Culture

I poster di Cheap in via Indipendenza: “La lotta è fica”

Affissi venticinque manifesti di altrettante artiste, dove “trova fisicità lo sguardo queer sui generi, entrano i corpi delle donne, corpi trans e corpi eccentrici” e non mancano richiami al movimento antirazzista.

19 Giugno 2020 - 18:37

“Rappresentare il femminismo intersezionale, antirazzista, body e sex positive”. È questo l’obiettivo di “La lotta è FICA”, il nuovo progetto di public art del collettivo Cheap, composto da 25 poster realizzati da altrettante artiste e installati su via Indipendenza, che rappresentano lotte “che intersecano l’antirazzismo” e dove “trova fisicità lo sguardo queer sui generi, entrano i corpi delle donne, corpi trans e corpi eccentrici”, come si legge sul sito del collettivo.

Prosegue Cheap: “Sono state chiuse le scuole e non sono mai state riaperte configurando uno scenario piuttosto scontato: se già in un periodo di normalità (e per normalità ci riferiamo all’assenza della peste) la divisione del lavoro sulla base dei ruoli di genere comporta per le donne una maggior responsabilità in termini di lavoro di cura domestica, è piuttosto evidente che la chiusura delle scuole insieme alla malattia dei familiari hanno fatto aumentare questa richiesta esponenzialmente, causando con ogni probabilità l’abbandono da parte delle donne del lavoro salariato, specialmente per quelle che non possono attuare lo smartworking. La crisi sanitaria legata alla pandemia ha effetto anche sullo spostamento di risorse economiche dai servizi di salute sessuale, riproduttiva, materna: in un paese dove i consultori erano insufficienti prima dell’arrivo del virus, è legittimo temere che alle donne non verrà garantito il diritto di accedere a servizi sanitari fondamentali. In uno scenario del genere ripartire dal femminismo ci sembra solo un atto di buon senso”.

L’iniziativa cade nei giorni in cui le strade di mezzo mondo vengono occupate dalla protesta di Black Lives Matter: “Stiamo finalmente assistendo ad un cambiamento del paradigma. A Bristol, la statua dello schiavista Edward Colston è stata rimossa e buttata nel fiume; negli Stati Uniti varie statue di Cristoforo Colombo sono state rimosse. A Milano si è affermato una cosa che noi troviamo di una banalità sconcertante, cioè che uno stupratore non merita una statua e attraverso di essa una celebrazione pubblica: eppure abbiamo assistito ad una levata di scudi agghiacciante in difesa di un suprematista bianco che parlava della sua schiava bambina come di un ‘animaletto docile’. Non siamo certe che la difesa del privilegio bianco maschile e coloniale si fermerà alla schiera dei bimbi di Montanelli che si stanno stracciando le vesti, argomentando che lo ‘stupro va contestualizzato’. Temiamo invece che non solo assisteremo a scene indegne del genere ogni qualvolta un simbolo dell’oppressione verrà contestato ma che le stessa situazione si ripeterà quando cercheremo di produrre un immaginario critico in opposizione a quello sopra citato. Cheap oggi produce un intervento di arte pubblica che parla di femminismo, della connessione del potere sistemico nel generare funzionalmente sessismo e razzismo, della necessità di elaborare strumenti di decolonizzazione, di rappresentare corpi che orgogliosamente esulano dalla bianchezza o dall’eteronormatività o dalla visione binaria del genere: così come sappiamo che non si è pronti a eliminare i simboli del privilegio, pensiamo che sia ora che si facciano i conti anche con quelli della nostra liberazione”.

In alcuni dei 25 poster ricorre il nudo, qualcuno potrebbe avere da ridire? “Il problema non è il nudo – allargano le braccie le artiste/i – anche se sicuramente qualcuno darà segni di scompenso davanti a dei capezzoli ed utilizzerà la cosa strumentalmente. Il problema non è se ci svestiamo o se ci copriamo: lo dimostra il linciaggio mediatico a cui è stata sottoposta Aisha Romano dopo 18 mesi di sequestro. In Italia il problema sono le donne libere che si autodeterminano. Per troppo tempo le donne sono state rappresentate dallo sguardo maschile: anche in questo è in atto un cambiamento di paradigma davanti al quale c’è la solita resistenza che porta a problematizzare le donne che si rappresentano in un nudo che non è eroico ma esprime potenza, a gridare all scandalo le donne che passano dall’essere oggetto a soggetto del desiderio”.

A firmare i manifesti affissi, tra le altre, l’illustratrice e fumettista Josephine Yole Signorelli, in arte Fumettibrutti, caso editoriale con “P. la mia adolescenza trans”, l’illustratrice Rita Petruccioli, l’artista argentina Mariana Chiesa,  a visual designer Ilaria Grimaldi, la street artist americana The Unapologetically Brown Series.