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Granarolo, Si Cobas al prefetto: “Il presidio resta”

Nei prossimi giorni passeranno in prefettura tutti gli interlocutori della vertenza. Interrogazione bipartisan in Senato: “Il governo tuteli le imprese coinvolte”. Hobo: “Arroganza dei poteri proporzionale alla paura”. Commonware: “Toccato nervo scoperto”.

29 Gennaio 2014 - 19:27

Oggi una delegazione dei SiCobas, tra cui il segretario nazionale Aldo Milani, ha incontrato il prefetto, che ha sollecitato la rimozione dei blocchi e ha chiesto circa dieci giorni per sentire tutti gli interlocutori interessati. “Non possiamo promettere che le proteste finiranno”, ha replicato Milani ai cronisti: “I presidi resteranno, anzi verranno intensificati anche all’Interporto”.

Il timore del sindacato è che la Legacoop “punti a reintegrare solo 37 dei 51” lavoratori licenziati: “Il camper davanti alla Granarolo (quello usato durante le proteste Ikea a Piacenza, ndr) l’abbiamo messo proprio per sbloccare una situazione che si trascina da nove mesi, ormai completamente esasperata, parliamo di persone che non riescono ad arrivare a fine giornata, non a fine mese”.

Intanto, al Senato, un gruppo di parlamentari (tra Partito democratico, Forza Italia, popolari e gruppo misto) ha presentato un’interrogazione urgente ai ministri dell’Interno, della Giustizia e delle Politiche sociale perché procedano “attraverso le strutture preposte dei propri dicasteri, al fine di assicurare la necessaria e adeguata tutela delle imprese e dei lavoratori coinvolti e, in particolare, garantire l’operatività delle sedi di produzione, la libertà di movimento e le inderogabili garanzie di sicurezza per le imprese, i lavoratori e i cittadini coinvolti”. I senatori additano inoltro lo “stretto rapporto tra lavoratori Si Cobas” e “i centri sociali Crash e Hobo, protagonisti importanti praticamente di tutti i blocchi e delle azioni di boicottaggio” e rilevano “come i siti web dei centri stessi siano pieni di affermazioni gravi, riferite ai dirigenti di Legacoop, Granarolo e Ctl”.

Per stasera sindacato e collettivi confermano l’assemblea cittadina prevista in via Zamboni 38, in preparazione al corteo di sabato. “L’arroganza e la prepotenza dei poteri costituiti di questa città ci sembra direttamente proporzionale alla paura che la lotta dei facchini sta suscitando – si legge in un comunicato di Hobo –  Paura di dover concedere diritti, rispetto e dignità. Vincere a Granarolo vuol dire allora guadagnare più rispetto e più dignità, più diritti e più potere, per tutti e tutte. Vuol dire mettere un’argine a chi cavalca l’austerity per indebolirci e impoverirci. Fin dall’inizio siamo stati al fianco dei lavoratori in lotta. Lo abbiamo fatto non solo per solidarietà, ma perché sappiamo che le loro condizioni sonole nostre condizioni, la loro lotta è la nostra lotta, la loro vittoria è la nostra vittoria. Sabato i facchini di Granarolo saranno in piazza per gridare le ragioni della propria lotta, contro i poteri di Bologna la “rossa”, contro lo sfruttamento e per la dignità. Come studenti e studentesse dobbiamo essere alloro fianco, perché se vinciamo a Granarolo vinciamo dappertutto!”.

A sottolineare che ci si trova davanti a una lotta dal cui esito dipende ormai molto di più del futuro di 51 lavoratori è anche un intervento di Anna Curcio e Gigi Roggero pubblicato sul sito del progetto Commonware: “Aggredendo il sistema della cooperative ha toccato un nervo scoperto dell’attuale sistema di gestione e organizzazione di gran parte del lavoro precario in Italia. Ciò che è in gioco, dunque, va ben al di là di una vertenza di settore”.  E quindi “studenti, precari e militanti che da tempo sono insieme ai lavoratori davanti ai cancelli delle imprese della logistica, non lo fanno esclusivamente spinti da un’etica solidaristica, per quanto l’indignazione sia evidentemente un motore di grande importanza in qualsiasi processo di conflitto allargato. Sono lì, innanzitutto, perché riconoscono in quelle lotte e in quei lavoratori un tratto comune.”

“Rabbia e perfino esasperazione si combinano con l’allegria, la voglia di vendetta verso i padroni e i suoi sgherri è al contempo desiderio del comune”. Curcio e Roggero riportano un commento letto sul profilo facebook di un lavoratore dell’interporto: “Vi giuro che il direttore di Arco Spedizioni scarica e carica le casse con -2 gradi mentre i lavoratori si scaldano fanno la grigliata e ascoltano la musica. Non è questo il comunismo?”

“Per molti lavoratori migranti la lotta non è più solo una fase temporanea per ottenere qualcosa: è diventata una forma di vita e di socializzazione – prosegue l’intervento su Commonware –  Rivendicano di tornare alla loro occupazione, cioè al salario, ma sono irriducibili al ritorno alla normalità dello sfruttamento. Osiamo addirittura riprendere e rovesciare un termine che per noi è sempre stato correttamente nemico: integrazione. Nella sua retorica ufficiale, infatti, non è nient’altro che l’integrazione nello Stato e nella cittadinanza, nel cielo dell’eguaglianza formale e nell’inferno della diseguaglianza sostanziale, in breve nei circuiti dello sfruttamento e della valorizzazione del capitale. L’integrazione nelle lotte è invece la rottura dell’integrazione capitalistica, ovvero l’apertura dello spazio del comune e dell’autonomia”.

Infine, si schiera “a fianco dei lavoratori” della logistica, appoggiando “ogni loro rivendicazione e forma di lotta” anche il movimento Ross@: “Un passo indietro deciso nella ‘civiltà del lavoro’di questo paese. Un passo avanti che illumina dove ci vogliono portare le ‘riforme strutturali’ della Troika, il ‘jobs act’ di Matteo Renzi e l’avidità delle imprese del settore.