le vite di serie A e quali quelle di serie B. Prova di ciò è fornita, senza ambiguità alcuna, dal Decreto Interministeriale emanato questa mattina (ieri, ndr) con cui il governo italiano ha deciso di approfittare di una situazione di emergenza sanitaria per chiudere i propri porti a coloro che dopo mesi o addirittura anni di permanenza in Libia vengono soccorsi dalle navi di soccorso della società civile o delle Ong”.

Per Ya Basta si tratta di “un decreto totalmente privo di fondamento giuridico o sanitario, visto che i protocolli per agire in totale sicurezza, ci sarebbero tutti. Perché a chi oggi raggiunge l’Italia via aereo viene imposto (giustamente) l’isolamento fiduciario, mentre a chi viene soccorso in mare non viene nemmeno garantito il diritto di sbarcare, finalmente, in un luogo sicuro? La risposta a questa domanda non si trova, come vorrebbe far credere il Decreto, nell’assenza di spazi idonei per l’isolamento delle persone migranti, alla luce dei tantissimi edifici in disuso presenti nei territori e la piena disponibilità dimostrata delle Ong a supportare su terra le esigenze derivanti dall’emergenza. La risposta non si trova nemmeno nell’impossibilità di tutelare le persone soccorse da ‘eventuali minacce alla loro vita’, visto che provengono dalla Libia dove per troppi anni hanno subito torture inimmaginabili e dove senza ombra di dubbio, se vi fossero ora, le continuerebbero a subire. La risposta, invece, non può che fare i conti, ancora una volta, con la provenienza delle persone, con quel passaporto che rappresenta il primo strumento di esclusione da una vita degna e libera. Tutto questo è inammissibile. Il Decreto Interministeriale emanato questa mattina, nel contenuto e nelle modalità, ci riporta alla ‘normalità’ di un anno fa, all’orrore determinato dalla pubblicazione ed attuazione dei decreti del ministro Salvini. E’ questa la normalità di cui vogliamo riappropriarci? No. Questo è il momento di affrontare l’emergenza che stiamo vivendo per cogliere l’opportunità di determinare con coraggio un presente di rottura rispetto a prima, perché alla luce di un futuro incerto, dove non è detto che ‘andrà tutto bene’, non dobbiamo tornare alla normalità, ma assumerci, insieme, la sfida per la costruzione di un domani migliore”.